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 2002  febbraio 25 Lunedì calendario

FEDE

FEDE Emilio Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) 24 giugno 1931. Giornalista. Direttore del Tg4. Comincia nel 1950 con il Giornale d’Italia, di Roma. Nel 1952 è corrispondente della Gazzetta del Popolo di Torino. Nel 1960 entra alla Rai. Per otto anni è inviato speciale in Africa. Dal 1976 al 1981 presenta il Tg1. Ne diventa direttore nel 1984. Nel 1987 lascia la Rai per la Fininvest. Dirige Rete A, specializzata in notizie sull’Africa; poi Studio Aperto e, dal 1992, il Tg4. Sposato con la giornalista Rai Diana De Feo (Torino 9 marzo 1937), due figlie (Sveva, Simona) • «Ha iniziato la carriera come redattore giudiziario, diventando poi cronista e inviato speciale. Dopo alcuni anni alla ”Gazzetta del Popolo” di Torino, nel 1954 è entrato in Rai, prima come conduttore a contratto (Il circolo dei castori) e, dal 1961, come giornalista fisso del TG, dove si occupava di cronaca varia. Nel 1964 ha sposato Diana De Feo, figlia dell’allora potentissimo vicepresidente della Rai Italo De Feo (da qui gli appellativi di ”ammogliato speciale” e di ”genero di prima necessità”). Ha realizzato numerose inchieste per TV7, tra cui quella famosa sulla bistecca gonfiata dagli estrogeni; quindi è stato otto anni inviato speciale in Africa (per certe note-spese giudicate eccessive è stato spiritosamente ribattezzato ”Sciupone l’Africano”). Ha ricoperto dapprima la carica di caporedattore, poi (dal 1976 al 1981) di vicedirettore e di direttore ”pro tempore” del Tg1 (in seguito all’allontanamento di Franco Colombo, coinvolto nelle liste della loggia segreta P2), che ha diretto dall’aprile 1981 all’agosto 1982. Nel 1983 ha condotto una trasmissione d’intrattenimento, Test. Si è dimesso dalla Rai nel 1987 in seguito a una condanna per gioco d’azzardo, passando a Rete A, di cui ha diretto il notiziario […] Approdato in Fininvest, è stato nominato nel 1989 direttore della struttura informativa Videonews e in seguito ha diretto e condotto Studio Aperto, il Tg di Italia 1. Durante la Guerra del Golfo nel 1991 è stato il primo giornalista a dare l’annuncio dell’attacco americano su Baghdad […] Nel 1992 è diventato direttore del Tg di Retequattro. La sua devozione nei confronti dell’editore, Silvio Berlusconi, è così palese ed esagerata da apparire più tollerabile dell’atteggiamento di quei giornalisti Finivest che fingono invece distacco ed obiettività» (Enciclopedia della Televisione Garzanti, a cura di Aldo Grasso, Garzanti 1996) • «Gli amori sono gli amori e così è anche la famiglia. E se qualcuno mi chiede: e Berlusconi? Dico, lui è la famiglia, non ci sono dubbi, ma non desidero parlare di lui perché non c’è bisogno, ogni tanto mi basta una telefonata. Vorrei precisare che non l’ho mai chiamato ”Silvio” neppure quando lo sogno e lo sogno sempre. [...] Nel 1996 ero un presunto candidato ad un seggio al Senato, e questa voce si era sparsa. Incontrai l’avvocato Agnelli a Ciampino e mi consigliò: ”Emilio, continui a fare il telegiornale perché mi diverto quando la guardo”. [...] Ho un pubblico fedelissimo che mi porto dietro da quando ero direttore-conduttore del Tg1. Si fida di me. Ma sono anche rispettato dagli avversari politici. Per esempio Bertinotti, alla Versiliana, ha dichiarato: ”Fede è un grande professionista e io lo rispetto”. Penso altrettanto di Bertinotti come politico. [...] Cerco di coinvolgere i giornalisti, i colleghi. Dico: dovete comportarvi come vi comportereste nei confronti della persona che amate, dovete essere sempre pronti a qualunque ora. Io comincio alle 9 di mattina e finisco alle 9 di sera. Sto sempre qui. Seguo tutto, virgola dopo virgola» (Alain Elkann, ”La Stampa” 30/11/2003) • «Un grande della commedia italiana. [...] Sono cinquant’anni che sta in tv, lì ha fatto tutto e prima di tutti, sempre e comunque infiammando la fantasia dei critici e dei telespettatori. Lo studioso di comunicazione Edoardo Novelli ha scoperto che già nel 1970 inaugurò in veste di conduttore una versione di ”Tribuna politica” autogestita per il psdi, con Mino Reitano, e Fortebraccio lo definì ”un giovanotto che faceva il buttafuori”. Nelle 55 righe che la Garzantina a cura di Aldo Grasso dedica a Emilio Fede trovano posto ben quattro soprannomi (tre coniati dal collega Carlo Mazzarella), tra l’affettuoso e il malevolo che hanno assecondato la sua inesorabile carriera. E dunque, ”L’ammogliato speciale”, per via del matrimonio con la figlia del potente vicepresidente socialdemocratico della Rai, De