Varie, 25 febbraio 2002
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Ferrero Juan
• Carlos Onteniente (Spagna) 12 febbraio 1980. Tennista. Nel 2003 ha vinto il Roland Garros • «C’è stato un momento [...] in cui Juan Carlos Ferrero era davvero il più forte giocatore del mondo sulla terra battuta. Alla laurea del Roland Garros lo spagnolo è giunto dopo due piazzamenti in semifinale e una finale perduta da favorito contro il connazionale Albert Costa a causa di un infortunio. Tecnicamente, più della vittoria parigina del 2003, ottenuta battendo uno dei più deboli e sorprendenti finalisti di ogni epoca, l’olandese Verkerk, è stata più importante e significativa la finale raggiunta nello stesso anno sul cemento di Flushing Meadows superando Hewitt e Agassi prima di cedere a Roddick. Proprio mentre gli spagnoli cominciavano a sperare di avere trovato un giocatore competitivo anche fuori dalla terra battuta, Ferrero è andato in crisi, prima fisica, poi anche psicologica. crollato in classifica al punto da non trovare posto in tabellone al Foro Italico e di essere costretto alle qualificazioni ad Amburgo. [...]» (Rino Tommasi, ”La Gazzetta dello Sport” 29/5/2005). «Un bravissimo giovane e un ancor più bravo tennista. Già da bambino, dall´età di sette anni, avviato al gioco da suo papà Eduardo, incantava i colleghi spagnoli, alcuni dei quali arrivarono a citare auguranti i sacri nomi di Manolo I Santana, e Manolo II Orantes, gli ultimi due spagnoli capaci di vincere titoli Slam lontano dalla famigliare terra rossa. Non era certo un fenomeno del serve and volley, il piccolo, ma, nato difensivista, come tutti in quel paese di ”pelotari”, non cessava di esercitarsi per spostare il baricentro del gioco in avanti, anche a costo di vedersi preferire altri ragazzini iberici, più precoci, più potenti. Vedeva più lontano, nel futuro, Mosquito, e la vita avrebbe finito per dargli ragione, sarebbe sfuggito al destino di altri pur ammirevoli arrotini, gente magari temibilissima al Roland Garros, e grottesca a Wimbledon. Serissimo, ma senza mai sfiorare la pedanteria, non cessava un minuto di faticare, di migliorarsi. Via via che i premi gli consentivano di ampliare la casa di campagna di Villena, dalle parti di Valencia, si costruiva una palestra attrezzatissima, della quale era il primo cliente. Tutto questo lavoro, questa dedizione, sarebbero stati alla fine premiati non solo da una vittoria al Roland Garros, ma da un primo posto in classifica, seguita alla vittoria nel torneo di Madrid, a fine ottobre 2003. Una Coppa Davis che rimane importante per paesi come il suo avrebbe tuttavia finito di sovraccaricare un fisico ben preparato, ma non certo belluino» (Gianni Clerici, ”la Repubblica” 31/1/2004). «Ha studiato fin da piccolo per diventare un vincente, la foto del campo centrale del Roland Garros sopra il letto a indicare l’obiettivo [...] Il coach Antonio Martinez Cascales lo segue dal 1989. Ogni giorno Joanqui finiva la scuola, correva a casa e poi andava in macchina con suo padre fino a Villena, un’ora e mezzo di viaggio all’andata e altrettanto al ritorno. venuto su bene» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 13/5/2001). «Bambino dai tratti affilati, quasi lavorati a cesello, venne soprannominato mosquito. Mosquito, in spagnolo, significa zanzara. Nella vasta zoonomia di noi cronisti sportivi era elencata una lunga lista di animali vincenti, dal Ragno Nero Cudicini alla Pulce dei Pirenei Trueba, dal Coccodrillo Lacoste all´uomo-cavallo Zatopek. A mia conoscenza, Zanzare non se n´erano viste mai. Il collega spagnolo che per primo ebbe la geniale