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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

FUKSAS

FUKSAS Massimiliano Roma 9 gennaio 1944. Architetto • «Il mio bisnonno faceva il mercante di sale a Kaunas, in Lituania. Era di religione ebraica e gli ebrei non potevano studiare nell’impero russo. Così mandò mio nonno a laurearsi a Heidelberg, in Germania. Là conobbe mia nonna, cittadina tedesca. A mio padre toccò invece in sorte studiare medicina a Roma [...] Sono stato studente a Valle Giulia, la facoltà di Architettura a Roma, alla fine degli anni ’60. C’era un grande movimento, non eravamo legati a nessun partito, e i gruppuscoli marxisti-leninisti erano marginali. Contava l’idea che le persone si formavano sul cambiamento della società [...] Per noi l’Università era un luogo fondamentale, ci piaceva stare lì, era un punto di riferimento, non la trovavamo squallida e triste, anzi penso che molti hanno poi deciso di rimanerci come ricercatori e più tardi come docenti proprio perché a quel luogo si erano affezionati [...] Ricordo le lunghe passeggiate di notte, da un bar a una trattoria con Oreste Scalzone e Franco Piperno, i futuri fondatori di Potere operaio, avevamo un’età tra i 23 e i 25 anni, guardavamo al Che Guevara e al terzo mondo, ma anche ai problemi della giustizia sociale in Italia. Tutto ci sembrava possibile [...] Per lavorare, dopo la laurea, illudendomi che avesse ragione Mao e che si dovesse conquistare la periferia per arrivare al centromi misi a fare progetti per piccoli comuni, là dove c’era magari un assessore democristiano illuminato o un comunista un po’ fuori le righe, oppure un artista, come quello di Civita Castellana, che era un pittore. Nacque così il mio progetto per la palestra di Paliano, che tanto piacque in Francia [...] Ai francesi piaceva quello che facevo, organizzarono gruppi di studio per venire a vedere cantieri che nel frattempo erano diventati ruderi. Decisi di aprire uno studio a Parigi [...] Quando sono stato nominato direttore della Biennale mi sono chiesto ”Come faccio a mantenere il potere?” e subito dopo ”Come faccio ad accrescerlo?”. Ho capito solo più tardi che il potere ti fa dimenticare la sostanza. Perdi le visioni, e la capacità di avere visioni per un architetto è tutto”» (Rocco Moliterni, ”La Stampa” 17/3/2001). «[...] della libertà di azione, ma prima ancora della libertà di scelta sembra essersi autoeletto paladino. E non per eccesso di amor proprio. Per necessità piuttosto. Quel genere di necessità caparbia, essenziale, che tende allo scopo mantenendosi attentissima ai dettagli, ma incurante degli incidenti di percorso. [...] ”Questo è un paese che paga un prezzo preciso. Paga quel che è successo dal 1964-1965 ad oggi. Io sono convinto che si tratta di una data decisiva. In quel momento si erano risolti i danni della guerra e le angosce della ricostruzione. Dopo il neorealismo ci si stava orientando verso una maggiore apertura intellettuale. La borghesia era sobria, la gioia di vivere tanta. Una grande occasione mancata. Perché non si è saputo cogliere la portata trasformativa che era insita in quel momento. Allora il paese poteva andare avanti, e non lo ha fatto. Poi è arrivato il 1968, che ai miei occhi (troppo interni forse, ma comunque attenti) altro non è stato che una ideologizzazione di qualcosa che sino ad allora non era ancora ideologico. In gioco era l’opportunità di un ricambio generazionale, radicale, rivoluzionario. Ma non è stata còlta. Il risultato è che questo, oggi, è un paese vecchio [...] io vivo e lavoro a Roma, per Roma, da sempre. Ma mai nessuno che mi abbia proposto un qualche incarico politico, foss’anche il consigliere di circoscrizione. Sa perché? Perché io critico, critico sempre. Troppo [...] Io la vedo così: c’è l’immagine, e c’è l’emozione. L’immagine è già coscienza. E serve per creare delle emozioni, tutto quel che va a indagare la profondità e complessità della psiche umana. Nell’immagine già c’è una coscienza di libertà. Non è qualcosa che arriva successivamente, nel momento in cui si formalizza o si disegna. La libertà è dall’inizio. Non possono esserci vizi di forma, non si può incominciare con elementi antagonisti. O sei libero tu, è libero il tuo pensiero, oppure non se ne fa niente [...] La libertà si unisce all’etica nel senso che devi essere libero di esprimere una tua etica. Ma non si tratta di responsabilità. Di decisione, piuttosto. ’Responsabilità’ per me è una parola mediocre. Voglio essere irresponsabile! Dalle avanguardie in avanti, le cose migliori sono sempre nate dalla irresponsabilità [...] Purtroppo o per fortuna, la libertà nasce dalla cultura. Accade di dover comunicare il gusto della libertà a gente che non la vuole. Trasmettere la passione di scegliere a persone che preferirebbero non decidere niente. Se dovessi dire quale è il primo passo verso la libertà, direi nel comprendere che la situazione presente, specie quella politica, è una situazione finita. Noi dobbiamo capire questo, e superarlo. Aggirare la fatica inutile di adeguarsi a un sistema che è del tutto sorpassato. Bisogna scegliere di far parte del futuro. Se capisci il flusso di trasformazione, capisci dove vai. E la tua libertà individuale ne risulta immediatamente accresciuta”» (Lisa Ginzburg, ”Il Messaggero” 29/1/2005).