varie, 26 febbraio 2002
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FOSSATI Ivano Genova 21 settembre 1951. Cantante. Autore. Uno dei più autorevoli cantautori italiani
FOSSATI Ivano Genova 21 settembre 1951. Cantante. Autore. Uno dei più autorevoli cantautori italiani. Incide il primo album, Dolce acqua, nel 1971 alla guida dei Delirium; il successo arriva nel 1972 con Jesahel. Tre anni dopo intraprende la carriera di solista. Ha scritto musica per il teatro e per il cinema. Canzoni di maggior successo: La musica che gira intorno, La mia banda suona il rock, Italiani d’Argentina, La costruzione di un amore • «Pensando alle sue canzoni si avverte lo sforzo costante di preservare l’integrità di un’arte spesso fraintesa e mortificata. Come De Gregori, Paolo Conte e pochi altri, la sua tenacia potrebbe farlo apparire come l’ultimo dei mohicani, uno degli eroi di quella speciale riserva indiana che sta diventando la canzone di qualità. [...] ”Bisogna fare i conti con le proprie scelte, io la mia l’ho fatta [...] nel 1984, con l’album Ventilazione. Le possibili conseguenze le avevo già previste: essere un po’ più soli, più fuori dal mercato. Ma quello che m’interessava era vedere se nella canzone, in questo bel contenitore di quattro minuti, ci potesse stare qualcos’altro, non dico di meglio, perché io sono innamorato delle canzoni tradizionali, ho una venerazione per gli autori degli anni Sessanta, quelli che sapevano scrivere le vere canzoni di intrattenimento, è solo che io poi ho scelto una strada diversa [...] io ho una sconfinata ammirazione per autori come Bardotti e Endrigo che erano riusciti a tenere una linea perfetta di intrattenimento, ovvero canzoni che potevano anche andare a Sanremo però contenendo qualcosa di distorto, di bello, di obliquo, con delle forti intuizioni” [...] La più riuscita delle canzoni che ha fatto per altri? ”Non sta a me dirlo, spesso citano Pensiero stupendo, o anche canzoni che io chiamo canzoni-gioco come Non sono una signora [...]» (Gino Castaldo, ”la Repubblica’ 14/3/2005). «Nei miei progetti artistici non c’è mai stato il disegno di allargare il pubblico o di vendere più copie. I miei discografici si avviliscono quando glielo dico. [...] Il mio è un modo di essere stanziale alla Verne. Non sono i viaggi che ispirano le mie canzoni, l’ispirazione mi arriva dallo straniamento di trovarmi in un posto bello, quieto, isolato. Ancora oggi, come quando avevo 16 anni, passo serate intere a leggere l’atlante. A scrutare posti dove non sono stato, a cercare quelli che ho visitato, a fare fantasie su quelli dove non andrò mai [...] Mi sento molto più libero di come mi si dipinge» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 7/2/2003). «’A 50 anni sono curioso come quando ne avevo 20. Ma più preparato e acuto. Mi impegno per non invecchiare male. E per non diventare un imbecille canuto tengo alta l’attenzione”, assicura. E sarà proprio perché osserva la realtà con tanto puntiglio, con un paio di canzoni del suo repertorio diventate, loro malgrado, manifesti politici, che [...] riflette: ”Da sempre desidero che le mie canzoni si rappresentino da loro, nella parole e con la musica. Ho derogato in un solo caso: per l’Ulivo di Veltroni cui concessi come inno l’utilizzo della mia La canzone popolare. Oggi però non lo farei più. Perché penso che l’Ulivo sia un abito politico da smettere. C’è un tempo per tutto, e il tempo corre fin troppo, mentre la credibilità va coltivata. Oggi c’è bisogno di una vera Sinistra più che dell’Ulivo; ed io sono qui ad aspettarne la nascita”. Non si sottrae al bilancio della sua vita fin qui. E seppur artista schivo, interessato all’anima più che alla politica, rincara: ”Va da sé che la coalizione di D’Antoni con Un uomo libero, brano che ho scritto per l’ultimo disco di Celentano, non mi chiese nessuna autorizzazione. Ma chi ascolta quella canzone fino in fondo, avrà chiaro che non c’entrava niente con quel programma politico”» (Gloria Pozzi, ”Corriere della Sera” 3/2/2002). « I miei compositori preferiti? Gli italiani. Primi fra tutti Morricone e Rota quando scrivevano per Leone e Fellini [...] In una vecchia sala di Genova mi lasciai l’infanzia alle spalle. Dopo aver visto una commedia americana scoprii che la fantasia non aveva bisogno di artifici per alzarsi in volo. E per la prima volta mi sentii adulto [...] Ero ancora un ragazzo quando mi innamorai delle colonne sonore e cominciai a collezionarle. Non sopportavo le canzoni: mi sembrava che le parole disturbassero la musica, ne intralciassero il cammino. Poi arrivarono i Beatles e per fortuna cambiai idea... Ma ricordo film italiani come I soliti ignoti dove, su alcune scene, erano addirittura ”avvitate” partiture per quintetti jazz. Lo stesso accadeva in Francia, con Miles Davis che accompagnava le sequenze di Ascensore per il patibolo diretto da Louis Malle» (Enzo D’Errico, ”Corriere della Sera” 24/10/2002). Vedi anche: Antonio D’Orrico, ”Sette” n. 17/1998.