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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

Fosbury Dick

• Portland (Stati Uniti) 6 marzo del 1947. Grandissimo campione di salto in l’alto, specialità della quale rivoluzionò la tecnica. Medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1968 • «L’unico uomo che è stato capace di capovolgere uno sport, inventore di un salto rovesciato, il Fosbury flop, che poi sarebbe rimasto tra le stelle per sempre. Perchè se con gli 8.90 di Beamon per la prima volta un uomo è riuscito a volare, qui per la prima volta un uomo è riuscito a volare all’indietro, la schiena piatta, il sedere ad accarezzare l’asticella, le gambe richiamate all’ultimo istante e gli occhi a controllare l’acrobazia nel vento. Mai prima di allora si era vista una cosa così: un incredibile salto in alto e proprio alle Olimpiadi più alte di sempre, i 2.300 metri della terrazza di Città del Messico, anno 1968. Fosbury aveva l’ascensore nelle gambe ma quando saliva aveva la grazia di un ballerino di Bejart, quasi poetico in quel mezzo avvitamento in aria, simile a quello dei delfini quando si divertono sulle onde. Toccava il cielo con il naso e non col sedere come facevano tutti gli altri spilungoni della terra, per poi rimanere sdraiato e sospeso sull’asticella per un tempo che sembrava un’eternità, come se anche Newton e la forza di gravità facessero il tifo per lui. Il pubblico faceva oooh ad ogni salto di quel ragazzino sconosciuto coi brufoli e i capelli rossi che veniva dall’Oregon; mentre gli avversari sgranavano gli occhi della perplessità. ”Se il Fosbury flop diventerà un modello, l’America si ritroverà con un’intera generazione di saltatori con il collo rotto’ diceva Payton Jordan, il coach della nazionale Usa, forse già preoccupato di dover cambiare in corsa moduli, allenamenti e tabelle. A quel tempo nel mondo domina la scuola di scavalcamento ventrale, quella condivisa nonostante la guerra fredda da Usa e Urss, con il grande Valery Brumel che si era arrampicato fino al record mondiale di 2.28 prima di distruggersi un ginocchio in motocicletta. Quella tecnica l’aveva inventata un certo Horine che allenandosi nel giardino di casa, e avendo il giardino di casa grande come un francobollo, doveva prendere la rincorsa di traverso. Fosbury invece aveva capito che partendo frontale, e poi percorrendo un semicerchio, poteva fare gli ultimi appoggi con più sprint, trovandosi così già inclinato mentre iniziava il decollo in avvitamento. I dati erano tutti per lui: 8 passi invece di 5, velocità di rincorsa fino a 32 chilometri all’ora e infine stacco rapido fino a 18 centimetri al secondo. Per lui, appassionato di matematica, il ventrale era già passato, dimenticato, archiviato per sempre. Alto e dritto come un cipresso ma elastico come una molla, Fosbury trova le maggiori difficoltà nel convincere il suo allenatore, Bernie Wagner, che infatti gli dà il permesso di usare il flop solo per una gara, ai campionati studenteschi. Come tutti quelli che si giocano la vita in un giorno, e quel giorno lo aspettano da una vita, Fosbury salta e migliora il suo personale di 20 centimetri: wow. E così continua, e dopo due anni e mezzo di allenamenti arriva terzo ai Trials strappando coi denti un posto per il Messico. Arriva il 1968 ed è un anno fatale, uno spartiacque di orrore e dolore tra passato e avvenire. l’anno del Vietnam e della rivolta studentesca, dell’assassinio di Bob Kennedy e di Martin Luther King, della guerra civile in Biafra e della caccia ai dissidenti in Urss, delle impiccagioni dei neri in Rhodesia e della primavera di Praga appassita sotto i carriarmati sovietici. I venti di protesta soffiano sul fuoco sacro di Olimpia e dieci giorni prima del via, in piazza delle Tre Culture a Città del Messico, i militari sparano sui manifestanti che contestano la politica conservatrice del presidente. Si gareggia su una pista insanguinata e Tommie Jet Smith e John Carlos, neri americani sul podio dei 200, salgono senza scarpe e ascoltano l’inno con la testa bassa e il pugno nero teso verso l’alto. Sono le prime Olimpiadi del tartan, la resina sintetica che restituisce la spinta agli atleti; le prime del controllo antidoping; le prime dell’esame del sesso (e si ritirano misteriosamente le sorelle Irina e Tamara Press che a Tokyo avevano vinto cinque medaglie); e anche le prime Olimpiadi delle due Germanie divise, Ovest ed Est. Diventeranno anche le Olimpiadi di Fosbury che saltando al contrario stacca l’ombra dalla terra fino a 2.24, vince la medaglia d’oro e conquista così l’eterna sopravvivenza. ” uno stile che va bene solo per lui - chiosano stizziti i rivali - non attaccherà’. E invece Fosbury non scende più dal suo castello in aria, diventa libri e dispense per l’università, tavole rotonde e film, appassiona biomeccanici di rango e scienzati dello sport, si ritaglia addirittura una pagina sull’enciclopedia Britannica e infine conquista un posto nella Hall of Fame, mentre il Fosbury flop diventa un marchio, uno stile, soprattutto una speranza per raggiungere nuovi traguardi. Arrivano così i primi discepoli, incuriositi. E anche l’Est, che aveva resistito alla novità degli odiati imperialisti yankee, cede al prodigio di quel salto. E quando il grande Dwight Stones con il Fosbury flop nel 1973 diventa il primo uomo a scavalcare il muro dei 2.30, tutti finalmente capiscono. Arriverannno col tempo Mogenburg, Sjoberg, Zhu, Paklin e Sotomayor, salito a 2.45 e poi prigioniero del sogno dei due metri e mezzo. Travolto da congressi e dibattiti, intervistato ogni giorno e tirato per la giacca da mezzo mondo che vuole sapere ”come si fa il flop’, Fosbury salta ancora per un annetto e poi si ritira ancora giovanissimo, diventando così una leggenda ancor di più, perchè non mostra al mondo il declino dell’eroe mentre dimostra agli avversari la grande legge dell’Olimpiade e dello sport, cioè quanto sia crudele e affascinante riuscire a dare il massimo proprio in quel giorno, in quell’occasione, nell’attimo del salto, sia pure capovolto. Oggi vive con la seconda moglie nell’Idaho, dove è ingegnere e costruisce ponti. Ponti sul futuro, come piace a lui. Non salta più, ma ogni giorno riceve un centinaio di lettere dai giovani che gli chiedono consigli su quel fantastico flop. Sara Simeoni ha fatto di più, perchè quando l’ha incontrato un giorno in una conferenza gli ha sussurrato all’orecchio: ”Sei stato l’uomo più importante della mia vita. Volevo solo dirti grazie’» (’Il Messaggero”, 17/1/2002).