varie, 25 febbraio 2002
FINOCCHIARO
FINOCCHIARO Anna Modica (Ragusa) 31 marzo 1955. Politico. Eletta alla Camera nel 1987, 1992, 1994, 1996, 2001, al Senato nel 2006 e 2008. stata ministro per le pari opportunità nel Prodi I (1996-1998) • «Tipica magistrata strabedda approda a Roma nella corrente di Luciano Violante e anche in quella di Massimo D’Alema. Ma, mai mai, in quella di Walter Veltroni. L’unico che le sa fare il baciamano, è Emanuele Macaluso. Beddissima. Sfrecciava in moto a Catania, in tuta di pelle nera modello occhi di brace. Ministro in attesa di conferma, altrettando tipica esponente della sinistra ideologica, non sopporta l’Ulivo, né, tanto meno, Enzo Bianco. Ideologicamente non le cala affatto di dover sopportare la concorrenza interna di Livia Turco. Ministra delle Pari opportunità, non è affatto opportunista. Fuma mirabilmente, una sigaretta tra le sue labbra è lo spettacolo dell’Etna sprofondato nello Ionio. Fa il bagnetto, infatti, a Ognina» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 17/10/1998). «Era perfetta per la poltrona di Guardasigilli, e il ministro della Giustizia in carica, Clemente Mastella, concorda con cavalleria: ”Sarebbe stata eccellente, spero di cederle il testimone tra cinque anni”. I più ottimisti la consideravano pronta per il Quirinale. Nominata invece capogruppo dell’Ulivo a Palazzo Madama, è stata l’unica a strappare l’applauso dell’aula intera. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’aveva previsto: ”Se arriva Anna, al Senato non ci sono problemi”. [...] carriera in magistratura, ex ministro diessino delle Pari opportunità dal ”96 al ”98 e poi, fino al 2001, presidente della commissione Giustizia della Camera, è la donna più amata della politica italiana. Seria, preparata, appassionata lettrice dello scrittore israeliano Yehoshua e del poeta Giovanni Giudici, seducente. Gli uomini s’inchinano ammirati all’incontro dell’intelligenza con la bellezza della maturità; incontro che, vent’anni dopo, resta così affascinante da ricordare i tempi in cui, tra avvocati e giudici della Procura di Catania, la giovanissima pubblico ministero era nota - con formula degna di un romanzo di Brancati - come ”la pretora bona”. E le colleghe vincono l’invidia, presto conquistate dallo stile sobrio. Gli avversari del centrodestra, guidati da Pier Ferdinando Casini, le riconoscono competenza e classe. Una donna che sa mettere in riga i maschi rimanendo ”femmina” al potere. Per capire davvero chi è Anna Finocchiaro bisogna tornare a Catania, la città tra il vulcano e il mare che ha accompagnato i suoi primi passi. Dai locali prefabbricati di San Pietro e Paolo, parrocchia dei cattolici di sinistra dove l’anziano sacerdote Giovanni Pilo la ricorda ”adolescente alle prese con il volontariato” prima che s’iscrivesse alla sezione del Pci Ruggero Grieco, quella ”dei comunisti borghesi”, fino ad oggi, agli stucchi di Palazzo Madama. ”La Finocchiaro? Il nostro fiore all’occhiello”. Basta il nome a scatenare Franco, un autista che, con i colleghi, fa a gara a darle un passaggio all’aeroporto quando ”l’onorevole” torna a casa per il fine settimana. A Catania vivono la sorella minore Paola, insegnante di matematica, la mamma, il marito Melchiorre Fidelbo, stimato ginecologo, sposato nel gennaio dell’82, e le figlie Costanza e Miranda, 13 e 19 anni. Abitano in un appartamento con vista straordinaria sul golfo, ma il palazzone non è per niente lussuoso, via Artale Aragona, lungomare di caffè e pasticcerie, la concessionaria Hyundai, il chiosco dei panini Noè. lo stile Finocchiaro: automobile Micra, una pizza la sera con gli amici al popolare San Giovanni Li Cuti, bagno al mare al Lido La Battigia, stabilimento per famiglie dove una cabina non costa più di 1000 euro l’anno, mai in giro con la scorta. Nemmeno in vacanza. Raffaele Baldoni, proprietario dell’agriturismo Il Collaccio, in Umbria, una delle ”tane” amate da Anna Finocchiaro, rimase di sasso quando la vide arrivare la prima volta nel luglio di nove anni fa: ”Era ministro delle Pari opportunità, mi aspettavo schiere di auto blu e invece si presentarono lei, il marito, le figlie, persone normalissime, facevamo mangiate di pasta con asparagi e tartufi”. ”Viene da una famiglia molto bene, il padre Luigi era magistrato, presidente