Varie, 25 febbraio 2002
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EASTON ELLIS Bret Los Angeles (Stati Uniti) 7 marzo 1964. Scrittore. Al Bennington College, in Vermont, ha scritto per il corso di scrittura creativa il suo primo romanzo, Meno di zero, pubblicato nel 1985 e accolto con interesse dal pubblico e dalla critica
EASTON ELLIS Bret Los Angeles (Stati Uniti) 7 marzo 1964. Scrittore. Al Bennington College, in Vermont, ha scritto per il corso di scrittura creativa il suo primo romanzo, Meno di zero, pubblicato nel 1985 e accolto con interesse dal pubblico e dalla critica. Giudizi meno favorevoli per il lavoro successivo, Le regole dell’attrazione, uscito due anni dopo. In quel periodo, oltre allo scrittore, ha fatto anche il musicista, suonando in tutti gli States e aggregandosi di volta in volta, a varie band. Nel ”91 Ellis scrive il suo romanzo più noto, American Psycho, oggetto di dure contestazioni per le crude scene di violenza, da cui nel 2000 è stato tratto un film. Nel 1994 pubblica la raccolta di racconti Acqua dal sole, e nel 1999, dopo dieci anni di lavoro, Glamorama, che ottiene un grande successo. Dopo di allora il silenzio, fino al romanzo Lunar Park (’La Stampa” 26/8/2005). «[...] è stato il ragazzo prodigio della letteratura americana negli anni Ottanta, quando Less than zero lo fece diventare ”assurdamente famoso” col gruppo dei ”minimalisti”. Feste, cocktail, viaggi, interviste, droga, sesso e qualunque esagerazione vi venga in mente. Era così popolare che ”gli editori avrebbero pubblicato anche i miei appunti delle scuole elementari”. Lui non era sceso tanto in basso, ma secondo parecchi critici ci era andato assai vicino. American Psycho, in particolare, aveva fatto scandalo per la violenza gratuita, almeno secondo i canoni dell’era pre-Tarantino-Pulp Fiction, mentre Glamorama aveva infastidito perché mandava americani in giro per il mondo a commettere atti di terrorismo. A quel punto, anno 1999, Easton Ellis aveva tirato il fiato, prendendosi un pausa letteraria [...] Raccontano che [...] scrive i suoi libri cominciando con enormi ”outline”, cioè riassunti più lunghi del romanzo vero e proprio. ”Esatto. Vomito tutto negli outline, che scrivo di getto a mano e in maniera superconfusa. Ci metto tutto quello che deve accadere, con note e contronote. Ma alla fine mi ci oriento benissimo e so perfettamente dove andare col libro. A quel punto comincio a scrivere la storia vera e propria, e divento lentissimo [...] Non sono uno con trenta idee nel cassetto, che fatica a scegliere quella giusta. Le cose che ho scritto, grosso modo, erano quelle che avevo in testa [...]”» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 26/8/2005). «[...] in American Psycho avevo trasferito al protagonista certi tratti che erano i miei, ma allora non lo dissi, sarebbe parsa una cosa troppo scandalosa [...] Hemingway? A 14 anni, una sera, mi toccava Il sole sorge ancora per scuola, lo presi e lo lessi due volte. Non chiusi occhio quella notte, e decisi che volevo diventare scrittore. [...] triste rendersi conto che le cose che si trovano piacevoli non danno piacere. Quando mio padre ha fatto i soldi, è cambiato, era insoddisfatto, violento. Nei miei libri la gente coi soldi abusa della libertà a un livello che dovrebbe essere proibito. [...] io vivo nel mondo dell’ editoria, la mattina mi alzo alle 8 e sto alla scrivania per dieci ore. Finito il romanzo, giro dei mesi per il lancio. Come diceva Flaubert, per scrivere in modo rivoluzionario bisogna vivere da borghesi. [...] Per me scrivere è seguire un impulso, è un hobby, non una cosa di cui la società ha bisogno. Non so chi mi legga, ma il libro che leggo volentieri io è quello in cui trovo il bisogno che l’autore aveva di scriverlo: per non morire, per non diventare pazzo. [...] Mi è più facile controllare la passione amorosa che quella di scrivere. Tra me e il romanzo non ci sono ostacoli [...] (mio padre) è morto nel ”92, e quando è morto ho provato rabbia e sollievo. Per quello che era diventato, violento con mia madre e con le mie sorelle. Io lo evitavo. Ci siamo visti in febbraio e in agosto era morto. Era sano. Era infelice. E solo dopo sei anni, quando ho finito Glamorama, ho capito che dentro c’è anche la storia di un padre che uccide il figlio» (Silvia Giacomoni, ”la Repubblica” 2/10/1999).