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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

FOLLINI

FOLLINI Marco Roma 26 settembre 1954. Politico. Ex vicepremier di Berlusconi (in sostituzione di Gianfranco Fini passato agli Esteri). Diploma di maturità classica, giornalista, ha lavorato alla Stet e alla Rai. Deputato dal 1996 al 2008, prima Dc poi Udc, nel 2008 eletto al Senato col Pd • «’Il giovane Follini”, come lo chiamavano i seniores democristiani a Piazza del Gesù, il ”doro-moroteo” per autodefinizione e propensione alla mediazione culturale, colui che voleva essere con il suo partitino il lievito modernista del centrodestra, praticamente un ulivista, mutatis mutandis, della Casa delle libertà [...] il giornalista sottoccupato dopo l’esperienza nel Cda della Rai, il giovanotto tutt’altro che di destra (al punto che l’ambiente democristiano gli attribuì il ruolo di ghostwriter di Martinazzoli all’epoca del passaggio dalla Dc al Partito popolare), che diventa vice di Berlusconi, nel governo più neoconservatore e ideologico che l’Italia abbia mai conosciuto [...] il moderato Follini, abituato alle vacanze oltre-Brennero, come si vede dal loden così poco forzista, il bisagliano forse più simile a un popolare austriaco o a un cristiano-democratico tedesco, il cattolico liberale disincantato ma legatissimo a una storia e a una tradizione europea (ed europeista), si trova a essere uno dei numeri due del governo più radicale che l’Italia abbia mai avuto. [...] In quest’accolita di sodali, in questa politica di complici, gente che si dà il cinque e si carica a vicenda, Follini sembra un invitato che ha sbagliato vestito, un tizio capitato alla festa con l’abbigliamento e gli occhiali da impiegato. L’hanno chiamato Harry Potter, ma in realtà il personaggio più affine a lui non è il maghetto massonico, ma eventualmente il più classico padre Brown, il protagonista dei racconti di Chesterton: un ometto ”sparuto” che di fronte al soprannaturale, oggi diremmo all’euforia da voo-doo economics, avrebbe esercitato le virtù dello scetticismo, la razionalità dell´ironia, lo svelamento del cristiano che sa in che cosa è consigliabile avere fede. Qualche stagione fa, Follini confessava la fatica improba necessaria per tenere insieme un partito profondamente ”doppio”, di qua i cattolici liberali e secolarizzati, di là vecchi maneggioni dc, e poi ancora la setta di Buttiglione. Ci volevano compromessi, duttilità, pazienza, sopportazione. E bisbigliava, anche, il dubbio sommesso che circolava fra le persone per bene del suo partito: cioè che tutti loro erano consapevoli che scegliere il centrodestra e Berlusconi aveva significato fare un patto con il diavolo; ma che in certi momenti avevano l’impressione che il prezzo richiesto dal demonio fosse molto alto, forse troppo. [...]» (Edmondo Berselli, ”la Repubblica” 3/12/2004). «A soli 23 anni ottenne l’auto blu e l’incenso democristiano. dunque chiaro che Marco Follini ”sniffa” poltrone da una vita. [...] uomo gentile nei modi, curato nell’aspetto, con gli occhiali ad oblò quasi fissati al naso con il silicone [...] è politico rispettato, giudicato prudente, illuminato, colto. [...]» ( (a. cap. ,’la Repubblica” 19/11/2004). «Il 1976 fu un anno particolarmente impegnativo per la dc e per il pci. E anche per i loro giovani. [...] Con qualche scandalo Marco Follini riconosceva la centralità della questione comunista. Era da un po’ che si preparava a divenire Delegato nazionale del Movimento giovanile dc. Democristiano per origine famigliare, oltre che per precocissima convinzione (la moglie non voleva credere che lo fosse anche a 14 anni), Follini ne aveva quasi il diritto, ma nell’attesa si era ritagliato un ruolo un po’ da pulcino e un altro po’ da ideologo del Mgdc, entità allora poco più che fantasmatica. Fanfani aveva infatti fatto piazza pulita dei dirigenti giovanili, nati vecchi e per la verità non tutti stimabilissimi. Contestato a piazza Sturzo, il professore era passato tranquillamente sulle bandiere che quelli gli avevano piazzato davanti all’automobile. Follini aveva 21 anni ed era la ”riserva” naturale. Per farlo eleggere, nel maggio del 1977, al Seminario Giovanni XXIII di Bergamo, vennero Moro, Andreotti e Zaccagnini. Gli aspetti per così dire pratici della promozione folliniana vennero sbrigati dall’attuale ministro dell’Interno Pisanu. [...] Una volta a Roma, Follini ebbe l’autista e uno stanzone in un palazzo a largo Arenula. Cominciava quella che si dice una brillante carriera. [...]» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 5/12/2003). «Che sotto la maschera del mite Follini, dietro ai suoi occhi ingigantiti dagli occhiali si nascondesse un drago dell’affabulazione colta acuta e cortese - in una parola: democristiana - è stato negli anni più d’un sospetto che si è affacciato alle menti pigre dei cronisti. Uno che non va in vacanza alle Bermude coi soci in affari ma predilige Sofia, Bulgaria, e che lì racconta di aver passato il Natale più bello della vita in compagnia di una bambina, avrebbe meritato un supplemento d’attenzione nel tritacarne quotidiano della politica. […] Nasce doroteo. La prima volta che incontrò Silvio Berlusconi fu nell’anticamera di Bisaglia. Berlusconi era andato a chiedere udienza al ministro: era reduce da una serata di gala al teatro Manzoni, di cui era proprietario» (Concita De Gregorio, ”la Repubblica” 9/12/2002). «Alla domanda: ”Qual è la cosa più preziosa che possiede?”, rispose, civettuolo: ”Un’interminabile libreria”. platonicamente convinto che, dopo la stagione degli uomini venuti dalla trincea del lavoro, torneranno al potere i filosofi, o quel che di loro rimane: in un panorama di idee senza uomini e uomini senza idee, da qualche parte bisognerà pur afferrarle, le risposte. Lui ne ha, su ogni argomento offre un punto di vista e si capisce che ci ha pensato su, che non improvvisa. […] Come D’Alema, e Fini (e prim’ancora, come Berlinguer) anche lui s’è iscritto giovanissimo al vertice del partito: a 23 anni era già segretario dei giovani diccì. L’essere alleato di Berlusconi, si capisce, ha modificato in parte la sua vis oratoria. Rimane perfettina e un po’ algida, ma senza forlanismi […] Elisabetta Spitz, la moglie, minuta e bionda, è di famiglia austriaca: poche chiacchiere e pochissime apparizioni. Influente dirigente del ministero delle Finanze, è stata, anni fa, anche più importante del marito. […] Ha studiato alla scuola americana, se parla di Thomas Mann sa quel che dice, ma in un club vacanze, a tavola con una ventina di turisti padovani, o a una convention di commercianti cosentini, senza parlare di politica si annoierebbe a morte» (Maria Latella, ”Corriere della Sera” 9/12/2002). «Se davvero chi non è rivoluzionario a vent’anni a quaranta è un informatore della polizia, allora Marco Follini, che nel ”68 divenne doroteo, più che vicepremier sarebbe uno splendido capo del Kgb. Invece è l’evoluzione dell’uomo democristiano. L’ingresso nel governo Berlusconi è la conferma della sua dottrina: i cattolici devono stare dalla parte opposta a quella della sinistra. Nello stesso tempo, segna il ridimensionamento della sua ambizione. [...] C’era stato un tempo [...] in cui pareva che il capo dell’opposizione fosse lui, l’allievo di Bisaglia. ”L’uomo della Provvidenza” titolava il Manifesto sotto la sua foto. Del resto era stato il Manifesto il primo quotidiano a stampare il suo nome, quando aveva vent’anni, era discepolo di Moro e veniva definito ”cavallino di razza” insieme