Varie, 25 febbraio 2002
FAZIO Antonio
FAZIO Antonio Alvito (Frosinone) 11 ottobre 1936. Economista. Ex governatore della Banca d’Italia (l’ottavo 1993-2005). Alberto Statera (“la Repubblica” 20/12/2005): « Gennaio 1993, anno centenario della Banca d’Italia. “Famiglia Cristiana” apre le danze. In un articolo intitolato “La Loggia mette il veto”, ipotizza ingerenze laico-massoniche e racconta che il governatore Carlo Azeglio Ciampi, che vuol lasciare a fine anno l’incarico e sotto accusa per non aver avvertito in tempo che il cambio della lira non è più sostenibile, sarebbe intervenuto contro la nomina a suo successore del cattolico Lamberto Dini e, men che meno, di Antonio Fazio. Paolo Cirino Pomicino e Umberto Bossi sparano ad alzo zero su Ciampi. Ma Scalfaro lo incarica di formare il nuovo governo. Così, in un crescendo di retroscena veri o presunti, nell’evocazione di poteri laico-massonici e di pressioni d’Oltretevere, si arriva alla successione di Ciampi. Non Tommaso Padoa Schioppa, che Ciampi preferiva, non Mario Monti, candidato di Andreatta, un democristiano più laico dei laici, ma Antonio Fazio, sponsorizzato da una parte della Dc in disfatta e dalle gerarchie ecclesiastiche, che lo conoscono come superbo cultore di San Tommaso, oltreché sostenitore dei Legionari di Cristo e, se non suprannumerario, autorevole simpatizzante dell’Opus Dei di Escrivà de Balaguer». • Massimo Gramellini (“La Stampa” 17/12/2005): «La sua elezione al soglio supremo della finanza in sostituzione di Ciampi, il 4 maggio 1993, venne salutata da un coro generale di evviva, mentre ad Alvito il paese intero scendeva in piazza a festeggiare il suo eroe, figlio di contadini e fratello di un piccolo costruttore locale diventato sindaco e ribattezzato Cementone. Politici, sindacalisti, banchieri e analisti internazionali dichiaravano convinti che era stato eletto il migliore e facevano a gara nel ricordare le sue umili origini, la laurea 110 e lode, l’apprendistato americano col guru Modigliani, il pragmatismo avulso dalle fumisterie degli economisti professorali, la costruzione del modello econometrico della Banca d’Italia e la paternità del piano di risanamento realizzato dal governo di unità nazionale di Giulio Andreotti. I commentatori esaltavano “l’uomo giusto senza ombre”, “lo studioso che ha superato tutte le tappe di una carriera irta di ostacoli”, persino “l’angelo custode dei piccoli risparmiatori”». • Geminello Alvi (Corriere della Sera” 5/5/2003): «La Banca d’Italia fu la sola istituzione della Prima Repubblica che rinforzò i suoi poteri. E la politica monetaria assunse un’inevitabilità che a governi e ministri non restò che subire. Anche quando poi si chiameranno Ciampi o Prodi, al quale tassi a breve bassi servivano più che mai, a ridurre il deficit per Maastricht. Ma la crisi del 1995, quella messicana, fu più grave di quanto s’ammise. Il cambio della lira con il marco crollò rovinosamente e vacillò il debito pubblico. Almeno da allora in poi Fazio fece alla sua maniera. Elevò i tassi e li tenne alti anche dopo aver salvato la lira, al fine di ribassare le aspettative di inflazione e per questa via i tassi a lunga». • Dario Di Vico (Corriere della Sera 20/12/2005): «Almeno fino al ’97, Fazio aveva accumulato meriti. La sua interpretazione della politica monetaria aveva permesso di evitare la ripresa dell’inflazione e di arginare le pressioni del potere politico. Nella dozzina di Considerazioni Finali, curate fino all’ultima virgola, si possono leggere analisi brillanti degne di un economista di rango, e in fondo dobbiamo a lui il contributo più chiaro e tempestivo alla diagnosi del declino italiano. Quando però, una volta entrata l’Italia nell’euro, il governatore si è voluto ergere a deus ex machina delle trasformazioni del mercato è stato l’inizio della catastrofe. La parola concorrenza non è mai