Varie, 25 febbraio 2002
FERRAROTTI
FERRAROTTI Franco Palazzolo Vercellese (Vercelli) 7 aprile 1926. Sociologo • «Torino, Ivrea, Roma. Sono alcuni luoghi, ”fisici e mentali”, della biografia intellettuale di Franco Ferrarotti, piemontese di Palazzolo Vercellese, professore emerito di Sociologia nell’Università La Sapienza, Premio per la Sociologia 2001 dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Ferrarotti li rivisita, con estrema lucidità, e legittima soddisfazione, nel libro La società e l’utopia (Donzelli, 134 pagine, 22.000 lire), dove esprime giudizi anche caustici. A Torino, ferita dai bombardamenti e dalla fame, Ferrarotti arriva, molto giovane, ”povero di soldi, ricco di energia”, nel 1943, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia. L’obiettivo è conquistarla. Studia 10 ore al giorno. Conosce la città ”camminando da pensione a pensione, da alloggio a alloggio”. Si dà molto da fare per tradurre, il suo modo per sopravvivere. Si imbatte in alcuni ”amici straordinari”, per puro caso e persino per errore: Felice Balbo; Cesare Pavese, che gli dà da fare delle traduzioni, attorno alle quali si costruisce il loro rapporto e con il quale si intende ”a occhiate”; Nicola Abbagnano, dalla cui collaborazione nascono I Quaderni di Sociologia (il primo numero esce nell’estate del 1951). ”Abbagnano riconobbe nella sociologia lo strumento che gli dava la possibilità di uscire dalla filosofia tradizionale e di dare alla sua coscienza problematica un fondamento scientifico”. Sono anni meravigliosi. E deve ringraziarli: gli fanno capire che ”la ricerca sociale, empirica, di fatto consentiva, per prima cosa, la partecipazione dell’umano all’umano... E poi significava anche lotta contro l’ufficialità”. Che è il pane per uno studente universitario che si considera un ”anarco-sindacalista”, interessato alla Sociologia critica americana. A dispetto di Benedetto Croce che aveva stroncato sul ”Corriere della Sera” la sua traduzione del saggio di Thorstein Veblen La teoria della classe agiata. Ivrea suggella l’incontro, politico, ideologico, spirituale e ideale, con Adriano Olivetti, e i primi collaboratori delle Edizioni di Comunità, sulla strada dell’utopia. ”L’utopia era industrializzare senza rovinare l’ambiente. Anticipavamo di 50 anni le chiassose polemiche odierne contro il G8. Eravamo l’avanguardia, misconosciuta, del ”popolo di Seattle’”. L’ingegnere è ”la possibilità di avere una sintesi della ricerca sociale, sociologica, e dell’impeto trasformatore e riformatore che era in fondo ciò che volevo”. A Ivrea non esisteva la parola licenziamento; c’era un grande rispetto per l’ambiente in cui la fabbrica era nata e si sarebbe sviluppata. Ed è ”nel Canavese”, punto di partenza, che ”avevamo la possibilità di praticare le nostre idee”, di affiancare l’attività pratica allo studio teorico. ”La comunità canavesana cresceva senza perdere la sua anima contadina. Questo è il punto: senza perdere la sua stabilità fondamentale”. Ma l’esperimento comunitario si infrange, agli inizi degli Anni Sessanta, per l’odio dei partiti politici e delle strutture esistenti. A Roma, dove arriva quasi per caso nel 1953, si dipana il terzo scenario della inarrestabile volontà di ricerca di Franco Ferrarotti, alimentata dalle borgate, dai grattacieli proletari e sottoproletari, naturalmente dall’Università e dall’insegnamento. E l’autobiografia, compatta e stimolante, benché priva della importante esperienza americana (la leggeremo in seguito?), si conclude con alcune pagine sulla figura storica dell’intellettuale. E sulla inevitabilità del momento utopico: ”Il bisogno di utopia è un bisogno umano insopprimibile. un bisogno di speranza, l’anticipazione di un mondo migliore, di una società più giusta”. Le società hanno necessità di stabilità, ma anche di tensione avveniristica, sottolinea, di realismo, ma anche di sogni anticipatori. Il progresso tecnico non basta: ”La tecnica è una perfezione priva di scopo. Non crea valori. solo l’eterno ritorno dell’identico. La grande illusione all’inizio del secolo ventunesimo è da vedersi nello scambio fatale di valori strumentali con valori finali”» (Lugi Vaccari, ”Il Messaggero” 13/12/2001) • «Un intellettuale di alto livello [...] non è più tanto in auge; quelli che seguono le mode, compresi diversi sociologi lo considerano un vecchio attrezzo di una stagione passata e prescientifica. Non possiamo dimenticare che chi ha portato la sociologia in Italia, facendola uscire dalle facoltà di medicina (Lombroso e altri) è stato Ferrarotti. Persona certo non favorevole all’econometria e alle classificazioni sociologiche, ma niente affatto personaggio del passato [...] Dire che cosa è stata ed è la sociologia per Ferrarotti, [...] non è facile. [...] soprattutto lo studio delle persone, che di solito non vivono come mondadi isolate. Lo studio della condizione umana, si sarebbe detto una volta. [...]» (Valentino Parlato, ”il manifesto” 2/11/2004).