con il coetaneo Giuseppe Fornasari, fanfaniano ora ritiratosi a vita privata dopo una stagione da deputato e sottosegretario. Con Moro lavorava già Follini padre (emiliano di Appennino): direttore dell’agenzia Progetto, uno dei pochi giornalisti a raccoglierne e dipanarne il verbo. Quando Moro divenne presidente del Consiglio, il piccolo Marco disse alla madre (emiliana di fiume) indicando la tv: ”Ecco l’amico di papà”. La prima volta che parlarono di politica Follini aveva 14 anni, Moro gli diede del lei e disse: ”Non pensavo che tra tutti questi rivoluzionari ci fosse qualcuno dei nostri. La ascolto”. Dopodiché non aprì bocca per due ore. Con Berlusconi andò al contrario. L’aneddoto, abusato ma vero, vuole che si siano incontrati per la prima volta nel’anticamera di Bisaglia: nell’attesa, il Cavaliere lo sommerse di parole. Antipatizzarono subito. Entrambi hanno poi cercato di recuperare. Berlusconi ha fatto intravedere anche a Follini la possibilità di succedergli, un giorno; la differenza con gli altri è che lui non c’ha mai creduto. ”Berlusconi mi considera un animale politico, quindi un perdigiorno. Non corrispondo ai suoi istinti” disse quando al ministero che aveva prenotato vide entrare Gasparri. Da allora i continui screzi hanno suggerito l’idea che Follini sia a sinistra del Cavaliere; mentre è semplicemente più moderato. Non a caso ai moderati ha dedicato l’ultimo libro, scritto con Paolo Franchi, dopo aver intitolato i precedenti La Dc al bivio, L’arcipelago democristiano, C’era una volta la Dc e poi finalmente: La Dc. [...] Follini non rinnega le radici, ben piantate nella Democrazia cristiana del preambolo. Ha un rapporto rispettoso con i grandi vecchi, va a trovare al mattino presto Andreotti, riceve lettere di Cossiga indirizzate a Harry Potter, ha un antico rapporto con De Mita da quando il segretario Dc mantenne la promessa fatta a Bisaglia prima della morte e ne indicò l’allievo per il Consiglio d’amministrazione Rai (’non so se riuscirò a votare Dc” disse un giorno a De Mita la moglie di Follini, Elisabetta; ”la capisco” fu la risposta). Ma non è un restauratore. semmai l’aspirante fondatore di un centrodestra moderno, forse troppo per il Paese. uno che al primo congresso dell’Udc ha sorpreso una platea incanutita di signori delle tessere e assessori in attesa dell’elogio dei tempi andati con il manifesto del neomoderatismo, che preferisce il teatro di Ionesco a quello di Brecht, le visioni di Borges a quelle di Garcia Marquez, i dubbi di Camus alle asserzioni di Sartre, le rigidità di Guitton alle aperture di Mounier. Un pensiero e una prassi che non concedono nulla agli estremismi degli atei devoti; ”ai teo-con preferisco i demo-con, l’eredità della Dc è laica e non integralista”, disse al ”Corriere” all’indomani della vittoria di Bush e del caso Buttiglione, collocando il suo partito nell’alveo del cattolicesimo liberale più che di quello sociale. Per questo Follini non è ai confini ma agli antipodi di Prodi, e il suo principale bersaglio polemico è il professore di Bologna, considerato un cattolico che rinnega il proprio destino di stare dalla parte opposta a quella di socialisti e comunisti. (C’è poi un altro motivo di tanta freddezza: da presidente dell’Iri Prodi presentò la lista dei consiglieri d’amministrazione Rai in cui c’era il nome di Follini e si astenne sulla sua stessa proposta, a marcare il dissenso dal governo). [...] Al Quirinale è salito con moglie e figlia, con il passo di chi pensa che siano la testa e il cuore non le ghiandole la misura di un uomo, di chi non considera la cortesia una forma di debolezza e non è rassegnato al degrado dei rapporti umani prima ancora che politici. [...]» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 3/12/2004).