entrata nel suo dizionario e Fazio ha finito per imporre una sorta di “protettorato bancario”. Ha pensato di poter congelare il sistema creditizio e rinviare sine die l’apertura agli stranieri. Da keynesiano vecchio stampo che aveva frequentato il Mit degli anni ’60, il governatore è stato il più pervicace degli interventisti. Ed è caduto perché alla fine ha creduto che si potesse fermare il vento della globalizzazione con le mani di Gianpiero Fiorani» • Aldo Cazzullo (Corriere della Sera 20/12/2005): «Neanche a Ciampi era accaduto di scoprirsi candidato al ministero dell’Economia in un governo di sinistra (il D’Alema bis) e in un altro di destra. Eppure, dopo la caduta del suo avversario storico Giulio Tremonti, Fazio fu tra i candidati alla successione. È allora, nell’interpretazione dell’amico- nemico Cossiga, che “cerca di acquisire potere politico in forme fanciullesche”. Cerca cioè di costruire una rete politica che vada oltre i rivali di Tremonti, l’asse An-Udc e l’opposizione diessina. E prosegue nella tessitura di nuove alleanze finanziarie, alternative all’establishment del Nord (cui si era aggiunto il presidente di Capitalia Geronzi); perché con l’establishment “lo stregone di Alvito”, come l’ha definito Diego Della Valle, aveva ormai rotto. Un nuovo interlocutore in Lombardia, in grado di portargli l’appoggio della Lega e di finanzieri emergenti, Fazio l’aveva trovato. Giovane, spregiudicato, devoto. A lui. “Ah Tonino... io sono commosso, con la pelle d’oca, io ti ringrazio, io ti ringrazio... Guarda, ti darei un bacio in questo momento, sulla fronte, ma non posso farlo... So quanto hai sofferto, prenderei l’aereo e verrei da te in questo momento se potessi”. Così, 12 minuti dopo la mezzanotte dell’11 luglio 2005, Giampiero Fiorani si rivolge al Governatore, che lo avverte di aver autorizzato l’Opa della Banca popolare italiana sull’Antonveneta. “Fuge rumores”, evita le chiacchiere, era una delle massime preferite di Fazio. Cui però, nella sicurezza che gli veniva dal potere, accadeva di lasciarsi sfuggire qualche parola di troppo. “Dategli un po’ di botte, così se ne va” aveva detto alla scorta per liberarsi di Valerio Staffelli che gli porgeva il Tapiro di Striscia la notizia (“Andatevene o vi faccio dare un po’ di botte” dirà per celia Tremonti agli inviati all’assemblea del Fondo monetario, facendo l’accento ciociaro). Al telefono con Fiorani, il Governatore si inoltrava in spiegazioni logistiche su come raggiungere lo studio di Via Nazionale dall’ingresso secondario senza dare troppo nell’occhio: “Allora... l’unica cosa... passa come al solito... dal dietro... dietro di là...”» • Il 25 luglio 2005 un sequestro giudiziario impose lo stop alla scalata occulta alla Banca Antonveneta da parte della Banca Popolare Italiana (ex Lodi) di Gianpiero Fiorani e dei suoi alleati non dichiaratisi alla Consob • Fazio si dimise da governatore il 19 dicembre 2005. Elena Polidori (“la Repubblica” 20/12/2005): «A metà mattina riceve Paolo Emilio Ferreri, il decano del Consiglio superiore, l’organo che decide nomina e revoca del governatore. Con loro c’è anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli. Ed è una riunione delicatissima: l’organismo è spaccato, c’è chi è pronto a sfiduciarlo oggi, nella riunione già convocata in contemporanea con quella del governo. Qualcuno giura che gli “anti-fazisti” sono 7 su 13 e possono diventare 9, quanti ne bastano a norma di statuto per sfilargli il mandato e revocarlo. Altri assicurano che sono solo 4 o 5. Ma non è una questione di numeri: per Fazio, è una spina nel fianco in più, un altro fronte aperto. Passa un’ora, ne passano due. Poi tutti e tre si chiudono nella “sala verde”, un tempo l’ufficio di Carlo Azeglio Ciampi, oggi adibito a foresteria, dove c’è un tavolo ben apparecchiato, col tradizionale mazzo di fiori freschi e i camerieri