Varie, 25 febbraio 2002
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Eltsin Boris
• Sverdlovsk (Russia) 1 febbraio 1931, Mosca (Russia) 23 aprile 2007. Politico • « Mikhail Gorbaciov che lo chiama al centro dell’Impero nell’85. Il nuovo leader è a caccia di talenti. Non sa che sta dando una mano all’uomo che gli scaverà la fossa politica. Subito il grande salto: Eltsin è nella segreteria del Comitato Centrale del Pcus. Pochi mesi e gli viene affidato il comune di Mosca. Il siberiano si butta a corpo morto nel nuovo lavoro, gira in mezzo alla gente, manda via i vecchi burocrati, cambia, trasforma. Si conquista il soprannome di ”kamikaze della perestrojka”, rompe con i conservatori. Due anni e mentre tutto il mondo guarda a Gorbaciov con speranza, Eltsin rompe anche con lui. Si dimette e accusa: la perestrojka è ferma, il Politburo lavora male, il Paese è governato da Raissa, la moglie di Gorbaciov. La reazione è feroce. Viene accusato di immaturità politica. Passa qualche giorno e lo trovano sanguinante nel suo ufficio. Nelle sue memorie Gorbaciov lo accusa senza pietà: ”Eltsin, con le forbici, aveva simulato un tentativo di suicidio. Era impossibile interpretare altrimenti quel gesto: le ferite erano superficiali, non avevano causato alcun vero pericolo. La versione ufficiale fu che Eltsin era svenuto con le forbici in mano e si era ferito”. La questione Eltsin viene ripresa dal comitato di Mosca, mentre lui sta ancora male. Racconta nell’autobiografia: ”Per ordine di Gorbaciov mi tirarono fuori dal letto d’ospedale e mi catapultarono in mezzo alla riunione. Per ore fui bersagliato con accuse di ogni genere, nel miglior stile del partito”. In piedi davanti al comitato Eltsin balbetta un’autocritica. Viene spostato al comitato per l’edilizia, torna a casa depresso e stordito. [...] Credono di averlo neutralizzato politicamente, ma Eltsin diventa un eroe nazionale; la gente scende in piazza per lui. Meno di due anni dopo, nell’89, le prime elezioni quasi democratiche gli danno quel sostegno popolare che Gorbacion non ha mai avuto. Prende l’89,4 per cento dei voti, entra trionfalmente al congresso dei deputati, guida il gruppo dei democratici assieme a Sakharov. Poco tempo dopo i giornali democratici escono con grandi titoli su un attentato a Eltsin. Lo ripescano in un fiume gelato alle porte di Mosca, in una zona di dacie. Sono passate due settimane dal suo primo viaggio in America, durante il quale un giornale italiano, poi ripreso con enfasi dal conservatore ”Pravda”, aveva parlato di Eltsin ubriaco in giro per i bar. Racconta l’ex guardia del corpo Korzakhov: ”Mi telefona Tanja (la figlia Tatyana, ndr) e mi dice: hanno buttato papà giù dal ponte”. Korzakhov parte di corsa: ”Mi trovai di fronte uno spettacolo pietoso. Boris Nikolaevich stava sdraiato su una panca nella stazione di polizia, immobile con addosso solo le mutande bagnate. I poliziotti l’avevano coperto con un cappotto e gli avevano messo una stufetta vicino”. La prima versione fu che Eltsin era stato aggredito da quattro energumeni balzati fuori da una macchina mentre lui, a piedi, usciva dalla dacia di amici. Poi si disse che si era ritrovato nel fiume senza nemmeno sapere come. Nel 1990 Eltsin rinuncia alla tessera del Pcus. Inizia il periodo dei ”torbidi”. Manifestazioni indipendentiste nelle repubbliche vengono represse con la forza. C’è un accordo tra Eltsin e Grobaciov, che però dura poco. A Vilnius le truppe russe intervengono pesantemente e Eltsin accorre per portare la sua solidarietà. A marzo del ”91 Gorbaciov fa entrare i blindati a Mosca per bloccare le manifestazioni pro Eltsin. Questi ottiene il sostegno dei minatori, il 12 giugno viene eletto plebiscitariamente presidente della Russia (presidente dell’Urss è ancora Gorbaciov) e subito ordina lo scioglimento delle cellule comuniste in tutti i luoghi di lavoro. Ad agosto c’è il tentativo di colpo di Stato. Corvo Bianco che lo sventa. Passano pochi mesi e Eltsin decide di liberarsi dal giogo sovietico. L’Urss è sciolto. Il posto di Gorbaciov non ha più ragione di essere [...] Ben presto la squadra di fedelissimi di Eltsin si spacca. Il nuovo presidente è ai ferri corti con il Parlamento, in buona parte formato da ex comunisti. Si arriva al 1993, quando il Soviet Supremo (il Parlamento portava ancora questo nome) mette in votazione la destituzione del presidente russo. [...] Alla fine di settembre del 1993 si giunse al braccio di ferro, coi deputati asserragliati nella Casa Bianca [...] Dopo un tentativo di colpo di Stato da parte dei rivoltosi, Eltsin scioglie il Soviet a cannonate [...]» (Fabrizio Dragosei, ”Sette” n. 13/1998) • «Lo chiamavano B.N. Le iniziali dell’uomo più potente della Russia. Il leader insostituibile, Boris Nikolaevic Eltsin. Sempre sulla bocca di tutti. Poi un giorno, nel 1999, annunciò il nome del suo successore e la Russia che non aveva idea di chi fosse quell’uomo, lo elesse presidente. Lui si voltò dall’altra parte e uscì dal Cremlino, dai giornali, dalla tv. Restò nella sua dacia appena fuori Mosca, a Barvikha, dove era entrato nei tempi d’oro. E vive ancora lì tra quelle mura, circondato da quelle betulle, lungo la strada più esclusiva e sorvegliata del paese. Che cosa faccia non si sa. [...] Nessuno gli chiede interviste o pareri e non c’è fondazione, università che lo inviti a tenere lezioni. Una specie di fantasma eccellente. Di cui il paese si ricorda solo in occasione dei soliti ricoveri» (Fiammetta Cucurnia, ”Il Venerdì” 8/2/2002) • « stato Boris Eltsin a lanciare sulla scena politica russa la generazione nata a metà del secolo scorso. Se non ci fosse stata la sua scelta fatta nel 1999 nessuno chiamerebbe questa generazione come ”generazione Putin”. [...] Come ha scelto quale suo successore Vladimir Putin? ”L´avevo studiato abbastanza a lungo, e non solo per i dossier dell´ufficio personale. Conoscevo bene il lavoro che lui, allora vice di Anatolj Sobcjak ha fatto a Pietroburgo. E poi, quando si traferì a Mosca, mi sono messo a tenerlo d´occhio con maggiore attenzione, dedicandogli abbastanza tempo. E ho visto che lui è non solo intelligente e competente, ma anche un uomo onesto e dotato di autocontrollo. [...] Quando venni a lavorare in un´azienda dopo essermi laureato all´università, rinunciai alla proposta di occupare la carica di caporeparto. Pensavo di dover imparare prima a scegliere fra le persone. Lo imparai. Non ricordo, per esempio, neanche un errore nello scegliere il personale. [...] Al Cremlino invece, sì. [...] Non le conoscevo abbastanza. La vita era talmente burrascosa, che non rimaneva tempo per studiare qualcuno per filo e per segno. [...] Uomini dell´amministrazione irrompevano nel mio ufficio gridando ”Ma è diventato matto, Boris Nikolaevich!’ Ed io gli rispondevo ”Alt. Sto già consegnando i poteri’”. [...] Che senso aveva fare una scelta rischiosa favorendo politici poco conosciuti e molto ambiziosi? ”Mi era assolutamente chiaro il compito da risolvere. Il regime politico non andava semplicemente cambiato, andava rivoltato. Al posto del sistema politico sovietico doveva nascere quello democratico. Doveva nascere un sistema economico di mercato. Al posto della censura andava introdotta la libertà di parola. Un passaggio del genere non poteva essere indolore. Di conseguenza ci volevano misure impopolari. Ci voleva una squadra pronta a farsi bruciare, ma di agire comunque per quanto forte potesse essere il malcontento”» (Ljudmila Telen, ”la Repubblica” 22/10/2003).