intuizione, si riferiva non soltanto all´accanimento nel ribadire pungenti attacchi all´avversario, ma alla loro inesausta ripetitività. Addirittura, mi conferma Manel Serras del Pais, lo scriba intese riferirsi alle scheletriche gambette del ragazzo Ferrero, due ossicini in croce, causa non soltanto di modesta spinta sulla palla, ma anche e addirittura di un autentico complesso estetico: tanto che i colleghi iberici ben si guardano dal rivolgerglisi con quell´appellativo, per non suscitare il cattivo umore di un tipino molto educato, ma anche un pochetto introverso, e a volte umorale. Rimangono, a chiamarlo Mosquito, colleghi anglosassoni testardamente ancorati ad ignorare idiomi che non siano il nativo slang, al di la di quattro parolette, tra le quali avrebbe preso posto ”Eterno Segundo”. Soprannome un tempo affibbiato anche al grande Vilas, e poi scivolato sulle spallucce di Juan Carlos, per le molte occasioni mancate. Due semifinali e la finale del 2002 al Roland Garros, e poi la finale del Masters di Shangai del 2002, quasi vinta contro Lleyton Hewitt. [...] Il suo tennis, che era vivamente arrotino, si è spostato in avanti, ha spesso abbassato e sveltito le parabole, e attaccarlo è diventata un´impresa, per un rovescio parallelo non meno pericoloso del cross stretto, non lontanissimo dal prototipo di un Agassi. Costruitosi in casa una palestra all´ultimo grido, Juan Carlos ha adattato il suo corpo alle necessità di battitore, di saltatore. Le gambine da Mosquito si son rivestite di muscoli, buoni non solo a difendersi, ma a staccare, ad allungarsi. Volleadore non era nato né diverrà: ma quando raggiunge la rete, non concederà certo regali. Insieme a questi bei miglioramenti [...] ha imparato a staccare la sinistra dalla racchetta, a cambiar presa, e a distillare certe smorzate con taglio esterno» (Gianni Clerici, "la Repubblica" 9/6/2003). «Gli ronzava attorno da 11 anni, Juan Carlos "Mosquito" Ferrero, alla coppona dei Moschettieri: quella che alzano i trionfatori del Roland Garros, il torneo più duro fra i quattro dello Slam, qualcosa di simile - fatte le giuste proporzioni - a un Tour de France. "Venni qui la prima volta a 12 anni e dopo aver visto Lendl e Bruguera iniziai a pensare che volevo vincerlo anch’io, questo torneo". L’ironia della sorte ha voluto che a consegnare la coppa tanto sospirata al ventitreenne spagnolo - una specie di Indurain del tennis, uno che gli avversari li stacca in progressione, sul ritmo - sia stato Yannick Noah, ovvero l’ultimo vero attaccante capace, giusto vent’anni fa, di domare il torneo. Dopo di lui, un diluvio di arrotini, e soprattutto di spagnoli: quattro, negli ultimi dieci anni, con Bruguera capace di vincere due volte di fila, e con ben tre finali tutte iberiche, l’ultima nel 2002, strappata da Albert Costa proprio a Ferrero. [...] Un eroe buonista e schivo, Juan Carlos, a volte insicuro, antidivo se ne esistono: tanto che invece di trasferirsi a Barcellona, la Mecca del tennis spagnolo, è rimasto a vivere e ad allenarsi sempre con lo stesso coach, nel borgo assolato e isolato di Villena, non lontano di Alicante. Fedelissimo alla fidanzata, alla famiglia (a iniziarlo al tennis fu mamma Rosaria, scomparsa quando Juan Carlos aveva 17 anni) al clan degli amici, l’unica trasgressione di "Juanca" sono i motori: è amico di Sete Gibernau, ama correre in moto e in auto. Poi ha lo sguardo azzurro e malinconico di chi ha bisogno di sentirsi amato, e l’integralistica fede nell’allenamento che pare la caratteristica base dei piccoli divi di oggi: molto bravi, molto carini, un po’ noiosi» (Stefano Semeraro, "La Stampa" 9/6/2003).