Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 25 Lunedì calendario

EUSEBIO da Silva Ferreira Maputo (Mozambico) 5 gennaio 1942. Ex calciatore. Del Benfica e del Portogallo

EUSEBIO da Silva Ferreira Maputo (Mozambico) 5 gennaio 1942. Ex calciatore. Del Benfica e del Portogallo. «Anche se proveniva dall’Africa, per un decennio ha simboleggiato la risposta europea a Pelé. Stesso colore di pelle, stessa infanzia povera e stessi inizi calcistici a piedi scalzi. Stessa dimestichezza con il gol: oltre mille le reti segnate dal brasiliano, più di 700 quelle attribuite a lui. Stessa fedeltà alla propria squadra: se Pelé ha lasciato il Santos solo per consumare gli ultimi spiccioli della carriera nei Cosmos, Eusebio è rimasto legato al Benfica per 15 stagioni, scegliendo lui pure gli Stati Uniti per trascorrervi gli anni conclusivi della sua lunga avventura nel mondo del pallone. Talvolta anche lo stesso numero di maglia, il dieci, che Pelé non ha mai abbandonato, mentre lui lo ha alternato col nove e con l’otto. A distinguerli c’erano i soprannomi. Pelé era ‘la perla nera’, mentre lui era ‘la pantera nera’, omaggio alle sue movenze feline. Sessant’anni fa, quando venne al mondo, il Mozambico era ancora una colonia portoghese e l’anagrafe funzionava male. Questo spiega qualche divergenza sulla sua data di nascita: il 5 gennaio secondo lui, il 21 o il 25 a parere di alcuni biografi e di qualcuno dei suoi sette fratelli. Anche se restò orfano ad appena cinque anni, ereditò la passione per il calcio dal padre, discreto centravanti del Ferroviario di Lourenco Marques, l’attuale Maputo, capitale del Mozambico. Anche lui giocava centravanti. Fisico poderoso ma grande agilità, il sinistro migliore del destro, un dribbling irresistibile, un tiro secco e preciso, un’acrobatica abilità nel gioco di testa e una consolidata infallibilità dal dischetto del rigore. I primi a intuire le straordinarie potenzialità di quel ragazzo di colore furono un italiano e un brasiliano. L’italiano era Ugo Amoretti, portiere della Juventus nell’anteguerra, che si trovava in Mozambico per lavoro e lo segnalò al club bianconero, che però nicchiò perplesso. Il brasiliano era Carlos Bauer, allenatore di una squadra che si recò in Mozambico per un’amichevole. Di passaggio a Lisbona, Bauer informò il suo amico Bela Guttmann, il mister ungherese che guidava il Benfica dopo una breve esperienza al Milan. ‘Ho visto un negretto formidabile che corre i 100 metri in 11’’ netti e che col pallone sa fare di tutto’. Il Benfica non perse tempo e nel ‘58 convinse Eusebio a trasferirsi a Lisbona, dove il ragazzo venne aggregato al settore giovanile, anticamera del debutto in prima squadra a 19 anni. Cominciò il lungo e felice matrimonio tra la ‘pantera nera’ e la più popolare squadra portoghese, che nel ‘62 conquistò la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva grazie a Eusebio, autore di due gol nella finale di Amsterdam contro il Real Madrid. Un anno più tardi Eusebio a Wembley segnò anche al Milan, che però capovolse il risultato con una doppietta di Altafini. ‘Senza nulla togliere ai meriti del Milan - racconterà Eusebio - fummo penalizzati dall’infortunio a Coluña perché all’epoca non c’erano ancora le sostituzioni’. Nel ‘65 fu invece l’Inter a battere il Benfica nella finale europea, giocata sotto il diluvio a San Siro. Un altro rimpianto per Eusebio, ‘Tradito dal pallone viscido, il nostro portiere Costa Pereira si fece passare tra le gambe il tiro sferrato da Jair. Una papera storica’. La quarta finale di Coppa dei campioni giocata dal fuoriclasse del Mozambico è datata 1968. Una nuova delusione per Eusebio, ancora a Wembley, dove il Manchester United s’impose al Benfica nei tempi supplementari coi gol di Bobby Charlton e George Best. Dieci titoli e cinque Coppe sono il bottino in Portogallo del Benfica di Eusebio, che l’Europa consacrò nel ‘65 con l’assegnazione del Pallone d’oro, preferendolo a Facchetti. Ma il capolavoro di Eusebio arrivò nei quarti di finale del Mondiale ‘66, allorché il Portogallo affrontava a Liverpool la sorprendente Corea del Nord, che quattro giorni prima aveva clamorosamente eliminato l’Italia, mentre i lusitani si erano sbarazzati del Brasile, privo però di Pelé, brutalizzato nella partita d’esordio dai ruvidi difensori bulgari. Palla al centro e gli asiatici erano già in vantaggio. Un gol al primo minuto, un altro al 22’, il terzo al 24’. Una successione incredibile. La Corea del Nord pareva avviata verso un’altra sensazionale impresa dopo quella che era costata l’eliminazione alla nazionale azzurra. A quel punto cominciò però lo show di Eusebio, che anche in nazionale giocava spostato a sinistra per fare posto al gigantesco Torres. Quattro gol della ‘pantera nera’, due per tempo, capovolsero il punteggio, arrotondato infine da José Augusto, manco a dirlo su assist di Eusebio. Wembley, però, fu ancora fatale al portoghese d’Africa, il cui gol su rigore in semifinale non bastò a rimontare la doppietta di Bobby Charlton, che proiettò l’Inghilterra verso il titolo mondiale. Al Portogallo restò la consolazione del terzo posto, strappato all’Urss, miglior piazzamento nella storia del calcio lusitano. Eusebio segnò ancora dal dischetto: è il suo nono gol nel torneo, che gli consegnò il titolo di capocannoniere mondiale. Le imprese della ‘pantera nera’ in Inghilterra avevano sbalordito il mondo e colpito la fantasia di Angelo Moratti, che era sul punto di portare Eusebio all’Inter, dopo aver tentato invano di acquistare Pelé. ‘Avevo 24 anni - riferirà il campione africano - e la prospettiva di un’esperienza in Italia mi affascinava e mi onorava. Mi recai a Milano con mia moglie per incontrare Angelo Moratti e firmare un contratto triennale. Il prezzo? Cinquecento milioni, mi pare. Metà al Benfica e metà a me. Ero raggiante, stavo per coronare un sogno. Ma a gelare la mia gioia pensò la Federcalcio italiana, che decise di sbarrare le frontiere, conseguenza della sconfitta azzurra al Mondiale inglese. Maledissi i nordcoreani, strappai il contratto e rimasi al Benfica’. Altre nove stagioni nella squadra di Lisbona, alcune scandite da sei infortuni al ginocchio sinistro e da altrettante operazioni’» (Mario Gherarducci, “Corriere della Sera” 5/1/2002).