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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

FLICK Giovanni Maria

FLICK Giovanni Maria Ciriè (Torino) 7 novembre 1940. Avvocato. Politico. Ministro della Giustizia nel governo Prodi. Dal 2000 giudice della Corte Costituzionale, dal 14 novembre 2008 presidente (fino al 18 febbraio 2009) • «Avvocato, professore di diritto penale, difensore di tanti personaggi eccellenti terremotati da Tangentopoli [...] un garantista, uno di quelli che più di altri hanno speso e spendono impegno e parole per reiquilibrare accusa e difesa, per ridefinire e temperare l’uso della custodia cautelare [...]» (Silvana Mazzocchi, “la Repubblica” 14/5/1996). «Diventare giudice costituzionale era la sua massima aspirazione. E neanche tanto segreta. Lo sapevano i suoi fratelli, i colleghi, gli amici. Giovanni Maria Flick, Gianmaria per i più intimi, ex magistrato, avvocato penalista di fama, professore di diritto penale, ex ministro della Giustizia nel governo Prodi, ricordato soprattutto per aver fatto da apripista sul come uscire da Tangentopoli, puntava alla Consulta con tutte le sue forze. [...] Si dice che, a favore di Flick, abbia giocato certamente la sua preparazione accademica, ma soprattutto la sua fama di moderato e il ruolo istituzionale svolto alla Giustizia. E moderato e prudente Flick lo è senza alcun dubbio. Per alcuni anche troppo. Padre di origine tedesca, madre piemontese, quinto di sette figli, Gianmaria è cresciuto nella religione e nella moderazione. Liceo dai gesuiti, zii nella Compagnia di Gesù, una sorella suora, università (con borsa di studio) all’Agostinianum, università Cattolica di Milano. Studente modello, si laurea in Giurisprudenza, entra in magistratura e, in pieno ’68, aderisce all’Umi, la corrente delle toghe più conservatrici. Qualche anno dopo, inizia la carriera universitaria a Messina, finchè nel 1980 Guido Carli lo chiama a Roma, alla Luiss. Negli anni che seguono, Flick si costruisce una solida fama di avvocato, come difensore nei grandi processi di criminalità economica. Svolge anche consulenze per la Banca d’Italia, per la Consob, per l’Abi e per la Bnl. E diventa sempre più stimato e più ricco (“ma denuncio al fisco fino all’ultima lira”, ama sottolineare.) Appoggiato perennemente alla sua pipa, occhiali spessi calati sugli occhi, amante dei cani lupo (morta l’amata Karin [...] si è consolato con un altro pastore tedesco di nome Ghita) moglie di nobili origini, tre figlie, Flick è appassionato di montagna (ha una casa a Courmayeur) e di libri. Di diritto, naturalmente. Guardasigilli viene nominato nel ’96. Da tecnico aveva contribuito alla stesura del programma sulla giustizia per il governo Prodi. Sua era stata l’idea di trovare una mediazione per uscire da Mani Pulite, una sorta di amnistia condizionata. Una proposta che ad alcuni evocò il ricorrente fantasma del “colpo di spugna” e che, divenuto ministro, lo stesso Flick si affrettò a derubricare in “patteggiamento allargato”. Alla Giustizia Flick è rimasto fino al ’98. E non senza terremoti. Da “tecnico”, più volte venne sospettato di remare contro la maggioranza di governo. Ma lui rimase fermo, o meglio continuò in quel suo zig zag che per certi supermoderati come lui (“cerchiobottisti” li definiscono i detrattori) è un credo e uno stile di vita. Alla fine del suo mandato, Flick torna alla sua professione, ma non demorde. Nel ’99, in piena polemica per le scarcerazioni facili (anche questo un tema ricorrente come le stagioni) ripropone il braccialetto per controllare i detenuti in permesso premio. Un’idea che aveva già avanzato da guardasigilli e che gli era costata una valanga di no. Lui, allora, l’aveva prudentemente ritirata. Per ripeterla a caldo, da libero cittadino. [...] Prudenza, preparazione, professionalità e ostinazione. C’è chi giura che al brillante avvocato e professore, dopo l’esperienza da ministro, sarebbe piaciuto andare a dirigere un organismo internazionale di giustizia. A conquistare un supertribunale Flick non ce l’ha fatta. Ma, con la consueta pazienza, ha saputo aspettare. E, quando la sua candidatura si è affiancata a quella di Carlo Federico Grosso, lui ha avuto la meglio. [...]» (Silvana Mazzocchi, “la Repubblica” 15/2/2000).