Varie, 26 febbraio 2002
FORLANI
FORLANI Arnaldo Pesaro 8 dicembre 1925. Politico. Presidente del Consiglio dall’ottobre 1980 al maggio 1981. Giornalista professionista, fu eletto deputato democristiano per la prima volta nel 1958. Nel 1969 fu eletto segretario politico del partito. Nel 1989 è stato rieletto segretario politico del partito. Nel 1994 viene coinvolto e processato per la maxi tangente Enimont insieme a tutti i segretari del vecchio pentapartito nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite • «[...] Fu uno dei politici più potenti della Prima Repubblica - da segretario della Dc a presidente del Consiglio, mancando il Quirinale per 29 voti appena: fronda andreottiana, pare [...]» (Sebastiano Messina) • «[...] grandiosa stagione di leader del ”CAF”, slogan memorabile che riassumeva la sua complicata alleanza a tre, con Craxi e Andreotti. Una stagione in apparenza invincibile, fino alla rivoluzione giudiziaria del 1992. [...] un curriculum lungo come un lenzuolo. Per 34 anni, dal ”58 al ”92, deputato della democrazia cristiana e per due volte segretario, all’inizio degli anni settanta e poi, alla fine, dal 1989 al 1992. Sei volte ministro, dalle Partecipazioni statali alla Difesa agli Esteri. Presidente del consiglio dei ministri nel 1983 e due volte vicepresidente a fianco di Craxi. Infine, stroncato - con una condanna a tre anni – dalle vicende di Tangentopoli. [...]» (Cesare Lanza, ”Sette” n. 42/2001). Natala Aspesi sulla ”Repubblica” del 18 dicembre 1993: «Si sgretola definitivamente il grande Caf, in quest’aula del tribunale, surriscaldata dalla tensione e dall’attesa di uno spettacolo straordinario e tetro, umiliante non solo per i suoi protagonisti eccellenti, adesso qui testimoni ”indagati per reato connesso” , ma anche per tutto il Paese, che per anni li ha voluti ai suoi vertici, alla sua guida. Un polo del Caf, Giulio Andreotti, ha subìto l’oltraggio di un vero e proprio interrogatorio lunghissimo, da parte dei giudici di Palermo, e un confronto con un criminale pluriassassino. Gli altri due, Arnaldo Forlani e Bettino Craxi, ieri si sono trovati nella desolata situazione di doversi difendere, qui a Milano, aggrappati alle loro verità che paiono menzogne e che pure accanitamente ripetono, come fanno da mesi. Tutti e due sono stati presidenti del Consiglio, tutti e due sono stati segretari dei loro potenti partiti, la Democrazia cristiana e il partito socialista: Forlani per due volte, Craxi per 17 anni di seguito, sino a quel maledetto 92, quando anche Forlani ha dovuto ritirarsi. Come potessero governare insieme, al di là di eventuali ragioni di interessi non solo politici, appariva ieri quasi impossibile, tanto i due uomini sono diversi umanamente. Anche nell’affrontare la Corte e il pm Di Pietro, che tutti e due già conoscono, anche nell’affrontare il senso amaro delle loro responsabilità: Forlani, per difendersi, nega tutto, non solo per sé e per la Dc, anche per tutti i partiti. Craxi, per difendersi, accusa tutti i partiti, il Psi, ma mai se stesso. Li unisce invece il giudizio sprezzante sull’accusa di aver ricevuto dalla dissanguata Enimont 35 miliardi (la Dc), 75 miliardi (il Psi, evidentemente considerato degno di maggiori riguardi): ”La notizia della maxitangente è un maxibugia, una maxifavola”, dice compìto Forlani, ascoltato a metà mattina. Mentre Craxi, che chiude la giornata come una star, è più brusco: ”La maxitangente è una maxiballa”. E paiono essersi messi d’accordo per scaricare ogni trama, ogni illecito, ogni maneggio di sporchi miliardi, ogni trasporto di borsone-casseforti, a silenziosi, arruffoni, in fondo eroici segretari amministrativi. ”Citaristi aveva un compito ingrato, quello di raccogliere denaro, ho molta comprensione per lui”, dice Forlani evocando la sofferente figura del vecchio servitore del partito. [...] Alla fine, Craxi malgrado la sua capacità di imporsi è un vinto, come Forlani, che pare una statua di sale se non fosse per la bava che gli scende all’angolo della bocca, segnale di disperazione. Non sapeva niente, non voleva saper niente, non chiedeva niente, il partito divorava miliardi ma non gli interessava sapere quanti, non era suo compito: pare una di quelle mogli spendaccione che non chiedono al marito impiegato come fa a regalargli il visone. Non sapeva che il suo partito prendesse denari illeciti, ma neanche che lo facessero altri partiti: viveva in suo mondo di fiaba, dove i miliardi fioriscono per conto loro. Andava a cena con Gardini, o Sama e Cusani per parlare del futuro del mondo, confonde gli anni cruciali, non ricorda gli incontri pericolosi. Contraddice quel che ha detto in un’altra udienza Citaristi, non si sa se dica il vero o il falso: la sua voce è una nenia soporifera, le sue risposte un groviglio di frasi fatte: eppure, lui segretario politico, la Dc nella catastrofica elezione del 1992 fu votata ancora da più di 11 milioni di italiani, il 29,7%. In poco più di un anno la Dc si è frantumata, e il suo ex segretario ha chiuso» (Natalia Aspesi, ”la Repubblica” 18/12/1993).