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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

FOA

FOA Vittorio Torino 18 settembre 1910, Formia 20 ottobre 2008. ”Padre nobile della sinistra”. Politico. Figlio della borghesia ebraica piemontese, compagno di liceo di Giancarlo Pajetta, amico della famiglia di Primo Levi. Giovanissimo, lavora a Parigi. A 21 anni si laurea in Legge. A 23 aderisce a Giustizia e Libertà. Arrestato a Torino il 15 maggio 1935, nel ”36 è condannato a 15 anni. Regina Coeli, Civitavecchia, gli ultimi mesi di galera a Castelfranco Emilia. Liberato nell’agosto ”43, partecipa alla Resistenza come dirigente del Partito d’Azione. Deputato alla Costituente, è poi nel Psi e segretario della Cgil. Con la scissione del ”64, entra nello Psiup. Poi nel Pdup e in Dp. «[...] politico, sindacalista, scrittore, nipote del rabbino capo di Torino, dal ”35 al ”43 rinchiuso in carcere dai fascisti [...] deputato alla Costituente, parlamentare per tre legislature, nel Partito d’Azione e poi nel Partito socialista, fondatore del Psiup nel ”64, segretario nazionale della Fiom, docente di Storia contemporanea nelle Università di Modena e Torino negli anni Settanta, eletto senatore Pds nel ”91 dopo la ”svolta” di Occhetto. Sempre inquieto, anomalo [...]» (Fabrizio Caccia, ”Corriere della Sera” 29/4/2005). «Il giorno prima della liberazione di Milano mangiavamo un panino con un gruppo di compagni in un’osteria vicino al palazzo di Giustizia. Era l’una, forse un poco più tardi. Il cameriere si avvicina al tavolo e domanda di uno di noi. ”La vogliono al telefono” dice. Il nostro compagno si alza, va all’apparecchio, e quando torna da noi è pallido e balbetta: ”Ho parlato con Genova, sono liberi, siamo liberi, i tedeschi si sono arresi”. Vede il paradosso: la notizia che tutto stava cambiando l’ho avuta grazie a una semplice interurbana. Anche allora funzionavano le nuove tecnologie e facevano viaggiare veloci le notizie [...] Dobbiamo sempre tenere a mente che il fascismo e Hitler non sono caduti per opera nostra, ma grazie all’intervento dei grandi eserciti. Non è stata la lotta partigiana a sconfiggere il fascismo, sono stati gli alleati. Ma il fatto di aver partecipato, di essere stati attivi, sia pure nella fase finale, in un’opera di liberazione collettiva ha avvicinato l’Italia ai paesi europei”» (’la Repubblica” 25/4/2001). «Io, Vittorio Foa, ho peccato di opportunismo nei confronti del Pci: ”Avrei dovuto essere più libero”, dice il grande leader dell’azionismo, condannato a quindici anni di carcere dal Tribunale speciale fascista. E racconta, fra l’altro, di quando accettò la censura di Togliatti a un suo articolo su Stalin. Lo fa in un libro [...] Un dialogo tra Vittorio Foa e Carlo Ginzburg, lo storico che per lui è quasi un figlio. [...] Sullo sfondo c’è il punto chiave della diatriba sull’azionismo: l’accusa agli ex azionisti di essere stati in soggezione di fronte al partito comunista, di non averne denunciato limiti e storture con la medesima forza con cui avevano combattuto il fascismo. ”Ho rimosso tante cose...”, dice Foa in un passo all’acme della conversazione. [...] Per andare al punto, propone di esaminare un episodio rivelatore. Riguarda il periodo in cui fu pubblicato in Italia Arcipelago Gulag: ”Quando uscì la traduzione del libro di Solgenycin lo vidi in libreria, lo sfogliai e non lo comprai. Ricordo questo come un vero atto di viltà: c’era qualcosa che volevo tenere lontano, a tal punto che poi il libro non l’ho letto. [...] Devo dire che in tutta questa materia nel mio caso c’è una complicazione. La mia origine politica mi portava naturalmente a una sincerità, anche se i miei amici molto vicini, penso a Riccardo Lombardi, hanno messo tutto da parte anche loro. Però forse Lombardi non veniva da una tradizione leninista, ma da una tradizione cattolica. Nenni aveva una logica tutta diversa: poteva aver respinto i processi di Mosca ma poi li accettava. [...] Io avrei dovuto essere più libero”» (Jacopo Jacoboni, ”La Stampa” 2/11/2003). «Sono sempre rimasto un po´ dubbioso sulla tendenza affrettata a certe forme di riconciliazione. All’atto pratico eravamo molto diversi. Bisogna evitare che ci sia confusione. Una volta che sia chiaro che erano due mondi diversi, si può dire: ”Va bene: anche voi di Salò avevate le vostre idee. Lo ammetto. Però erano idee diverse”. Una volta Pisanò, durante un programma televisivo, disse: ”Siamo tutti uguali, amavamo tutti il nostro paese, la Patria etc”. E allora io gli dissi: ”Sta attento! Perché tu dici abbiamo tutti gli ideali, siamo tutti per la Patria... però sta attento: se vincevate voi, io sarei ancora in prigione; poiché abbiamo vinto noi, tu sei Senatore della Repubblica. Questa è la differenza” [...] Non ero mai stato comunista, ma pensavo che, se avessi... negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta... avessi preso delle posizioni anticomuniste, sarei stato subito assorbito dalla Cia, dagli americani, dalla parte più reazionaria del mondo politico. Che mi avrebbero comprato... cioè era facilissimo comprare. Ti faccio una rivista... quanta gente ha fatto una rivista, è stata pagata da loro... Invece, mantenere una posizione di critica dialettica era una posizione giusta. Io, però, un rimprovero lo faccio in senso diverso. Mi sono poi domandato perché, quando il comunismo finisce, quei valori popolari sono stati un po’ ignorati? Come mai chi è stato comunista non rivendica almeno quei valori, come valori popolari di grande impegno? [...] allora, con la formazione del Psiup, cioè di un socialismo di sinistra, noi abbiamo cercato qualcosa di diverso. Cercavamo un socialismo che fosse libertario. Questo è quanto io difendo di quel tentativo. Però di fatto poi noi abbiamo rallentato il processo di autonomia dei comunisti dall’Unione Sovietica. Abbiamo cioè rafforzato la posizione di subordinazione del Partito comunista, ed è stato un errore. Io credo che negli anni Settanta ho pagato anche personalmente per questo errore [...]» (Sergio Soave, ”la Repubblica” 28/10/2004).