Varie, 26 febbraio 2002
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Follett Ken
• Cardiff (Gran Bretagna) 5 giugno 1949. Scrittore • «Evasione, avventura: in nome di tutto questo nella sua fortunata carriera ha spesso variato i suoi soggetti, dall’attualità (Un letto di leoni in Afghanistan, Sulle ali delle aquile nell’Iran khomeinista) al medioevo (I pilastri del cielo) alle ipotesi avveniristiche di ingegneria genetica (Triplo). Ma la costanza con cui torna alla Seconda guerra mondiale è impressionante, forse anche perché - come disse una volta - ”allora la tecnologia era ancora semplice, comprensibile a tutti: con un computer oggi puoi rintracciare in pochi secondi un radar, all’epoca invece ci voleva una lunga ricerca. E questo serve a creare suspense, attesa nel lettore”. Ma con la guerra del 1939- 45 Follett ha anche un grande debito di riconoscenza: il suo successo cominciò proprio con una storia ambientata in quegli anni. Il suo primo bestseller (a tutt’oggi ha venduto oltre dieci milioni di copie nel mondo), La cruna dell’ago, pubblicato nel 1978, raccontava infatti la caccia all’ultima spia nazista rimasta nell’Inghilterra del ’44. Allora aveva 29 anni. Dopo la laurea in Filosofia e l’esperienza come giornalista a Cardiff e a Londra, lavorava per una casa editrice. Aveva già pubblicato alcuni romanzi di spionaggio, rigorosamente sotto pseudonimo, ispirati allo 007 di Ian Fleming, ma senza nessuna fortuna. ”Penso che gli errori e i fallimenti servano molto a uno scrittore. Anch’io, con quei romanzi sbagliati, avevo appreso qualcosa, e tutte queste lezioni mi portarono a produrre qualcosa di veramente buono”. Due anni dopo, nell ’80, usciva Il codice Rebecca: era ambientato nel ’42, in Nord Africa, quando le divisioni di Rommell sembravano sul punto di sbaragliare la resistenza inglese. Il terzo romanzo sulla Seconda guerra mondiale, Notte sull’acqua, appare dieci anni dopo, nel 1991, e immagina il drammatico volo verso New York, nel ’39, del lussuoso Clipper Pan American. Infine, nel 2000, con Le gazze ladre, mette in scena l’ardimentosa spedizione nella Francia occupata di un commando di donne alla vigilia dello sbarco in Normandia. Il Volo del calabrone ci riporta a quegli anni, al 1941 per l’esattezza, quando l’Inghilterra è da sola a contrastare l’avanzata tedesca, e l’unica arma di cui dispone sono i caccia della Royal Air Force. Purtroppo, un potentissimo radar installato su un’isola al largo della Danimarca permette ai tedeschi di intercettare e abbattere gli aerei inglesi. Diventa così di primaria importanza identificare il nuovo sistema di avvistamento. [...] Da sempre, per le ricerche, si affida all’agenzia americana Research for Writers di New York. Ma questo non basta, Follett ogni volta compie sopralluoghi nelle località dove si svolge l’azione, e si confronta pure con problemi tecnici. Come la guida di un aereo» (Ranieri Polese, ”Corriere della Sera” 14/1/2003). «Il Signor Bestseller sostiene di non avere segreti. ”Scrivere un romanzo di successo è piuttosto semplice, basta trovare una buona idea e seguire determinate regole”. [...] Con Le Carré e Forsyth, è il gran maestro del thriller inglese. Un professionista del successo commerciale. Uno che non sbaglia mai un colpo. E a sentire lui è semplice, facile, un gioco da ragazzi, come se esistesse una formula magica per fabbricare un bestseller dietro l’altro. ”Una formula magica, direi di no”, replica divertito. ”C’è un metodo, però. O almeno, io ho il mio”. Follett vive in Inghilterra, nella contea di Hertford, in una vecchia canonica di campagna