Varie, 25 febbraio 2002
EMINEM
(Marshall Bruce Mathers III) St. Joseph (Stati Uniti) 17 ottobre 1972. Rapper, all’inizio si faceva chiamare M&M, come la caramella al cioccolato, ma anche le sue iniziali, dal 1996 è passato ad Eminem, i fan e quelli del suo entourage lo chiamano semplicemente Em. Cresciuto a Detroit, i genitori suonavano in una band (Daddy Warbucks) che faceva il giro dei cabaret della catena Ramada Inn [1]. Abbandonato dal padre a 18 mesi, la madre Debbie Briggs lo ha trascinato durante l’infanzia in giro per gli Stati Uniti, lui la descrive come un’inguaribile tossica («vorrei un dollaro per ogni pillola che ha ingoiato») che tentò di allungare le mani sui suoi primi guadagni [2]. Problemi pure con la nonna Betty Kresin, che ha fatto il giro dei talk show Usa descrivendolo come «vile e disgustoso: in 12 anni è passato da ”Nonna ti amo” a ”Nonna va all’inferno”» [3]. Unico che lo capiva, a sentir lui, lo zio Ronnie, morto suicida nel 1992 (cercò di imitarlo ingerendo pillole di Tylenol, «prima 13, poi 16, poi tutto il tubetto. Ero sicuro che m’avrebbero steso», ma trattandosi di un antidolorofico se la cavò con una lavanda gastrica) [4]. Dovendo parlare della sua infanzia, Eminem riassume: «Da quando ho undici anni la mia famiglia non è rimasta nello stesso posto per più di sei mesi, ci buttavano sempre fuori. Ero così povero che gli amici facevano la colletta per comprarmi le scarpe. Mia madre non ha mai avuto un lavoro, è una puttana, potete scriverlo. Mio padre non so chi sia, mai visto nemmeno in foto. Sono un figlio di puttana e un figlio di N.N., non male, che ne dite?» [5]. Ha scritto Luca Sofri su ”Panorama”: «Immaginate di nascere in un sobborgo del sottoproletariato urbano americano, quando vostra madre non ha ancora 18 anni. Immaginate che lei decide di lasciare vostro padre (che ha sposato a 15) quando voi avete due anni. Immaginate di cambiare una quindicina di case, di vivere dai parenti, o in roulotte, e lasciare successivamente una ventina di scuole. Immaginate di venire vessato e picchiato dai compagni di scuola. Immaginate che il vostro fratellastro piccolo sia sottratto alla custodie della mamma, accusata di violenza nei suoi confronti. Immaginate che lei faccia uso di pillole e antidepressivi. Immaginate infine di non vedere più vostro padre e frequentare due zii: uno si fa sei anni di prigione per omicidio e l’altro si suicida. I casi sono tre: o la vita vi ha insegnato abbastanza da rendervi uno che la sa lunga, o diventate un teppista violento, oppure il vostro nome è Marshall Mathers, alias Slim Shady alias Eminem, e siete una delle popstar più ricche e famose del pianeta» [6]. Un riassunto della sua biografia si ottiene anche dalla mappa dei tatuaggi: sull’avambraccio destro ”Eminem”, su quello sinistro ”Slim Shady” (il suo «alter ego luciferino»), sullo stomaco ”Rot in pieces” (più o meno ”crepa putrefatta”) con immagine dell’ex moglie Kim, sul braccio destro ”Hailie Jade”, il nome della figlia nata il 25 dicembre 1995 dal matrimonio con Kim, sul braccio sinistro ”Ronnie”, in ricordo dello zio [3]. Prima di diventare famoso ha fatto per tre anni il cuoco da Gilbert’s Lodge, modesto bar-ristorante su Harper Avenue, a Detroit (paga 10 dollari l’ora). Ad inizio carriera ha fatto parte di piccole band (Basement Production, New Jacks, Sole Intent), poi ha vinto vari concorsi per rapper, il più importante dei quali a Los Angeles, dove fu notato dal produttore Dr. Dre (il leader dei Nigger With Attitude). Racconta Proof, fondatore dei D12 (uno dei gruppi che produce): «Ci conosciamo da una vita. Quando frequentava la Lincoln High School, ci davamo appuntamento al termine delle lezioni per andare a sfidare gli altri a colpi di rap. Scommettevo su di lui e vincevo sempre, ma mi toccava proteggerlo perché era l’unico bianco e tutti volevano menarlo». La radio locale Whyt fu la prima a mandare in onda i suoi nastri, incisi nello studiolo casalingo del dj Rick Sadlowski, che