Varie, 25 febbraio 2002
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Federer Roger
• Munchenstein (Svizzera) 8 agosto 1981. Tennista. Ha vinto 16 tornei del grande slam (record): sei Wimbledon (2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2009), quattro Australian Open (2004, 2006, 2007, 2009), cinque Us Open (2004, 2005, 2006, 2007, 2008), un Roland Garros (2009). Ha vinto sei edizioni del Masters (record): 2003, 2004, 2006, 2007, 2010, 2011. Con Stanislas Wawrinka ha vinto la medaglia d’oro del doppio alle Olimpiadi di Pechino (2008) • «Un genio che avrebbe saputo competere con altri geni All Time. Forse l’unico contemporaneo capace di afferrare un vecchia Maxply, una racchetta in legno, e colpire la palla con il suono cristallino, simile ad una nota musicale, dei Rosewall e dei Laver» (Gianni Clerici, “la Repubblica” 7/7/2003) • «L’uomo che gioca il miglior tennis del pianeta [...] È nato a Munchenstein, pochi chilometri da Basilea, ed è cresciuto tennisticamente nel centro federale di Bienne. Ha una madre sudafricana, Lynette, ma papà Robert è l’elveticissimo dirigente di un’azienda farmaceutica. [...] Quando deforma il grugno in uno dei suoi rari sorrisi pare il fratellino di Gimli, l’eroico nano del Signore degli Anelli [...] “Sampras serviva meglio - suggerisce Safin - e forse era un po’ più forte nella volée, ma di rovescio era vulnerabile. Roger ha invece tutto, e in più il rovescio”» (Stefano Semeraro, “La Stampa” 2/2/2004) • «A Wimbledon 2003, implacabile come un orologio di precisione, aveva inaridito la bella storia di Mark Philippoussis, rinato dalle ceneri di una carriera che pareva affogata tra formidabili bevute, assortite festicciole e vari acciacchi. Ovviamente tifavano tutti per il ragazzone di Melbourne, perché è naturale, perché nella realtà certe vicende non accadono, mentre nello sport sono paradigmatiche. E invece Roger non fece nessuno sconto, non offrì nessuna concessione alla fata turchina dei tennisti. La carrozza su cui viaggiava l’australiano mezzo italiano e mezzo greco tornò zucca e non rimasero indietro scarpine di vetro. [...] È stato un massacratore di racchette, ha sofferto gli anni nel centro federale della svizzera francese, gli mancava la continuità [...]» (Roberto Perrone, “Corriere della Sera” 2/2/2004) • «Il giovane Federer possedeva già una nativa facilità di gioco, ma avrebbe anche potuto perdersi, non l’avesse accolto e svezzato un centro tecnico di qualità, quello di Ecublens. Digiuno all’avvio non solo di francese, ma anche di battuta e di rovescio, Roger avrebbe trovato aiuti importanti in Freiss, dapprima. E poi in Carter, coach australiano europeizzato. Per finire [...] tra le mani esperte di Lundgren. Un simile elenco di nomi potrebbe far supporre che Roger sia un tennista non meno costruito di un orologio. È vero il contrario. Nel braccio di questo giocatore scorre una vena di ispirazione non molto inferiore a quella di un Sampras. Il pericolo, per simili superdotati, è l’eccesso di facilità. E, di conseguenza, la fragilità psichica di chi non sia abituato a soffrire» (Gianni Clerici, “la Repubblica” 5/2/2001) • «Lo so che molta gente apprezza il mio gioco perché lo trova fluido, variato, un alternarsi di rotazioni, lift e slice, un tennis a tutto campo, rete inclusa. Ma una varietà simile può essere anche uno svantaggio. Se prendete Hewitt, troverete qualcosa che vi sembrerà l’opposto, un’incredibile presenza atletica, una sicurezza mentale impossibile da scalfire. Anche quello è un talento, quasi una fede” […] Il talento può essere una trappola. La possibilità di scelta può confondere. E quel ch’è più pericoloso è il narcisismo. Ci si compiace del colpo miracoloso, si ricevono applausi, si finisce per giocare per gli altri, per il pubblico. È rischiosissimo» (Gianni Clerici, “la Repubblica” 7/5/2003) • «Era già tutto previsto. Dal trionfo a Wimbledon juniores del 1998 all’impresa dei quarti seniores del 2001. Quando, una volta fra i grandi, il 19enne Roger Federer stoppò il 29enne Pete Sampras, il suo idolo, nella corsa al quinto urrah consecutivo sull’erba più famosa dello sport, chiudendo l’ultima epopea ai Championships. [...] Freddo fuori, bollente dentro, lo svizzero perfettino con la passata sempre ferma fra i capelli, la maglietta ben piegata e i vestiti dai colori intonati, ha imposto il suo ritmo, veloce ma non troppo, al tennis mondiale, ha riportato di moda fantasia, varietà e servizio-volée, adottandoli ai tempi e quindi a un più robusto palleggio da fondo, per poi cliccare al momento giusto sul suo braccio magico proprio come fa per ore ipnotizzato davanti all’ultimo video game. “Anche lì è un fuoriclasse”, giura il coach svedese PeterLundgren: “Se non avesse fatto il tennista Roger avrebbe sfondato nel calcio o sarebbe diventato collaudatore di telefonini. Avete mai visto come gli vanno veloci le dita?”. [...]» (Vincenzo Martucci, “La Gazzetta dello Sport” 26/8/2003).