restaurata, insieme alla seconda moglie, Barbara, dal 1997 deputato del partito laburista alla camera dei Comuni, e ai loro cinque figli. Visti la sua montagna di soldi e il suo appassionato impegno per la sinistra, i conservatori l’hanno ribattezzato ”champagne socialist”; ma a parte che lo champagne gli piace davvero, le sue origini sono ben lontane da qualsiasi genere di radicalismo, chic o meno. Nato a Cardiff, nel Galles [...] da un padre ispettore delle tasse e da una madre devotamente religiosa, da bambino non aveva nemmeno il permesso di guardare la televisione, andare al cinema, ascoltare la radio: per distrarsi, gli restavano i libri della locale biblioteca pubblica e la sua fantasia. Dopo le scuole, si iscrisse a filosofia, perché aveva la testa piena di domande: ”Fu il mio primo involontario apprendistato da scrittore”, ricorda. ”La filosofia si occupa di questioni come: siamo seduti a tavola, ma la tavola esiste veramente? Un quesito in apparenza futile, ma che dal punto di vista filosofico va affrontato seriamente. Scrivere un romanzo, in fondo, è la stessa cosa”. Il secondo apprendistato è la carta stampata: non sapendo che fare della laurea in filosofia, si iscrive a un corso di giornalismo, viene assunto in un giornale di provincia, il South Wales Echo di Cardiff, fa carriera, finisce all’’Evening News”, aggressivo quotidiano della sera londinese, e viene messo a fare il cronista mondano. ”Sognavo grandi scoop politici, invece ero costretto ad occuparmi di soubrettine e pettegolezzi”: perciò, dalla frustrazione, di notte e nel fine settimana comincia a scrivere furiosamente romanzi. Dopo un po’ ne pubblica qualcuno, senza successo, ma un agente letterario si convince che in lui ci sia qualcosa di buono e lo incoraggia a continuare. Finché un giorno Ken gli porta un dattiloscritto intitolato Eye of the needle, l’agente lo legge, e gli telefona subito per consigliargli di cercarsi un buon consulente fiscale: ”Ne avrai presto bisogno, con tutte le tasse che dovrai pagare”. Infatti: La cruna dell’ago vende dieci milioni di copie, e da quel momento Ken Follett non ha più tolto i panni dell´infallibile Signor Bestseller. Dunque, questo suo metodo? ”Sono un grande pianificatore. Impiego un anno a preparare un romanzo e un altro anno a scriverlo. Sono mattiniero, perciò appena alzato, dopo colazione, mi metto alla scrivania e ci resto fino alle quattro del pomeriggio. La sera, mi rilasso e mi diverto in famiglia o con gli amici”. Andiamo per ordine: Umberto Eco racconta che Il nome della rosa è nato da una singola idea, la visione di un monaco che viene assassinato. Come comincia, per lei, il processo creativo? ”In modo analogo. Un’idea, un’immagine. Presa da un articolo di giornale, da una trasmissione televisiva, da una conversazione, da un altro libro, da una pubblicità, da qualcosa che ho visto per strada. Uno scrittore è sempre a caccia dell’idea che mette in moto il romanzo. Però quella è soltanto la punta, la piccolissima punta, di un iceberg sommerso che bisogna fare emergere. La prima idea vale due o tre scene. Per un romanzo, ce ne vogliono almeno cinquanta o sessanta”. E come si fa a pescarle, a farle apparire tutte dal nulla, queste idee? Con il ”metodo”, appunto. Gentile, chiaro e conciso, come un maestro davanti agli scolari, Follett lo spiega così, per filo e per segno: ”Dapprima scrivo una singola frase, l’idea, l’immagine di partenza, su un foglio di carta. Poi ci aggiungo un’altra frase, due, tre, fino ad avere un breve riassunto della storia che ho in testa, lungo diciamo tre o quattro paginette. Quindi