racconta: «Aveva un talento fuori dal comune, il suo stile era duro, veloce, selvaggio. Ma non stava mai zitto, faceva casino e rompeva i coglioni a tutti» [7]. Lui confida: «Quando ero piccolo sentivo qualsiasi cosa mia madre o mio cugino ascoltassero alla radio. Ma quello che ricordo, di quando ho cominciato a crescere, è in gran parte il rock degli anni Settanta, roba tipo Led Zeppelin, Jimi Hendrix. Beh, qualcosa mi piaceva. Dream on degli Aerosmith per esempio. Quella roba mi ha fatto sentire grande, è stata la mia canzone preferita per anni. Se non avessero inventato l’hip hop forse avrei potuto seguire la via del rock. Ma non appena è arrivato il rap ho capito che era quello il tipo di musica che avrei potuto fare mia. Mi sono identificato immediatamente con il rap» [8]. All’inizio però non lo prendevano sul serio e per questo, ha raccontato a ”Rolling Stone”, «le rime che buttavo giù diventavano sempre più arrabbiate. Parecchie nascevano da un feedback che ricevevo – Sei un bianco, perché insisti col rap? Perché non fai rock and roll? – Tutte quelle fesserie cominciavano a farmi incavolare» [1]. L’esordio discografico è del 1997, con Infinite, un disco che non ottiene molto successo («Solo prove generali. Sarebbe stato meglio che quelle canzoni fossero rimaste nel cassetto» [9]). Il problema è che davanti al microfono ha smarrito la sua verve e invece di rappare parla d’amore: un fiasco. Per sua fortuna capisce l’errore e cambia strategia. Spiega Stefano Pistolini su ”L’Espresso”: «Inventa il personaggio di Slim Shady, uno spacciatore teppista, concentrato di delinquenza, violenza e razzismo. D’ora in poi Eminem rapperà per bocca di Slim Shady terrificanti storie di droga, violenza e omicidi come esorcismo agli orrori che vede per le strade. Dr. Dre, l’uomo che ha inventato il gangsta rap, lo nota e promuove l’album The Slim Shady Lp: una raccolta di rap songs in cui il suo delinquente alter ego strepita insulti, vomita minacce, dipinge la peggiore condizione giovanile. Nel vorticare di droghe, pistole e violenze sessuali, Eminem non risparmia sua madre e s’accanisce sui suoi bersagli prediletti: omosessuali e donne. Il disco nonostante i contenuti viene adorato da una critica stanca di innocue band alla Backstreet Boys e viene preso a manifesto da una generazione di giovanissimi che intona cori a base di ”Bitch I wanna kill you” (Puttana, voglio ammazzarti!). In un’interrogazione al Senato degli Stati Uniti, Eminem, al pari di Marilyn Manson, viene denunciato come stratega della corruzione teenageriale. Ma chi la piglia peggio di tutti è mamma Mathers che, offesa dagli insulti del suo ragazzo, gli fa causa per 10 milioni di dollari. Niente ormai può però fermarlo: mentre ”L’Alleanza Gay-Lesbica” lo denuncia per omofobia, lui ogni sera trionfa davanti a platee che lo adorano per come ridicolizza le ipocrisie della società ”politically correct”. Eminem diventa il rapper più famoso del pianeta anche per merito di Mtv: la televisione che ha fatto della lotta alla violenza e alla droga le proprie bandiere ma che lo elegge a idolo numero uno. I suoi video sono i più trasmessi e in diciotto mesi il network gli dedica addirittura quattro speciali […] Le vendite sono eccezionali: un milione e 700 mila copie nella prima settimana, come mai un rapper era riuscito a fare. La critica lo paragona ai Rolling Stones, a Quentin Tarantino, a Freddie Krueger, ai cartoon di ”South Park”. Col successo crescono però i problemi. Due processi (ha colpito col calcio di una pistola un corteggiatore della moglie e si è fatto trovare pistola in mano in mezzo a una rissa), la richiesta di divorzio da Kim (e lei per tutta risposta lo cita per danni). Ancora qualche settimana e la ragazza va a vedere il marito in concerto a Detroit, ingoia troppe droghe, torna a casa e si taglia i polsi. La salvano per un pelo e arriva la riappacificazione. Poi anche la madre smette di perseguitarlo: s’accontenta del suo quarto d’ora di celebrità, pubblicando