Feo; come pure ”Il genero di prima necessità”. Poi ”Sciupone l’Africano”, per le note spese nel continente nero, dove Fede è stato inviato per anni. E infine, non irresistibile: ”Emilio Fido”. E tuttavia, a proposito di quest’ultimo nomignolo va segnalato l’effigie del cagnolino a cui i presentatori di Striscia la notizia attribuiscono tutte le deferenze del direttore del Tg4 verso Berlusconi. In realtà Fede ha davvero poco del cane. A ben vedere non c’è in lui né mansuetudine domestica, né istinto ferino. umano, semmai, troppo umano. Si è fatto la plastica e ancora risulta l’unico ad averla rivendicata: ”Posso anche consigliare il mio chirurgo che sta a Parigi e costa poco”. Ha avuto guai seri con il gioco d’azzardo, ma non l’ha mai nascosto, fino a titolare uno dei suoi cinque libri spudoratamente autobiografici La vita è un gioco (Mondadori). Si è fatto spolpare da maghi e chiromanti. In Africa ha salvato Moro da un leone. Per anni gli amici in Rai hanno raccontato che in tarda età ha fatto la prima comunione a San Pietro per segnalare il proprio passaggio dal fantastico psdi alla corrente fanfaniana. Mago del ”fuorionda”, narcisista indomito, dominato da una vitalità del tutto inusitata, davanti ai riflettori è capace di qualsiasi scena. Memorabile quella delle bandierine appiccate a mo’ di banderillero su una cartina geografica per segnalare i successi berlusconiani: successi di lì a poco rovesciatisi nel loro contrario. Quando scrive, il lettore può restare comprensibilmente perplesso di fronte all’insistenza con cui egli si descrive come uno straordinario bugiardo. Ma poi è anche vero che una volta trovatosi dei terroristi sotto casa, al Gianicolo, è stato uno dei pochissimi a rispondere al fuoco delle Brigate rosse. Bang! Bang! E insomma: una incarnazione evoluta, casereccia e rinforzata di Bel Ami, con scivolamenti progressivi nel genere comico, tanto più in prossimità di ”Lui - come scrive lo stesso Emilio - con la ”elle’ maiuscola”, che neanche a dirlo è Berlusconi. Ecco: proprio quando parla del Cavaliere si capisce che più che al mondo dell’informazione Emilio Fede appartiene all’arte antica del teatro. una risorsa narrativa vivente, un eccezionale attore che con la più professionale spudoratezza ha scelto il ”carattere” dell’adoratore berlusconiana. In nome di questa adorazione, una specie di astuzia mistica anche se di incerta e spesso crudele reciprocità, Fede si dice ”stregato” e rimpiange ad esempio di non poter essere seppellito nel mausoleo di Arcore confessando ”una sorta di odio-amore perché a differenza dagli altri amici una tomba per me non era prevista”. Ma poi si consola: ”Chissà se anch’io oggi ho diritto a un angolino”. [...] Definito dalla sottomissione al padrone, raramente egli si accontenta di essere esecutore obbediente dei progetti. Smania, piuttosto, oppure gode, piange, osserva, consiglia, si fa complice dell’intreccio. Da Aristofane a Plauto, da Molière a Marivaux fino a Beckett il servo, già schiavo e poi assistente o segretario, si erge di fronte al protagonista, lo spinge a muoversi, a esprimersi, a rivelare i propri sentimenti; lo incoraggia ad agire secondo moduli che non si addicono alla dignità del leader, ma gli convengono. Ebbene: più che un semplice alter-ego di Berlusconi, nella Repubblica delle apparenze, Emilio Fido ne rappresenta la coscienza, l’inconscio, il ”non-detto”, il ”non-fatto”. tutt’altro che un servo sciocco. La tradizione italiana contempla semmai servi-buffoni, come Arlecchino o Trivellino. Quella francese, con Scapino Crispino Lubino o Dubois, privilegia il servo d’intreccio, ingegnoso e brillante. Il personaggio Fede, l’attore e la maschera, non l’uomo, porta su di sè tutti i contrasti del potere e dello spettacolo: alienazione e liberazione - nel caso specifico dall’incubo di finire sul satellite - sono le tappe del suo indubbio successo e della sua palese irrequietudine. In compenso, gli si avverano perfino i sogni; o ha il potere magico di farseli avverare. In uno dei suoi molteplici libri dà conto di una immaginaria passeggiata agreste con Berlusconi, ”e intanto - si lancia - andiamo per un sentiero che profuma di ginestra e di fiori di campo”. Poi però ha un sussulto, lo prende l’ansia che ”Lui” possa ”scaricarmi” lungo l’erbosa strada: ”Adagiarmi su un prato, o mettermi a sedere su una panchina lungo il sentiero”. E il pensiero corre a una scena vera e documentata da una indimenticabile sequenza di foto ”rubate” nell’estate del 2002. Quando effettivamente, nel parco della villa sarda La Certosa, il direttore del Tg4 partecipava