da quella esile trama ricavo profili dei personaggi principali, svolte nella narrazione, colpi di scena. Quando ho davanti a me trenta o quaranta pagine, le faccio leggere a mia moglie, al mio agente, al mio editor, a qualche altro amico del cui giudizio mi fido. Dopodichè riprendo a lavorarci, tagliando, ritoccando, elaborando. Infine inizia la fase della ricerca, per sapere, che so, come funziona esattamente un certo tipo di arma da fuoco, o la temperatura media in un certo paese in un certo periodo dell’anno, o i precedenti storici di un conflitto, e così via. Alla fine ho una traccia completa del mio romanzo, tutto quanto succede in ogni capitolo, la descrizione sommaria di ogni scena e di ogni personaggio. E sarà trascorso circa un anno dall’idea originale di partenza”. Cosa rimane da fare, a quel punto? ”Scriverlo, il romanzo. Che è la parte più complicata, ovviamente. facile dire, nella stesura, che all’inizio del terzo capitolo il protagonista e un altro personaggio si prendono a pugni. Ma adesso devo dare vita a quella scena. Non basta più scrivere: i due si picchiano. Una bella scazzottata deve durare un paio di pagine. Deve catturare l’attenzione del lettore. Deve diventare qualcosa di vero, tra due uomini veri, in una vera stanza. E bisogna ottenere lo stesso effetto per tutto il libro. La vera sfida è lì. Dopo sei mesi, la prima bozza è pronta. Ce ne metto altri sei a riscrivere e correggere, rifacendo tutto da cima a fondo, una, due, tre, tutte le volte che è necessario. Sicchè, quando il romanzo sarà davvero finito, saranno passati all’incirca due anni”. Hemingway lo diceva con una battuta, più bella in inglese (per via della rima) che in italiano: un buon romanzo è la somma di un dieci per cento di ”inspiration” (ispirazione) e di un novanta per cento di ”perspiration” (sudore). Follett concorda? ”Credo che ogni scrittore, ogni artista impegnato a creare, debba essere d’accordo. L’ispirazione è la parte più piacevole, eccitante, esaltante. Tutto il resto è sudore della fronte, fatica, duro lavoro, qualche volta dolore. Un processo artigianale, un lavoro meticoloso, paziente, per limare, lucidare, abbellire più che si può. Se il risultato finale è soddisfacente, l’intero processo provoca più piacere che sofferenza. Ma uno scrittore non sa mai, da solo, se può essere soddisfatto del risultato. Può immaginarselo. Può sperarci. La certezza, tuttavia, gliela daranno gli altri, i lettori. Se piace anche allora, vuol dire che funziona [...] La mia ambizione è sempre stata quella di scrivere romanzi popolari, di intrattenere il pubblico: con uno stile chiaro, comprensibile da tutti, con storie che avvincono, commuovono, spaventano, senza confondere. quello che so fare. Poi, per il mio piacere personale di lettore, adoro Jane Austen e Proust, ma riconoscendo che sono un’altra cosa rispetto a ciò che faccio io. Sebbene, nonostante tutto, siamo anche uguali. In fin dei conti abbiamo entrambi, io e Proust, lo stesso compito: creare un mondo immaginario e cercare di trascinarci dentro il lettore [...] Tutto quello che ho detto finora, l’idea di partenza, la scaletta della trama, la fase di ricerca, la pianificazione metodica, l’ispirazione e il sudore, in realtà non basta. Ci vuole, in effetti, ci vuole pure un altro cruciale elemento: il perfezionismo. L’ossessione di dare il meglio che hai, in ogni riga, in ogni parola, in ogni aspetto del tuo romanzo. Insomma, non accontentarsi mai del risultato. E aspettarsi che, anche se ce la metterai tutta, potrebbe lo stesso non essere abbastanza”. [...]» (’la Repubblica” 5/12/2004).