un disco rap il cui titolo suona ”Cerca di rigar dritto”. I talk show per casalinghe la eleggono a propria beniamina» [2]. Eminem diventa «la stella planetaria del rap dei giorni nostri» (Ernesto Assante) [5], «l’ultimo cantastorie, il cronista dei ragazzi di strada, bianchi o neri, senza distinzione di razza» (Stefano Pistolini) [9], ma il presidente Usa George Bush l’accusa di essere «la minaccia più grave per i bambini americani dopo la poliomelite» [1]. Lui replica: «I miei testi sono pieni di ”fotti” qui e là, di ”merda” qui e lì. Oscenità, certo: non sono parole che scivolano addosso. Ricordo quando avevo sei anni: la musica volava lontano da me, non capivo nulla. Ma credo che oggi i bambini siano più vivaci e brillanti di quanto fossimo noi trent’anni fa. Insomma, diciamo che alcune mie canzoni hanno dei contenuti molto poco adatti a un bambino: mi sa che dovrò farne una versione ripulita soltanto per Hailie Jade, così potrà ascoltarle sul walkman, o potremo metterle su in macchina. Ma quando i testi non sono così osceni, insomma, glieli faccio ascoltare». [8] Comunque, ammettendo che i suoi dischi non sono adatti ai ragazzini, Eminem ricorda che «in copertina è ben visibile un adesivo che ne vieta la vendita ai minori di diciotto anni. Certo, questo non impedisce che vadano in mano ai minorenni, ma non è un mio problema: non mi ritengo certo responsabile per ogni ragazzo di questo mondo. E poi, non mi sono mai atteggiato a modello per nessuno, né mai lo farò». Oppure sdrammatizza: «I ragazzi che ascoltano le mie canzoni sanno come prenderle, sanno che è un grande scherzo. solo spettacolo, e i ragazzi sono più intelligenti degli adulti» [3]. Per farsi capire, Eminem spiega cosa lo spinge a scrivere canzoni come White America, quella che secondo Goffredo Buccini, corrispondente dagli Stati Uniti del ”Corriere della Sera”, è «il vero manifesto politico del menestrello e del suo popolo»: «Parla del classico ragazzino bianco che cresce in un quartiere di periferia, che ha problemi a scuola, con i suoi amici più grandi e con i genitori. Attraverso la mia musica quei ragazzini devono imparare a mandare affanculo qualcuno» [12]. Secondo Buccini il segreto di Eminem sta nel fatto che «s’è appropriato della cultura dei ghetti e adesso la vende ai ragazzi bianchi che non sapevano più come esprimere ”il dolore imbottigliato nell’anima”: è il Caronte che accompagna i brufolosi fan nell’inferno di una rivolta, per ora, solo parolaia […] Sbeffeggia per loro il moralismo delle ”suburban moms”, le mamme d’America sempre incombenti, quando grida ”vaffanculo signora Cheney, vaffanculo Tipper Gore” (le due vice First lady che, una dopo l’altra, hanno provato a tirargli le orecchie)». [11] Secondo Pistolini, Marshall Mathers tutto sommato si limita ad incarnare «il modello dell’eterno adolescente, quello che disapprova i genitori con lo sguardo, ridacchia dei compagni e ostenta l’aria di saperla lunga. Eminem, come Franti, sono in fondo eroi indistruttibili» [2]. Non mancano comunque gli scettici. Scriveva Riccardo Bertoncelli su ”Max” dell’ottobre 2000: «C’è una scuola di pensiero secondo cui Eminem è uno scaltro giocoliere, un teatrante alla maniera di Marilyn Manson che ama rovistare disinvoltamente nella spazzatura dell’animo umano. Lui stesso ogni tanto accredita questa tesi, dicendo di mettere in scena il suo personaggio nascosto, quello che ha chiamato Slim Shady. Poi però ci pensano le notizie di cronaca a sistemare le cose, dimostrando che Eminem ”ci è” e non ”ci fa” […] Non è un grande musicista e le sue canzoni non escono dalla formuletta solita del rap, appena un po’ animata. quindi prigioniero dei suoi eccessi e delle sue fobie; quando il pubblico deciderà di passare a un altro animale più brado e randagio di lui, imboccherà in un baleno il viale del tramonto. una storia che si preannuncia fin d’ora malinconica, un po’ alla Mike Tyson». [13] Per il momento le cose non vanno in quella direzione, ed Eminem