della Corte d’Appello, ma lei è sempre stata una ragazza semplice, semplice e sicurissima di sé”. A 83 anni suonati la memoria del professore di storia dell’arte Francesco Tropea non fa cilecca e non dimentica la studentessa brillante al primo banco, sezione C liceo classico Cutelli, stessa scuola dell’ex sindaco Enzo Bianco e di Miranda, neodiplomata, e Costanza. Bella e semplice, ma colta, capace di intervenire al dibattito sulla fiducia al governo Prodi citando Max Weber e la scrittrice Christa Wolf. A Catania la risposta è identica, ”Brava Anna”. A scuola, in parrocchia, nelle boutique chic di corso Italia, dove cede volentieri al suo secondo vizio, oltre alle sigarette Merit, abiti e pashmine alla moda. Dai congressi di partito alle aule di giustizia - è stata una delle prime in Sicilia ad aderire a Magistratura Democratica, diventandone segretaria dall’84 all’87 -, sempre ”Brava Anna”. Alla Procura, dove ha lavorato fino al 1987, dopo un anno a Savona, con borsa di studio della Banca d’Italia, i penalisti la descivono ”avversario temibile”. ”Tra colleghi ci dicevamo che quando c’era lei bisognava prepararsi bene perché di sicuro aveva studiato il fascicolo a memoria”, ripensa l’avvocato Carmelo Calì, che si definisce ”moderato” e ad Anna Finocchiaro riconosce un solo difetto, ”è comunista”. Un neo ma quasi un vezzo, conferma il penalista Enzo Trantino, legale di Marcello Dell’Utri e storico principe del Foro catanese arrivato in Parlamento con An: ”Che importa di che partito sia? Ha tatto, acutezza d’analisi, umanità”. I nemici, pare, sono la sola cosa che manca alla donna più amata dalla politica italiana. ”Non ne ha”, taglia corto il magistrato Marisa Scavo, collega e amica sin dai tempi dell’università. Membro onorario della ”cerchia di Anna”, le ”ragazze” che vanno insieme al cineclub King, al teatro, a casa Finocchiaro a mangiare l’insuperabile pasta alla Norma, pomodoro, melanzane e ricotta salata, specialità della senatrice: ”Ci siamo sposate a distanza di pochi mesi, i nostri mariti frequentavano insieme la facoltà di medicina, abbiamo mantenuto l’abitudine di fare le ferie insieme, ogni estate organizziamo almeno un viaggio per andare a vedere qualche mostra d’arte contemporanea”. La volta più bella però, ricorda la Scavo, fu il capodanno del 1984 in Cappadocia: ”All’improvviso andò via la luce e il riscaldamento, faceva talmente freddo che ci mettemmo a letto tutti e quattro insieme, mariti compresi, che risate...”.Perché Anna Finocchiaro è seria ma di spirito. Parola di Rita Lorenzetti, presidente dell’Umbia, che durante le legislature in comune ha abitato con lei per tredici anni nel piccolo appartamento vicino a piazza Navona a Roma (’tornavamo a casa la sera sfinite, ci toglievamo le scarpe, Anna preparava la pasta e chiacchieravamo come studentesse, fino a notte alta”). E soprattutto parola di uno degli amici storici, l’ex presidente della Camera Luciano Violante, l’uomo che le asciugò le lacrime il giorno che dal Pci nacque la Quercia ma che nell’83 si era opposto alla sua candidatura: ”Volevo che restasse in magistratura, era così brava che pensavo sarebbe stato un peccato perderla. Così dissi che ero contrario, lei non se la prese, conosceva la mia stima”. Tutti la rispettano, molti la amano. Ma davvero Anna Finocchiaro è donna senza difetti? Qualche voce timidamente critica si leva dai compagni di partito di Catania, quelli che non hanno dimenticato le ultime amministrative, lo scorso anno, quando lei si presentò capolista e prese appena mille voti, la metà dei candidati ne ottennero meno di tre ciascuno, i Ds scesero al 5%, minimo storico da queste parti. ”Anna è come un Concorde, un aereo d’alta quota che può avere difficoltà a planare a terra”, osserva Gaetano Cardiel, segretario dei Ds di Caltagirone. Per lui è una constatazione, altri lo considerano un problema. Come chi era presente alla festa di chiusura per la campagna contro la legge 40 sulla fecondazione assisitita. La Finocchiaro era stata invitata sul palco, unica tra i politici, insieme a Nino Guglielmino, uno dei fondatori dell’associazione Hera, il principale centro dell’Italia meridionale per la fecondazione assistita. ”Stavamo tutti lì, mancava solo lei, la sorella si era fatta male a una gamba ma la gente la aspettava”, racconta un giovane militante che preferisce restare anonimo. L’epilogo, una lite in piazza: ”Guglielmino le manda un sms per dirle che era inaffidabile e lei arriva dopo dieci minuti, offesissima, furiosa, dovevate sentirla...”