Varie, 25 febbraio 2002
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EVERETT Rupert Norfolk (Gran Bretagna) 29 maggio 1959. Attore • «Bravo attore dalla bellezza disarmonica e tagliente, s’è costruito una buona carriera non soltanto con i classici Shakespeare e Wilde (Sogno di una notte di mezza estate, Un marito ideale) o con i registi italiani (Cronaca di una morte annunciata di Rosi, Gli occhiali d’oro di Montaldo, DellaMorte DellAmore di Michele Soavi), ma soprattutto interpretando due personaggi inglesi obsoleti se non quasi scomparsi: l’aristocratico e il giovanotto
EVERETT Rupert Norfolk (Gran Bretagna) 29 maggio 1959. Attore • «Bravo attore dalla bellezza disarmonica e tagliente, s’è costruito una buona carriera non soltanto con i classici Shakespeare e Wilde (Sogno di una notte di mezza estate, Un marito ideale) o con i registi italiani (Cronaca di una morte annunciata di Rosi, Gli occhiali d’oro di Montaldo, DellaMorte DellAmore di Michele Soavi), ma soprattutto interpretando due personaggi inglesi obsoleti se non quasi scomparsi: l’aristocratico e il giovanotto. Intelligente, autodistruttivo, spiritoso, ha fatto nel primo film Another Country di Marek Kanievska (1984) un personaggio alludente a Guy Burgess, a Donald Mac Lean e al nobile anni Trenta divenuto informatore dei sovietici in odio al proprio ambiente. Ha fatto in Ballando con uno sconosciuto di Mike Newell il giovane cinico aristocratico che portò alla morte l’ultima donna legalmente impiccata in Inghilterra. Ha fatto un principe di Galles gonfio, maligno e magnifico ne La pazzia di re Giorgio di Nicholas Heytner. Elegante e autoironico, ha recitato quel tipo di giovanotto inglese alla Woodehouse che soltanto Hugh Grant arriva a impersonare bene quanto lui: accanto a Madonna in Sai che c’è di nuovo? di Schlesinger (la coppia amichevole gay-maestra di yoga aveva pure un figlio), accanto a Julia Roberts ne Il matrimonio del mio migliore amico di Hogan. Ha recitato infine una perfetta fusione di aristocratico-giovanotto come nobile inglese affittacamere a Londra per i turisti italiani: in South Kensington, di Carlo Vanzina» (Lietta Tornabuoni, ”L’espresso” 26/2/2004). «Una figura di Egon Schiele passata attraverso un personal trainer. Così l’ha definito Matthew Sweet giornalista dell’’Independent”. Immagine efficace e non solo fisicamente. Perché Rupert Everett è uomo dai mille volti e dalle mille contraddizioni. Ambiguo e inquietante, amante traditore e anche amico fedele, capace di interpretare ruoli cupi e perversi e subito commedie leggere e glamorous. Le biografie lo dipingono come giovane scozzese di famiglia benestante, arrogante e ribelle, continuamente in conflitto con insegnanti e istituzioni. Nonché intellettuale inquieto e artista eclettico che sebbene già affermato sulla scena internazionale si lancia in sempre nuove avventure creative. Alla fine degli anni Ottanta tenta la strada della musica e registra due album di scarso successo. Nel 1991 scrive due romanzi e intanto, nonostante dichiari apertamente la sua omosessualità, riesce a sperimentare ruoli sempre diversi, negli oltre 35 film che interpreta da Another Country in poi. Insomma, tutto farebbe pensare a un enfant gaté, egoista e narciso, coccolato dai fan e dai registi che ne apprezzano professionalità e versatilità. E invece ecco: a 45 anni Rupert Everett è cambiato. Ultima interpretazione: ambasciatore di buona volontà del Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria. [...] Everett è tornato diverso. Più dolce, più fragile, più distaccato. Meno Schiele di quanto appaia sullo schermo e poco interessato a palestre e personal trainer. Un signore inglese colto e pacato che nella hall di un albergo molto ’cosy’ invita a bere una tazza di tè di fronte a un caminetto. [...] ” vero sono sempre stato un uomo molto egoista e concentrato su me stesso. E il mestiere d’attore non ha fatto che ingigantire l’ossessione per la mia persona. Poi un mio amico, buddista come me, nel 2002 mi chiese di accompagnarlo in Etiopia per fare un documentario sulla carestia. Fu un periodo orribile. Proprio io che non volevo sentir parlare di Aids e di malattie! Io che ogni volta che qualcuno cercava di coinvolgermi avevo come unica reazione scappare nella direzione opposta. Nella strada di ritorno finii a Nairobi e lì ho incontrato una donna che lavorava in un orfanotrofio, uno dei posti più orribili che si possano immaginare. Si occupava di circa 700 orfani in condizione di totale miseria. Fu lei per prima a chiedermi se in quanto star potevo fare qualcosa per aiutarla a racimolare fondi. [...] Tornato a casa l’unica preoccupazione era dimenticare tutto. Di nuovo fui totalmente preso da me stesso. Finché nel 2002 ricasco in una conferenza per l’Aids organizzata a Barcellona da Mtv. Lì capisco che la mia presenza aiutava davvero a raccogliere molto denaro. Quando ho incontrato il Global Fund non potevo e non volevo più sottrarmi. [...] Io non ho mai dichiarato niente. Semplicemente non mi sono mai nascosto. E quando un giornale per l’appunto nell’89 scrisse che io ero gay, non ho smentito. [...] Il mio rapporto con lo show business è sempre stato un continuo ’up and down’. E non so valutare quanto c’entri l’omosessualità. Certamente ha cambiato me. Mi sono sentito bene nell’essere sincero con i miei fan, con il resto del mondo, con me stesso. E credo che la mia sincerità sia stata apprezzata. Altra cosa sono i diritti civili: ancora oggi non è facile essere gay. Come non è facile essere donna o essere neri [...]» (Alessandra Mammì, ”L’espresso” 26/2/2004).