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 2002  febbraio 22 Venerdì calendario

Duisenberg Wim

• Heerenven (Olanda) 9 luglio 1935, Faucon (Francia) 31 luglio 2005. Economista. Primo Governatore della Banca Centrale Europea • «Il banchiere centrale più criticato e più controverso degli ultimi anni […] Cinque anni alla guida di un’istituzione fuori dall’ordinario, nata il 1° giugno 1998 e che dal 1° gennaio 1999 controlla le redini della politica monetaria nella zona euro. Alto, la schiena un po’ curva, una folta capigliatura bianca, che ha spinto alcuni a definirlo il Jfk olandese, è un banchiere centrale atipico. È stato ministro delle Finanze in Olanda dal 1973 al 1977 in un Governo laburista. Era keynesiano e pensava che la spesa pubblica fosse il modo migliore per aiutare l’economia. Poi fece un’inversione a U ideologica: si convertì al rigore fiscale e alla stabilità monetaria. Fu governatore della Banca centrale olandese dal 1982 al 1997. In quella circostanza, secondo Matt Marshall (autore di The Bank) fu per un certo periodo favorevole a un rinvio (egli smentisce) dell’inizio della terza fase dell’Unione monetaria e chiese ai suoi collaboratori di valutarne l’opportunità. La sua nomina al vertice della Bce fu controversa. L’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing la definì “une erreur de casting”. In questi anni trascorsi all’istituto monetario non sono certo mancati i motivi per confermare il giudizio cattivo [...] Può un banchiere centrale essere ripetutamente ironico nell’esercizio delle sue funzioni? “Eurogaffeur” l’ha definito la stampa francese. È certo che [...] non sono mancate le gaffes sulla nuova moneta unica. In un’intervista al quotidiano “The Times” il 16 ottobre 2000 spiegò che non avrebbe senso intervenire per aiutare l’euro contro il dollaro in un momento di tensioni politiche in Medio Oriente: la valuta unica perse ancora valore. Ma sarebbe ingiusto sottolineare i lati deboli del primo presidente della Bce, che si è impegnato molto per adottare uno stile di comunicazione adeguato al secondo banchiere centrale più potente del mondo. [...]» (“Il Sole-24 Ore” 8/2/2002). «[...] il primo banchiere centrale della moneta unica. “Mister euro” fino al 2003, con la sua taglia imponente e la sua folta capigliatura bianca era uno dei volti più noti tra i leader che costruirono l’Europa di Maastricht. Ebbe fama di re delle gaffes, di cattivo comunicatore, perché fu costretto dal suo ruolo a scontentare le opinioni pubbliche, i governi, e le attese dei mercati. Fu attaccato sia perché l’euro era troppo debole (0,87 centesimi di dollaro alla nascita) sia quando era troppo forte (arrivò a rivalutarsi del 50%), ma Duisenberg era consapevole della propria impotenza. In realtà era il dollaro a oscillare per la sterzata nella politica fiscale americana da Clinton a Bush. La selezione di Duisenberg come primo presidente della Bce nel ’98 premiò il “miracolo olandese” e la classe dirigente che lo aveva reso possibile. Mentre la Germania cominciava a rivelare le rigidità del suo sistema di co-decisione, e la sua economia s’impantanava nella riunificazione, l’Olanda era la versione riuscita del “modello renano” con la sua bassa disoccupazione, il consenso sociale, il dinamismo delle sue multinazionali. Socialista come il suo amico premier Wim Kok, di cui era stato ministro delle Finanze, Duisenberg credeva in quella ricetta che combina il Welfare State più generoso del mondo, l’apertura all’economia globale, il rigore nel bilancio pubblico e una moneta forte. Anche se non poteva essere esplicito come il suo connazionale Gerrit Zalm (ministro liberale delle Finanze), Duisenberg era fra quelli che avrebbero preferito tenere l’Italia fuori dal primo gruppo dell’euro. Le perplessità sul risanamento delle finanze pubbliche italiane furono piegate nel ’98 dalla realpolitik franco-tedesca. Lo stesso primato della politica gettò un’ombra sulla nomina di Duisenberg. Chirac fece di tutto per mettere un francese ai vertici della Bce, ottenne di amputare il mandato di Duisenberg, concordando le sue dimissioni anticipate e la “staffetta programmata” con Trichet [...]. Uno strappo che Duisenberg considerava come una prevaricazione francese contro l’autorevolezza della Bce. Non aveva torto: il deficit di legittimità democratica della nuova banca centrale è un problema reale ma non si risolve con le stesse politiche spartitorie che guidano i compromessi sulle quote-latte. Nei cinque anni al vertice della politica monetaria la notorietà di Duisenberg è cresciuta in parallelo con la sua impopolarità. La strenua difesa dei parametri di Maastricht e del Patto di stabilità, la resistenza contro interpretazioni flessibili dei limiti ai deficit pubblici: questo ha fatto del banchiere centrale la caricatura ideale di una Europa “senz´anima”, guidata da tecnocrati insensibili alla disoccupazione e incapaci di costruire consenso popolare. Resta emblematica la sua risposta ai giornalisti che lo interrogavano su un incontro con i leader dei governi europei che premevano per una politica monetaria più espansiva: “Ascolto ma non sento”. La realtà era un po’ diversa. Duisenberg, oltre a interpretare un po’ rudemente il ruolo dell’arcigno banchiere centrale che difende i trattati, era anche convinto che una crescita economica sana e la sconfitta della disoccupazione si ottengono con le riforme strutturali (flessibilità del lavoro, riforme della sanità e delle pensioni, efficienza dei mercati dei capitali, concorrenza e antitrust) non con il lassismo dei deficit pubblici. I suoi avversari lo hanno messo in croce confrontandolo con il suo equivalente americano, il presidente della Federal Reserve Alan Greenspan. Una partita impari e un paragone ingeneroso. La Fed ha il mandato istituzionale di sostenere la crescita e l’occupazione, alla Bce i governi europei hanno delegato solo la lotta all’inflazione: diversi compiti danno diversi risultati (e non è detto che la reputazione di Greenspan sopravviverà agli immensi deficit e alle bolle speculative americane). Duisenberg fu attaccato in egual misura da sinistra e da destra. La sinistra sociale ha sempre visto i banchieri centrali come i guardiani dell’ordine capitalistico e della disciplina salariale. La destra neocon vorrebbe una Bce convertita alla “curva di Laffer”, detta anche economia-voodoo: secondo cui le riduzioni d’imposte si finanziano da sole e i deficit da ribellione fiscale sono virtuosi. L’improvvisa morte di Duisenberg coincide con la crisi più grave del modello sociale e del progetto politico di cui l’élite progressista olandese fu l’avanguardia [...]» (Federico Rampini, “la Repubblica” 1/8/2005).