Show è stato un successo ancora maggiore di Slim Shady: Scrive Alberto Dentice su ”L’Espresso” del 9 gennaio 2003: «Se ad apprezzare Marshall Bruce Mathers ormai non sono solo gli adolescenti borghesi disadattati, ma tutto l’arco anagrafico, dai bambini delle elementari ai baby boomer dai capelli brizzolati, viene da pensare cha la ragione sia un’altra. E cioè che questo fottutissimo Eminem è bravo. Potranno imbarazzarvi il suo turpiloquio, le sue invettive omofobiche e il machismo esasperato. Potranno non piacervi i suoi atteggiamenti delinquenziali, o che gridi alla mamma ”Bitch I Wanna Kill You”, una delle sue canzoni di maggiore successo. Ma un fatto è certo, il bastardo ha talento da vendere […] Piace ai boss dell’industria discografica perché fa incassare un sacco di soldi. Piace ai figli della borghesia che si identificano come sempre nel ribelle di successo. Piace ai genitori che leggono la sua affermazione come il riscatto della famiglia disfunzionale. Piace ai bianchi perché rappresenta nel rap quel che Elvis è stato per il rock’n roll: un bianco che canta meglio dei neri il genere nero per antonomasia. Piace ai neri perché ha saputo sviluppare al meglio quel che l’hip hop ha prodotto negli ultimi venti anni. Piace anche a chi detesta il rap, perché guardando 8 Mile scopri che un ragazzo di talento può usarlo per curarsi l’anima meglio che da uno psicanalista» [14]. Spiega Gino Castaldo, critico musicale de ”la Repubblica”: « tutto vero. un mascalzone pericoloso, incita ai peggiori sentimenti. Ma è allo stesso tempo singolare la violenza della campagna scandalistica montata intorno al suo caso, dopo anni di hip hop che di cose del genere ne ha dette e ne ha fatte anche di peggio, che ha creato mafie, sparatorie e tanti morti sul campo […] In confronto è quasi una mammoletta […] Intanto è bianco, e se rispetto ai neri c’è sempre stata soggezione, con lui non si va tanto per il sottile. E poi ha successo, un enorme successo, le sue parole fanno quindi paura. un incosciente disinibito ragazzone americano che ha preso il nome da una marca di dolcetti e, sboccatamente, stuzzica la coscienza sporca degli americani. Ma pochi si sono presi la briga di leggere a fondo i suoi testi. contro i gay e anche ovviamente un po’ troppo macho. Ma questo è da sempre l’atteggiamento degli artisti hip hop […] Ma poi duetta con Elton John e viene difeso da Boy George e George Michael. Che sia razzista è falso: il suo gruppo è interamente composto di neri» [15]. Lui si difende dall’accusa di omofobia dicendo che quando usa la parola faggot (’checca”) non si riferisce necessariamente a un gay: per lui quel termine significa semplicemente ”vigliacco, stronzo” [7]. Giles Foden, critico letterario del ”Guardian”, ha dedicato un’intera pagina all’analisi poetica del testo di Stan (quello che Castaldo descrive «come un pezzo capolavoro acutamente autocritico proprio nei confronti del possibile potere nefasto dei grandi leader musicali, e sui rischi della morbosità del fanatismo di massa» [15]) spiegando che «anche a un’analisi superficiale, possiede tutta la profondità e la complessità delle più grandi pagine della letteratura inglese» [3]. Ha detto il critico Zanie Smith: «Purtroppo, morti Tupac e Notorious Big, Eminem è rimasto il solo capace di inveire contro il Senato degli Stati Uniti, di improvvisare un racconto, di spingere la voce su tutti i registri, di sovvertire questo fottuto genere, riuscendo ad essere al tempo stesso metaforico, allegorico, politico, comico e profondamente personale in ogni singolo solco» [14]. Un altro influente critico, Gil Kaufman, dice che «i suoi testi sono opere d’arte, versioni moderne delle tragedie greche» [9]. Secondo Paul Gilroy, docente di sociologia all’università di Yale, Eminem è «uno dei più acuti critici sociali americani, una delle poche voci che dicono la verità sull’implosione della vita dei bianchi in America. Tutto quel che dice è contrario alla mitologia del tutto americana di