in livrea. Pranzo frugale ma indigesto: l’ultimo da governatore, per Fazio. A quell’ora, la decisione è già maturata, ma non è ancora pubblica. La sanno in pochissimi: i membri del Direttorio, ovvero Desario e i due vicedirettori generali, Pierluigi Ciocca e Antonio Finocchiaro, che con il governatore hanno lavorato fianco a fianco per trenta, anche quarant’anni, fin da quando erano giovani. Il fedele Angelo De Mattia, segretario particolare e consigliere nei rapporti col mondo politico. La segreteria di sempre, la signora Martini. Secondo i nemici, sono questi i pochissimi che gli sono rimasti vicini. Ormai, raccontano, il governatore non vedeva più nessuno, non aveva più contatti nemmeno con i banchieri che contano. Fazio sa che, senza le dimissioni, avrebbe vissuto oggi una giornata traumatica e insostenibile, l’ennesima. Conosce bene il ministro dell’economia Giulio Tremonti: sono tre anni che litigano. Intuisce che stavolta è deciso ad andare fino in fondo col suo progetto fatto di nuove regole e, soprattutto, di un nuovo governatore. E allora cerca di trattare la resa. Spera in cuor suo di uscire a testa alta, di strappare magari la nomina a governatore onorario come molti suoi predecessori: l’ultimo Ciampi, che gli cede il posto nella primavera del 1993. Cerca di suggerire il nome di Desario, come suo successore, un “interno”, come è sempre avvenuto. Sembra che si consulti a lungo con il sottosegretario Gianni Letta su tutti questi temi. Alla fine, nella solitudine della sua coscienza stabilisce che è meglio fare una scelta personale, finché si può, finché la situazione lo consente. Dicono che fino a sabato scorso ancora sperava di farcela, di spostare la battaglia finale sulla “governance” dell’istituto e quindi sul suo stesso destino in Parlamento, dove ci sono i deputati e i senatori amici, quelli che per due anni lo hanno difeso con cavilli e mozioni, emendamenti, e dichiarazioni. Ma dicono anche che adesso, di fronte alle deposizioni del banchiere Fiorani, al pressing politico, alla storia imbarazzante dei regali, ai risvolti internazionali e tutto il resto, questi stessi parlamentari non se la sentano più di stare al suo fianco, nel momento della sconfitta. Perciò: meglio prendere l’iniziativa, anche se dolorosissima. Meglio le dimissioni che una estromissione. Oltretutto c’è anche il rischio, concreto, di un pronunciamento “contro” dei banchieri più importanti, che pure si riuniscono oggi, all’Abi. Il colloquio col Direttorio è veloce. Tutti capiscono al volo. Tutti sanno già tutto. E tutti sono consapevoli che comunque, quali che siano le ragioni, il cambio di un governatore non è un evento qualsiasi, che capita tutti i giorni. Nella storia della banca, se si esclude Paolo Baffi, ingiustamente incriminato, tutti gli altri sono rimasti dieci anni, se non quindici anni o anche più. È costume dell’istituto raccogliere in un volumetto i relativi discorsi: “decennale”, s’intitola. Ma il resto di via Nazionale è preso di contropiede. Si sapeva, certo. S’era capito che qualcosa poteva accadere. Ma alle 16,22, quando la notizia delle dimissioni arriva, regna lo sconcerto. Nei corridoi, al bar, negli uffici, si raccolgono sfoghi. “Evviva”, si lascia sfuggire un esperto che scongiura l’anonimato. “Peccato”, sospira un altro». • Il processo Antonveneta si aprì il 23 ottobre 2008, tra i 17 imputati accusati di aggiotaggio e ostacolo agli organismi di vigilanza, Fazio e Fiorani. Il 28 maggio 2011 la Seconda sezione penale di Milano ha pubblicato la condanna di Fazio per aggiotaggio a quattro anni di carcere, un milione e mezzo di multa e l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Decisiva la testimonianza di Giampiero Fiorani (febbraio 2010), condannato a un anno e 8 mesi: «Io lo informavo passo passo di tutto quello che accadeva». E ancora: «Fu il governatore a dirmi: “Dobbiamo bloccare l’Opa degli olandesi”... Già nel 2004 Fazio mi diede l’ok, perché lui era per l’italianità delle banche». L’ex governatore ha sempre smentito questa versione: «Se mi dite che sono lo “stratega occulto” della scalata o “l’istigatore di Fiorani” dico che è assolutamente falso», dichiarò il 13 gennaio 2010 ai magistrati. Walter Galbiati (“la Repubblica” 29/5/2011): « Il processo ha finora dimostrato che non era possibile seguire la via maestra, la strada legale, perché la Popolare di Lodi non aveva i requisiti patrimoniali per comprare la banca Antonveneta. Solo il potere del governatore Antonio Fazio era in grado di permettere a una banca di provincia di contrastare un colosso come Abn Amro e di trasformarne il numero uno della Lodi, Gianpiero Fiorani, nell’alfiere dell’italianità. Sotto Fazio, la Popolare di Lodi passa dal 48° posto al 7° nell’ambito del sistema bancario nostrano. E, secondo la ricostruzione dei pm Eugenio Fusco e Gaetano Ruta, il sodalizio tra i due sarebbe nato col Forex tenutosi a Lodi nel febbraio 2002. A quell’evento partecipano ben cinque ministri e cambiano i rapporti tra Fazio e Fiorani, dal “lei” si passa al “tu”, diventano talmente intimi da sfociare nel “bacio in fronte” che Fiorani avrebbe dato volentieri a Fazio il giorno del via libera all’offerta pubblica su Antonveneta. Fazio, però, sposa la causa della Lodi non solo per la personale stima verso Fiorani, ma anche perché la crescita del banchiere padano gli permette di tenere a bada le altre banche italiane e di contrastare l’avanzata di quelle straniere. Emblematici due episodi emersi nel processo. Cesare Geronzi, ai tempi al vertice di Capitalia tra i pretendenti a comprare Antonveneta, ha dichiarato a dibattimento che il dialogo con il governatore su Antonveneta si era chiuso con la frase di Fazio: “Per Antonveneta c’è un’altra soluzione”. E con un’altra frase, messa a verbale da Fiorani, Fazio liquida gli olandesi. L’8 marzo, nel corso di un incontro in Banca d’Italia al quale partecipano Fazio, Frasca e l’amministratore delegato di Abn Amro, Groenik, il governatore invita gli olandesi, maggiori azionisti di Antonveneta, a recarsi da Fiorani, lasciandosi sfuggire un dettaglio fino ad allora ignoto al mercato: “Tanto siete entrambi al 15%”. A quei tempi invece tutti sapevano che la Lodi aveva in portafoglio solo il 5% della banca padovana. A cosa mirava il governatore lo spiega ancora una volta Fiorani. “Il governatore mi dice: ‘Voi dovete superare il giro di boa del 50%’. Il 4 di aprile il governatore mi chiede di dargli una specifica di questi nominativi, di dirgli... vediamo a che punto siamo, perché il messaggio è ‘devi superare il 50%’ cioè, dobbiamo far fallire l’offerta di Abn Amro”. Per compiacere Fazio e arrivare al 50%, Fiorani - stando alla requisitoria dei pm - compie tutta una serie di reati. Rastrella titoli Antonveneta in conto proprio, con derivati di Deutsche Bank, SocGen, Jp Morgan e Dresdner, ma anche attraverso l’interposizione di clienti della banca, i “bresciani” e “i lodigiani” che facevano riferimento rispettivamente a Emilio Gnutti e a Silvano Spinelli. E ancora si appoggia agli immobiliaristi Stefano Ricucci, Danilo Coppola e Luigi Zunino, e ai raider Vito Bonsignore e Domenico Bonifaci. Comunica il falso. Il 15 aprile un comunicato della Banca dice che rastrellerà i titoli: “La Lodi - scrivono i pm - induce il mercato a credere che la decisione di dare seguito al progetto di diventare azionista stabile di Antonveneta, previa valutazione dei prezzi di mercato e dei quantitativi, sia ancora da realizzare; in realtà, il rastrellamento delle azioni Antonveneta è già stato effettuato”. Un concerto occulto che svelerà la Consob a maggio 2005. Una omessa comunicazione del patto che per i pm configura anche un ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia».