varie, 25 febbraio 2002
FELTRI Vittorio
FELTRI Vittorio Bergamo 25 giugno 1943. Giornalista. Nel dicembre 2010 ha acquistato col collega Maurizio Belpietro il 20% di Libero (da lui fondato, fino al 2009 ne fu direttore). Ha diretto anche L’Europeo, L’Indipendente, Il Giornale • «Prima all’“Europeo” e poi all’“Indipendente” (che aveva rianimato, portato al galoppo e mollato prima che stramazzasse come un cavallo drogato) si era fatto le ossa. Basti ricordare un titolo della sobria campagna elettorale a favore di Marco Formentini: “Perfino Marx era meno rosso di Dalla Chiesa”. O il sottile filo-leghismo che si intravedeva in una pagina dell’aprile 1993: “Bossi alla macchina della verità”. Catenaccio: “Il leader leghista è risultato essere il più sincero tra i segretari di partito sottoposti a un test che gli scienziati giudicano infallibile e che si basa sugli incontrollabili movimenti del volto”. Il pezzo cominciava così: “C’è un politico sincero? Si, è Bossi”. [...] Non che piaccia troppo alla destra italiana. Anzi. In questi anni ha deriso Casini e Mastella come “prefiche” perché stavano sempre a lagnarsi di Berlusconi, ha battezzato Buttiglione “Rocco Tarocco” [...] Resta indimenticabile il dibattito con Giuliano Urbani, colpevole di “inciucismo” ai tempi in cui Maccanico tentava il governo di larghe intese: “Urbani? Mens nana in corpore nano”. [...] E le punture di spillo a Gianfranco Fini? Cominciò: “È un ducetto felsineo”. Proseguì: “È un parlatore senza rivali che non ha mai detto niente”. Concluse: “In pratica non ha mai fatto un accidenti, eccetto frequenti vacanze dall’altra parte del mondo per riposarsi dalle fatiche dell’ozio” [...] Il fatto è che lui, nelle gabbie degli schieramenti, ci sta stretto: “Non sono né di destra né di sinistra. Detesto queste etichette. Mi sono sempre definito di destra per il piacere di dare scandalo. Solo per questo, perché tutti erano di sinistra, perché nessuno aveva il coraggio di proclamarsi liberale, perché era vietato essere anticomunista. Ma io, se proprio devo definirmi, sono un anarchico liberale”. Anarchico, soprattutto. È lì che son nati i guai. Si sa com’è il Cavaliere: adora essere adorato [...] Il suo sogno, raccontò una volta, sarebbe dirigere il “Corriere”, fare un giornalismo “senza toni accesi”, smetterla con un certo tipo di filosfia al quale dice d’esser stato costretto: “Se vuoi portar via lettori agli altri devi puntare sui più arabbiati”. Cosa che gli riesce benissimo. [...] Ma sempre un anarchico resta. Dopo la vittoria del 27 marzo 1994, si sottrae al trionfalismo con un editoriale sul tema: “Una certezza, molti dubbi”. Nell’estate del 1996 riapre a quel Bossi odiato dalla destra come un traditore. [...]» (Gian Antonio Stella, “Sette” n. 47/1997). «Dopo un po’ mi stanco. Non mi interessa essere chiamato direttore, né avere autista, segretarie e compagnia. Mi piace l’aspetto sportivo della direzione. La voglio, per scrivere come mi pare. All’inizio sono ingessato perché non conosco ancora o lettori. Poi, quando li ho capiti, me li vedo davanti come in un teatro e volo libero [...] Quello che mi dava fastidio al “Giornale”, anche se facevo come volevo, era far parte di una scuderia [...]» (Giancarlo Perna, “Panorama” 12/8/2004). «Quello che mi scocciava di più, quando dirigevo ‘il Giornale’, è che qualsiasi cosa scrivessi, dicevano che era un servizio a Berlusconi [...] Quando lasciai ‘il Giornale’, Fedele Confalonieri mi commissionò un progetto per un tg diverso. Io lo elaborai assieme a Massimo Donelli, che allora era condirettore di ‘Panorama’. Il progetto entusiasmò i capi di Mediaset. Confalonieri mi disse solo che serviva l’ok di Berlusconi e la scelta della rete. Da allora non ne ho più saputo nulla, salvo che c’era stata una sorta di sollevazione dei capi testata [...] Ho fatto campagne giuste, ma ho anche commesso un paio d’errori [...] Quando è uscito il rapporto Mitrokhin ho sparato il titolo ‘Giornalisti di Repubblica vergogna’. Io volevo solo accusarli di doppiopesismo perché quando uscirono le liste della P2 non andarono tanto per il sottile, mentre ora diffondevano molto scetticismo su quelle liste del Kgb. Sarebbe stato meglio che avessi espresso un’opinione, invece di lanciare un’invettiva» (Renzo Di Rienzo, “L’Espresso” 2/3/2000).