Varie, 26 febbraio 2002
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Forman Milos
• Caslav (Repubblica Ceca) 18 febbraio 1932. Regista. Film: Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), Hair (1979), Ragtime (1981), Amadeus (1984), Larry Flint (1996), Man on the Moon (1999) • «Le finestre dell’appartamento newyorkese di Milos Forman affacciano su Central Park. Nell’arredamento essenziale, quasi spartano, risaltano i giocattoli dei gemelli di tre anni nati dall’ultimo matrimonio, un enorme televisore sintonizzato sulla Cnn e un coloratissimo quadro di un amico europeo che mette a confronto la nostalgia dell’Europa e la potenza dell’America con un titolo che strizza l’occhio a Fellini (Americord). L’inglese del regista è ancora venato da un forte accento dell’Est Europa: ”Ho cominciato a vivere in questo appartamento all’epoca di Hair, metà del film era ambientato nel parco, e avevo deciso di rimanere nelle vicinanze. La produzione mi ha trovato immediatamente questa casa, che ho acquistato poco tempo dopo. L’America ha rappresentato per me comodità e opportunità”. Dall’Andy Kauffman di Man on the moon al Larry Flynt di Oltre lo scandalo, dal Berger di Hair al McMurphy di Qualcuno volò sul nido del cuculo, quasi tutti i suoi protagonisti si ribellano al sistema, e in molti casi all’America. ”Se è per questo, sono fuori dal sistema anche Amadeus e Valmont. Sono attratto da questi personaggi perché nell’intimo ho sempre desiderato di essere a mia volta un ribelle, ma non ho mai avuto il coraggio di metterlo in pratica [...] Sono nato in un paese, la Cecoslovacchia, che ha subito due regimi totalitari come il nazismo e il comunismo, e ne ho vissuto in prima persona il senso di oppressione e le mostruosità. Un’esperienza di questo tipo costringe a diventare nell’intimo un ribelle e lo porta ad apprezzare il valore della libertà [...] Dopo essere andato via dalla Cecoslovacchia, ho vissuto a Parigi e a Londra, amando entrambe le esperienze, ma in America non ho mai provato la sensazione di essere uno straniero, sebbene all’epoca del mio arrivo parlassi a stento l’inglese. Sin dal primo momento ho capito che a nessuno interessava da dove arrivassi, ma cosa fossi in grado di fare [...] I film sono cambiati seguendo i gusti di un pubblico influenzato a sua volta dall’industria cinematografica. Anche in America i problemi essenziali sono sempre quelli: trovare una storia interessante e raccontarla in maniera originale. Ciò che invece sta cambiando forse irreversibilmente è il fatto che l’industria, un tempo artigianale, ha acquisito la dimensione di una multinazionale. Un tempo gli studios erano indipendenti, ora sono invece diventati società ancora più grandi. Ne consegue che anche le decisioni creative finiscono per essere fatte da consigli di amministrazione. L’esigenza commerciale, che ovviamente è stata sempre centrale nel sistema hollywoodiano, nasce in questa nuova situazione con dei dirigenti che non sono necessariamente degli esperti di cinema, ma che esprimono le loro valutazioni artistiche per rischiare il minimo e ottenere il massimo. Tra comitati, valutazioni di marketing e strategie commerciali la concezione d’autore risulta sempre più limitata [...] In nessun posto come a Hollywood esiste l’illusione del potere. Esistono star che certamente possono fare il bello e il cattivo tempo, ma una delle prime lezioni che ho imparato a Hollywood è stato assistere al fiasco di Missouri con due stelle di prima grandezza come Marlon Brando e Jack Nicholson all’apice della loro popolarità e un grande regista come Arthur Penn. Il cambiamento genetico a cui mi riferisco non può che accrescere il potere delle star, per il semplice motivo che per una compagnia finanziatrice o per una banca è molto più facile identificare una garanzia con il nome di una star che con il valore di una storia [...] L’aspetto più snervante del modo di lavorare hollywoodiano è precedente al momento delle riprese: le valutazioni, le analisi, le infinite discussioni e trattative nelle quali è sempre centrale l’elemento economico. Ma una volta che un film è approvato, il sistema degli studios offre garanzie impagabili, e l’industria ha tutto l’interesse a offrire il meglio al responsabile del progetto. Su un piano personale io soffro molto per un elemento creativo: sento la mancanza della mia lingua, e capisco di non potere apprezzare né replicare le sfumature di una lingua che ho imparato in età adulta [...] Alcuni dei miei film di minore successo, come Valmont, sono tra quelli a cui sono maggiormente affezionato. Realizzo solo film che vorrei vedere sullo schermo come spettatore. Il Cuculo è stato realizzato con un budget ridicolo e un protagonista che non era ancora una star. E non c’erano star neanche in Amadeus. Viceversa non ho mai avuto tanta pubblicità come per Valmont. La realtà è che a volte non sono stato in sintonia con i gusti del pubblico”» (Antonio Monda, ”la Repubblica” 14/1/2002).