Mamma, Papà e figli felici che Bush ancora diffonde. Parla anche direttamente a tutti gli altri ragazzi che sono i prodotti delle famiglie distrutte, della violenza domestica e dell’abbandono dei genitori. Eminem è il portavoce della distruzione della famiglia puramente americana» [1]. Ha scritto Sean O’Hagan su ”The Observer”: «Ciò che lo differenzia dai suoi pari e contemporanei neri non è il suo colore quanto i suoi argomenti. Nessun rapper nero, per quanto sia un cattivo individuo, imbevuto di gangsterismo reale, disadattato, potrebbe mai scrivere delle parole mancando di rispetto verso sua madre, o interpretare una canzone guidato dall’odio familiare come nel recente successo Cleaning Out My Closet. Ma Eminem è anche un’accusa contro la società americana che ha provocato lo sfacelo della famiglia. Ha più cose in comune con Kurt Cobain che con Ice Cube. Non è il pallore della sua pelle che dovrebbe interessarci bensì la nera profondità senza fondo della sua rabbia. Ci sta dicendo qualcosa che forse non vogliamo sentire, con parole che non approveremmo, ma ci sta raccontando una sorta di verità. Sarà interessante vedere se potrà farcela laddove Presley e Jagger non riuscirono – laddove il povero e predestinato Cobain non poteva sopportare di non riuscire – e guadagnarsi l’approvazione della maggioranza senza perdere la voce» [1]. Intanto, il film 8 Mile (racconta la storia del suo alter ego Jimmy ”Rabbit” Smith, in pratica una versione aggiornata di classici sul successo come forma di riscatto sociale tipo La febbre del sabato sera, con un tocco di rabbia alla Gioventù bruciata e culto della vita di gruppo tipo West Side Story), prodotto da Brian Grazer (il miglior amico del regista più buonista che ci sia, quel Ron Howard ex Rickie Cunningham di Happy Days che ha diretto tra l’altro Apollo 13 e Beatiful Mind) gli è valso l’Oscar per la miglior canzone originale, Lose Yourself, sconfiggendo Bono e Paul Simon, e pure come attore non se l’è cavata male. Come ha scritto Paola Jacobbi su ”Specchio”, «l’interpretazione è di valore, i critici non hanno avuto motivo di storcere il naso. Si penserà che il film è così fortemente autobiografico che l’effetto realismo è il minimo che ci si possa aspettare. Ma non è solo questo. Il fatto è che un personaggio che solitamente divide, qui unisce. Eminem edulcorato da Hollywood? Eminem passato per le armi dalla banda degli onesti capeggiata da Rickie Cunningham? Sarebbe come se Marilyn Manson finisse a presentare Sarabanda. No, in 8 Mile, grazie al talento di Curtis Hanson e alla propria spontaneità, è riuscito a fare di se stesso un personaggio poetico, attraverso cui raccontare un mondo desolato eppure gonfio d’amore […] La domanda è: che cosa c’entra l’eversivo Eminem, il re della parolaccia e dell’insulto politicamente scorretto, con tutto questo? C’entra. Il Sogno Americano è un pezzo di tela a stelle e strisce elasticizzato, ci si può rivestire qualunque cosa. Anche una favola nera e sgradevole come quella di Eminem. Che, comunque, sul suo ruolo nel mondo ha le idee chiare, quando pontifica, durante i suoi concerti: ”Non drogatevi, non fate sesso senza proteggervi, non siate violenti. Lasciate che queste cose le faccia io”» [16]. Note: [1] Sean Hagan, ”The Observer” - ”Sette” n. 9/2003; [2] Stefano Pistolini, ”L’Espresso” 1/2/2001; [3] Antonio Orlando e Benedetta Pignatelli, ”GQ” aprile 2001; [4] Giuseppe Videtti, ”Il Venerdì” 23/2/2003; [5] Ernesto Assante, ”la Repubblica” 25/2/2001; [6] Luca Sofri, ”Panorama” 3/5/2001; [7] Massimo Poggini, ”Max” febbraio 2003; [8] Alan Roubini, ”Il Venerdì” 18/10/2002; [9] Stefano Pistolini, ”L’Espresso” 22/7/1999; [10] Paolo Scarpellini, ”Panorama” 15/7/1999; [11] Goffredo Buccini, ”Corriere della Sera” 20/7/2002; [12] Marco Cresci, ”Maxim” giugno 2002; [13] Riccardo Bertoncelli, ”Max” ottobre 2000; [14] Alberto Dentice, ”L’Espresso” 9/1/2003; [15] Gino Castaldo, ”la Repubblica” 25/2/2001; [16] Paola Jacobbi, ”Specchio”, 22/2/2003.