25 febbraio 2002
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Filogamo Nunzio
• . Nato a Palermo il 20 settembre 1902, morto a Rodello d’Alba (Cuneo) il 24 gennaio 2002. «Non è stato solo il primo presentatore di radio e tv ma è stato anche un professionista di grande intelligenza, profonda umiltà, ineguagliabile garbo. Dopo soli quattro anni di vita del piccolo schermo, aveva già capito il potere distruttivo che può avere il mezzo. E tutta la sua vita fu infatti all’insegna del grande amore per la radio. Che come tutti i grandi amori, cominciò per caso. Laureato in legge - il padre desiderava per lui la carriera ecclesiastica - il giovane Nunzio, decide presto di darsi al teatro. Ma un giorno, arriva una telefonata e l’invito a prender parte a una parodia musicale radiofonica, Quattro moschettieri, nel ruolo di Aramis. il 1934. Cachet settimanale: 97 lire. Accetta. E la sua vita cambia: sono previste 6 puntate, ne vengono realizzate 75, fino al 1939. Diventa uno tra gli artisti più popolari d’Italia, un’Italia che si ferma per non perdere neppure una puntata di quel seduttore dall’accento francese. Una popolarità che l’ha portato diretto a Sanremo, conduttore del primo Festival della canzone italiana, ancora radiofonico, nel 1951. Quattro edizioni della kermesse, tutte in radio, impresse nella memoria soprattutto per l’indimenticabile ”Miei cari amici, vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate”. Poi, nel ’55, il primo Sanremo televisivo e Filogamo, considerato non telegenico, viene fatto fuori. Un grande dolore per lui, che però non protesta. Lo fanno i suoi fan, alcuni dei quali minacciano di inondare la sala di gatti neri. Filogamo viene poi richiamato a condurre l’edizione-tv del 1957, il suo ultimo Festival, durante il quale rimprovera duramente la sua valletta, Marisa Allasio, per le continue papere. Tra gli anni 50 e 60 presenta numerose trasmissioni radiofoniche, come Viva la radio, L’ora del dilettante, La bacchetta d’oro, Il campanile d’oro, Canzoni con nuvole, La rivista è bella, Dieci con lode, Il cantagiro. Ed è in quegli anni che giunge alla lungimirante considerazione: ”Prevedo che la radio traverserà tempi difficili per la concorrenza della televisione, ma che riuscirà a superarli, perché il fascino dell’ascolto non si sopprime”. Il suo contratto con la Rai (cominciato nel ’37) termina nel ’64, ma Filogamo si arrabbia quando si sente chiamare ’pensionato’. E precisa: ’Sono solo diventato un collaboratore invece che un dipendente, in pensione ci andrò quando il pubblico non ne vorrà più sapere di me’. Per qualche anno continua la sua carriera radiofonica, fino al 1984 anno nel quale compare nel varietà di Arbore Cari amici vicini e lontani. Poi il lento declino, una sorta di autoesilio. Nei primi anni Novanta si trasferisce nel soggiorno per anziani di Rodello d’Alba (Cuneo) dove è appunto spirato ieri (l’estremo saluto a Filogamo sarà dato nella casa di riposo domani alle 9, alla presenza dei tre fratelli Guido, Carlo, Mimmo e della sorella Ignazia). Lì trascorre gli anni della vecchiaia con la consueta classe e cortesia. Nel ’97, curiosamente, è una gaffe di Baudo che gli regala, seppur per poco tempo, di nuovo le luci della ribalta. Baudo, in diretta, dichiara Filogamo ’scomparso da anni’. Poco dopo la smentita: ’Sono vivo e vegeto’. Tv e giornali tornano a occuparsi di lui. Baudo si scusa. E oggi dice: ’Lui si è inventato questo mestiere, è il papà di tutti noi, il pioniere. incredibile ieri ho incontrato l’assessore al turismo di Sanremo, Bissolotti, e avevamo parlato della necessità di fare qualcosa per ricordare Filogamo al Festival nell’anno in cui avrebbe compiuto 100 anni. Avevamo pensato ad un collegamento con la casa di riposo in cui viveva. Ora vedremo cosa fare, ma a maggior ragione Filogamo sarà in qualche modo a Sanremo 2002’» (Maria Volpe, ”Corriere della Sera” 25/1/2002). «Chissà se c´è ancora, in Italia, qualcuno che ricordi la frase ’A me m´han vovinato le donne’. A metà degli Anni 30 la dicevano tutti. Era la battuta pià famosa del più famoso programma radiofonico, quello che aveva lanciato la radio in Italia, I quattro moschettieri di Nizza e Morbelli. I due giovani autori torinesi avevano trasferito il romanzo di Dumas in un Novecento di cartapesta, fra avventure in pallone e vagabondaggi per la Hollywood di Greta Garbo e di Tarzan. Il pubblico andava pazzo per quella parodia, che era stata prevista in sei puntate e andò avanti a furor di popolo per settantacinque, abbinata al concorso delle figurine Perugina. E il punto di forza della trasmissione era un giovanottino ventiduenne che aveva cambiato il galante Aramis in Avamìs, prestandogli, anzi sottolineando, la propria erre moscia. Nunzio Filogamo aveva travestito il moschettiere dumasiano sotto le spoglie del ’gagà’, la macchietta inventata da Attalo sul ’Marc´Aurelio’ e trasformata da Filogamo in richiamo nazionale. Aramis divene il bersaglio di tutte le facili satire, nella società italiana, quando non si usavano ancora espressioni come ’tipo spiaggia’, creata nel dopoguerra da Franca Valeri. Era lo zerbinotto elegante che pochi ragazzi invidiavano e che tutte le ragazze intelligenti prendevano in giro, sull´onda della fortunatissima canzone degli stessi Nizza e Morbelli, musica di Storaci: ’Ben pettinato, bel giovinottino, / tu sei cretino, / ahimé, / ma sei stilé’. Ci volevano la finezza e lo humour di Filogamo per fare di quella figurina un rovesciato emblema sociale, squalificandone il modello. Dei quattro attori che interpretavano i moschettieri, trascinando la grande platea italiana, fu proprio lo sconosciuto Filogamo quello che si impose. ’Ahimé! Un pensier m´affligge: / non so giocare a brigge. / Ahimé, non mi dò pace: / il whisky non mi piace’, cantava mezza Italia, imitando la sua voce, in quei tempi di triste autarchia, non solo linguistica. Nasce di lì la immensa popolarità di Filogamo, che egli sfruttò naturalmente per sé, creando, primo nel nostro Paese, la figura del presentatore; ma anche a favore degli altri. Fu lui, nel 1940, a scoprire quattro giovani musicisti che stentavano a trovare una scrittura: e sarebbero diventati il Quartetto Cetra. Fu lui, nello stesso anno, a tirare fuori dal buio il rumorista di uno studio radiofonico romano e aprirgli la strada del palcoscenico: si chiamava Bonavolontà, in arte Mario Riva. Fu lui, soprattutto, che credeva nella canzone italiana, a imporre il Festival di Sanremo. Mentre molti ascoltatori cominciavano a dimenticare ’A me m´han vovinato le donne’, Filogamo aveva già pronta l´altra battuta. L´aveva detta la prima volta in un auditorium della radio, guardando le 200 persone in sala. Dopo aver salutato i presenti, pensò che forse doveva qualcosa agli assenti, che erano in ascolto chissà dove. ’Cari amici vicini e lontani’, gli venne fuori, spontaneamente. Erano in ascolto dappertutto, anche all´estero, in viaggio, sulle navi. Ricevette una montagna di lettere: ’Lei saluta così, ma non immagina dove siamo noi’, diceva una cartolina dall´Africa. E quella frase divenne la sua bandiera. Il Festival di Sanremo, quando le canzoni erano Vola colomba, Grazie dei fior o Papaveri e papere, ci campò per sette anni consecutivi. Filogamo da tempo non era più il gagà, che egli per primo aveva messo in burla. Ma quello stile che aveva prestato ad Aramis gli era rimasto, con il garbo del torinese nato a Palermo, e la discrezione del torinese vissuto a Torino. Lasciò ufficialmente la Rai - dove ogni mattina firmava il registro delle presenze, da dipendente stipendiato - nel 1963, per poter partecipare a una tournée in America. Ma continuò ad apparire, ancora per molti anni, chiamato ad ogni appuntamento con un pubblico che non lo aveva dimenticato: fatto di pochi vicini, di tanti lontani, eredità di una Italia piccola e schietta, che poteva divertirsi per una semplice erre moscia» (’La Stampa” 25/1/2002). Vedi anche: Aldo Grasso, ”Sette” n. 6/2002;