. L’accusa insomma è volare troppo alto, con ambizione e un po’ d’alterigia. [...]» (Francesca Paci, ”La Stampa” 28/5/2006). «[...] La capacità di mettere d’accordo tutti e di uscire brillantemente dalle situazioni più difficili è quasi un dono innato per Anna Finocchiaro, 51 anni portati splendidamente, ex ragazza della buona borghesia catanese passata nel lontano ”87 dalla magistratura alla politica. Quando, per esempio, era stata nominata ministro delle Pari opportunità del governo Prodi senza mai essersi occupata in modo specifico di questioni femminili, era stata accolta con lamentele e musi lunghi. In pochi mesi era già diventata una femminista di lungo corso, stimata e apprezzata dalle varie anime del movimento, compresi i gruppi lesbici che avevano fatto di Anna la loro icona. Anche il suo privato non è mai stato sfiorato da un’ombra. Un marito ginecologo che tiene in piedi la famiglia restando discretamente nell’ombra, due figlie di 18 e 12 anni che hanno sempre continuato ad abitare a Catania, Anna Finocchiaro sembra così perfetta da dubitare che sia vera [...]» (Chiara Valentini, L’espresso 18/5/2006). «Chi leggesse i suoi ritratti senza conoscere il suo vero ruolo, penserebbe ad Anna Finocchiaro come a un sex-symbol, una donna tra Emmanuelle Béart e Angelina Jolie. L’Espresso: ”Vent’anni fa aveva lasciato i colleghi a bocca aperta per la sua bellezza mediterranea. Anche oggi, nonostante le varie Carlucci e Carfagna, è considerata la più seducente. Sembra così perfetta da dubitare sia vera. molto apprezzata anche dai gruppi lesbici, che ne hanno fatto la loro icona”. Io Donna: ”Si sono susseguite in tante, giovani, carine, belle, bellocce, ma se chiedete a un essere di sesso maschile chi sia la più affascinante risponderà sempre e comunque: Anna Finocchiaro”. Oggi: ”Bedda, strabedda, beddissima”. Ma il capolavoro si deve al Foglio, dove Pietrangelo Buttafuoco ha attribuito a un deputato del centrodestra una complessa metafora – ”una sigaretta tra le sue labbra è l’Etna che sprofonda nello Jonio” – che Anna Finocchiaro non ha apprezzato del tutto. ”Basta! Non se ne può più! Ancora con la storia dell’Etna e dello Jonio? Tutte frottole! Nessun deputato può aver detto una cosa così barocca, così catanese. Se l’è palesemente inventata il mio concittadino Buttafuoco. Mi dicono che ora a Catania Faenza girerà un film tratto dai Viceré di De Roberto, con Giuliano Ferrara nel ruolo di don Blasco. Don Blasco è il personaggio centrale della mia infanzia: me ne parlava papà, riferendo i racconti del nonno, che quand’era bambino vedeva don Blasco appendersi all’architrave delle porte e dondolarsi con il suo mantello nero, a simulare il volo dei pipistrelli e spaventare i piccoli”. Anna ”Emmanuelle” Finocchiaro non è un’attrice ma la donna più potente dell’Ulivo. Alle altre hanno dato ministeri senza portafoglio. Lei comanderà su 109 senatori: capo del gruppo unico Ds-Margherita a Palazzo Madama. E quando legge o sente della sua bellezza, quasi si irrita. Non solo perché ”la bellezza non aiuta, può fuorviare. Per una bella donna è più difficile essere autorevole”; e poi ”non sono mai entrata in Parlamento con una minigonna per il semplice fatto che non ho mai messo una minigonna in vita mia. Quando potevo permettermelo credevo che le mie gambe non fossero all’altezza. Ora è tardi”. perché la Finocchiaro vede nell’elogio della propria bellezza il riflesso dell’eterno maschilismo italiano. ”La verità – confidò una volta a Maria Teresa Meli del Corriere – è che in politica gli uomini stanno sempre lì a dimostrare chi ce l’ha più lungo, come quando avevano tredici anni; né più, né meno”. Ora che il ruolo istituzionale le impone maggiore formalismo, assicura: ”Un uomo con il mio curriculum sarebbe stato candidato alla presidenza della Repubblica. La gente non si sarebbe stupita. Il Palazzo sì. Il ceto politico non è ancora pronto. Su questo punto, come su altri, è in ritardo rispetto alla società”. L’ultima prova di maschilismo, sostiene la Finocchiaro, è nelle polemiche seguite