con il solito gruppo di amici del Cavaliere al rituale rigenerante dello jogging. Ma ecco che, nel mezzo dello sforzo, proprio lui, Fede, inciampava, scivolava e cadeva lungo per terra. E gli altri, con Berlusconi in testa, via di corsa. Era un’immagine, quasi un’icona, al tempo stesso drammatica e comica. Chi glielo faceva fare, a settant’anni suonati, di mettersi a correre sotto lo schioppo del sole di agosto, e per giunta con i fotografi in agguato? Sembrava un pezzo di Fantozzi» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 17/12/2003) • «Barcellona Pozzo di Gotto, accanto alla leggenda del manicomio criminale, e, s’intende, alle sue molte altre attrattive turistiche, custodisce anche il mito d’avere dato i natali a Emilio Fede, il giornalista innamorato pazzo di Berlusconi, al punto d’avere avuto già riservato un loculo nella cappella di quest’ultimo, in terra d’Arcore. Fede infatti vi è nato nel 1931. Un piccolo scorcio di Barcellona, se non ricordo male, figura perfino in una foto. Una foto dove il nostro illustre conterraneo appare in divisa di Balilla accanto al fratello maggiore, e questo a testimoniare la bontà della sua sicilitudine domestica, ciò che Sciascia spiega bene in un racconto intitolato L’antimonio. Com’è noto, il direttore del Tg4, seppure appartiene ormai all’iperuranio del pianeta vip, non ha mai nascosto le proprie origini, valga in proposito il caso in cui, soprattutto nei momenti delle previsioni del tempo affidate alle disastrose post-veline, si lascia andare al ricordo di certi proverbi appresi durante il tirocinio dell’infanzia, e addirittura, incurante del limite, li recita facendo ritorno all’antico idioma: antiche saggezze che, quando fuoriescono dalla bocca di Emilio Fede assumono, chissà poi perché, un tratto di pura irrealtà, suonano davvero improbabili. Sia linguisticamente sia filosoficamente. O forse la spiegazione è molto più semplice del previsto. Emilio Fede, lo sanno ormai tutti, risulta infatti un mutante, una creatura post-umana, un post-giornalista, un post-conduttore, un post-giocatore di carte, un post-siciliano. Senza neppure soffermarsi sulle numerose operazioni di chirurgia plastica cui s’è sottoposto per ragioni certamente d’immagine (l’uomo, il professionista, l’ex volto Rai ha ”cambiato” più facce di un Diabolik; e ti credo, vista l’esposizione quotidiana, chiunque al suo posto l’avrebbe fatto, per puro amor proprio, e dei paparazzi) occorre aggiungere che si tratta di un soggetto antropologico ormai sganciato dal peso d’ogni origine (come già Giampiero Mughini, altro frutto meraviglioso della terra di Sicilia [...]), un’entità astratta che ha ormai preso posto nell’ideale repubblica della società dello spettacolo, un paese confinante unicamente con se stesso. E con le proprie regole: esposizione: sia alle lampade abbronzanti sia nei palazzi dove si decidono le carriere, le promozioni, le prebende, le vacanze in Sardegna. L’uomo Fede però, insieme a tutto il resto, è anche indomito filosofo, parla infatti di sé come un Sandokan, e infine, faccia di bronzo, spiega che le sue ”sono state scelte di ribellione. Da ragazzino contro l’ingiustizia sociale, l’isolamento di un paese dimenticato, dove c’era poco: una sola chiesa, il circolo dei nobili e quello degli altri”. E anche il suo iper-berlusconismo risponderebbe a questa molla giacobina: ”Mi criticano sempre perché sono fedele a Berlusconi. Dovrei negare il mio rapporto d’amicizia, di stima nei confronti di Berlusconi? Sarebbe più facile! Questo che vuol dire? Che la coerenza è ribellione e la ribellione è coerenza”. Parole forti, pensieri da farne un corso monografico presso le università della nostra Isola» (Fulvio Abbate, ”la Repubblica” 5/2/2006) • «Pretendere da Emilio Fede il rispetto della par condicio sarebbe come insegnare a un gatto ad accarezzare un canarino: fatica sprecata. L’istinto è quello, c’è poco da fare, e poi c’è una vecchia partita aperta con il Garante. Una volta, quando fu obbligato da un’ingiunzione dell’Authority a dare spazio anche a Prodi, il sanguigno direttore del Tg4 tirò fuori dal suo archivio tutte le foto peggiori del leader ulivista, quelle con le smorfie più grottesche e quelle con le inquadrature più beffarde, e ogni volta che ne mostrava una faceva un inchino alla par condicio. [...] Naturalmente Fede se ne infischia, delle bacchettate inflitte al Tg4 [...] applica rigorosamente il criterio del 50 e 50. La metà del tempo a parlar bene di Berlusconi e l’altra metà a parlar male di Prodi. [...]» (Sebastiano Messina, ”la Repubblica” 15/2/2006).