alle esternazioni delle ”tre Zapatere”, Turco Bindi Bonino, più la Melandri, cui un moderato come Volonté dell’Udc ha replicato elegantemente: ”Basta con questo coccodé da galline”. ”Alcuni colleghi non si rendono conto di quanto sono patetici – dice la Finocchiaro ”. La politica è l’ultima roccaforte del maschilismo; anche perché vi si entra per cooptazione, e quindi si fa valere il potere di genere. In tutti gli altri campi le donne sono uguali agli uomini, tranne forse nel passo finale: arrivano fino al soffitto di cristallo, intravedono le posizioni di massimo potere, anche se non riescono ancora a sfondare l’estremo diaframma. In politica invece siamo molto più indietro”. Della legge sulla fecondazione assistita dice che ”andrebbe profondamente riformata. Il referendum non ha avuto successo, però è cresciuta la consapevolezza anche in ambiente cattolico che alcune norme sono inaccettabili per la dignità umana. Che senso ha vietare lo screening sull’embrione, anche solo per verificare la trasmissione di malattie genetiche ereditarie, per cui le donne devono poi ricorrere all’aborto terapeutico magari al quarto mese? Anche sulle coppie di fatto si è creato un equivoco ai limiti dell’assurdo giuridico. Il centrosinistra non parla più di Pacs bensì di unioni civili; ma è una questione puramente nominalistica: in realtà sono come il grande Ulivo e il Partito democratico; la stessa cosa. E hanno inevitabilmente una rilevanza pubblicistica. Gli strumenti privatistici già esistono, ad esempio in tema di eredità. Si tratta di riconoscere diritti che appartengono alla sfera pubblica, dalla reversibilità della pensione alla successione nel contratto di affitto di una casa popolare”. Magari potesse occuparsi di Pacs e fecondazione assistita, racconta. ”A me è toccato il compito più difficile”. Capogruppo al Senato, dove la maggioranza è in bilico. ”Sono una rompiscatole: userò lettere, telefonate, sms”. Ma anche una strategia. ”Puntare sulle commissioni. Luoghi ristretti, dove non ci sono le telecamere, non si organizzano piazzate tipo i fischi ai senatori a vita; ci si confronta sul merito, si può costruire un consenso sulle cose concrete al di là degli schieramenti”. Con le 19 donne del suo gruppo, spiega, ”sarò parziale. Farò di tutto per valorizzarle. Voglio che intervengano spesso in aula, magari al posto mio. Abbiamo senatrici di grande livello: Albertina Soliani, Vittoria Franco, Rosa Villecco Calipari, Fiorenza Bassoli, Silvana Amati. E poi la Binetti, che però conosco poco”. Il gruppo unico da lei guidato dovrebbe essere il primo passo verso il Partito democratico. Una prospettiva cui la Finocchiaro crede, ma senza fretta. ”Mi sono iscritta al Pci a 17 anni, a 32 anni sono entrata in Parlamento. Conosco i partiti, so che non si inventano da un giorno all’altro. Ci vuole tempo per costruire reti, relazioni, pathos. Per fare di un gruppo una comunità. Le primarie hanno dato forza a Prodi, ma in ogni partito il gruppo dirigente è eletto da una base di delegati. Non ho idea di come questa base sarà costituita”. Sono cose che ha imparato da Massimo D’Alema. La Finocchiaro è nata nel ”55 come Veltroni, ma il suo punto di riferimento è sempre stato un altro. ”Non c’è bisogno di spiegare che D’Alema è una persona seria, e senza nulla togliere a Napolitano sarebbe stato un ottimo presidente della Repubblica”. La sua formazione è legata alla Sicilia, nella duplice dimensione della dolcezza e della forza, la villa ottocentesca di famiglia in via Etnea dove passavano Verga, Capuana, De Roberto e Rapisardi (e oggi la attendono il marito ginecologo, signor Melchiorre, con le figlie Miranda e Costanza e il cane Lucky, molto fotografato sui rotocalchi), e l’iniziazione nella Procura di Catania al tempo dei grandi processi alla mafia. Poi è arrivata la politica: ministro per le Pari Opportunità con Prodi, responsabile dei Ds per la giustizia con Fassino. ” vero che alcuni magistrati hanno esercitato una funzione di supplenza. Ma è anche vero che la politica ha volentieri delegato alla magistratura penale la repressione di fenomeni, dall’abusivismo alla corruzione, che tollerava in quanto portatori di consenso. Ora non deve accadere più. Neanche in Sicilia”» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 29/5/2006).