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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

Fukuyama Francis

• Chicago (Stati Uniti) 27 ottobre 1952. Insegna Economia politica alla Johns Hopkins University, Politica Pubblica alla George Mason. Tre anni membro del Dipartimento di Scienze Politiche della Rand Corporation a Washington. Nel 1981 e nel 1989 ha fatto parte dello staff politico del Dipartimento americano: come esperto degli affari del Medio Oriente e come vicedirettore per le questioni politico-militari in Europa. Nel 1992 ha partecipato con la delegazione americana ai colloqui di pace tra Egitto e Israele sull’autonomia palestinese. Due libri di grande successo: The end of history (1992), best seller in tutto il mondo, e Trust: The Social Virtues and the Creation of Prosperity (1995) (’liberal”, 14/10/1999) • «Diagnosticò omologazione e fine della storia (e ancora cerca di metterci una pezza)» (Adriano Sofri) • «Nel 1992, Francis Fukuyama, fino ad allora un oscuro studioso di politica, è diventato noto a tutti [...] annunciando che il crollo del comunismo sovietico avrebbe segnato la fine della storia. La democrazia liberale trionfante rappresentava l’ultima parola nell’organizzazione umana, l’apice di un processo di evoluzione politica, il sistema più fecondo mai creato e quello più in armonia con la natura umana. La storia era finita perché non ci poteva essere più discussione su quale fosse il miglior sistema politico. Con i massacri che si sono verificati in seguito - i Balcani, l’11 settembre, il Kashmir, l’Afghanistan, l’Iraq - molti [...] sono arrivati alla conclusione che Fukuyama si era sbagliato. Tuttavia, La Fine della Storia (edito in Italia da Rizzoli) e l’ultimo uomo ha venduto milioni di copie e ha fatto di Fukuyama il cocco dell´intellighenzia globale. Nel suo libro, Trust (Rizzoli), nel 1995, ha esaminato il collante sociale che fa funzionare le società in un tempo in cui la gente rimpiange la perdita di un nucleo religioso o morale. Con The Great Disruption (La Grande Distruzione: la natura umana e la ricostruzione di un nuovo ordine sociale, edito da Baldini e Castlodi), del 1999, ha spiegato perché i movimenti sociali radicali degli anni Sessanta erano destinati a fallire. Con Our Posthuman Future (L’uomo oltre l’uomo: le conseguenze della rivoluzione biotecnologia, edito da Mondadori), nel 2002, ha sostenuto il controllo legale della ricerca genetica - proprio quando il timore per i cibi manipolati e i bambini ”su ordinazione” si impadroniva della psiche popolare. [...] con State Building: Governance and World Order in the Twenty-First Century, ha analizzato i modi in cui gli Stati collassati e venuti meno - come, tanto per fare un esempio, l’Iraq - possono essere ricostruiti, proprio nel momento in cui chiunque si è reso conto che sono questi stessi Stati a diffondere il terrorismo globale. Se succede qualcosa, se è qualcosa di grosso, qualcosa di cui si discute ad una cena a cui siete stati invitati, probabilmente Francis Fukuyama ci sta già scrivendo un libro. [...] un personaggio irritante. I suoi argomenti, in apparenza, sembrano essere assolutamente esatti e tuttavia, considerati più a fondo, appaiono poco plausibili. Qualcuno può credere seriamente che la storia sia finita? Mi chiedo se lui stesso lo creda. Poi c’è il suo modo di fare. Vestito sobriamente, estremamente ordinato, privo di senso dell’umorismo, sembra essere più una emanazione istituzionale che un uomo. [...] è figlio unico. ”Probabilmente è stato importante essere cresciuto in una piccola zona di New York ed aver avuto a che fare più con gli adulti che con gli altri ragazzi. Ora ho tre figli - una ragazza e due maschi - e li invidio veramente. Si divertono molto insieme. Fino a quando non ho visto loro, non avevo mai veramente rimpianto il fatto di non aver avuto un fratello e una sorella. Ma adesso lo rimpiango”. La sua solitaria educazione è stata impegnativa e complessa dal punto di vista accademico e culturale. nato nel 1952. Il nonno paterno, nel 1905, emigrò dal Giappone a Los Angeles per evitare di essere arruolato nella guerra russo-giapponese. Suo padre è nato a Los Angeles, oggi ha ancora dei cugini in California. Sua madre è arrivata negli Stati Uniti nel 1949, e la famiglia si è stabilita a New York. Ha qualche parente in Giappone, ma nessun vero legame. Non parla la lingua. I suoi genitori la parlavano, ma soltanto quando volevano nascondergli qualcosa, una dolorosa simbologia di sradicamento e reticenza. A New York ha frequentato una scuola privata in cui la maggior parte degli altri ragazzi erano ebrei: anche in questo caso, un solitario. Entrambi i suoi genitori erano insegnanti e suo padre divenne ministro di culto Congregazionalista e si laureò in sociologia. Il figlio ha ereditato la prospettiva accademica e internazionale ma non la fede. Questo è importante perché un modo per capire il suo lavoro più recente è quello di vederlo come un tentativo di giustificare la civiltà occidentale in assenza della fede. Fukuyama figlio è essenzialmente laico. Andò all’Università di Cornell per intraprendere gli studi umanistici con la prospettiva di passare alla filosofia politica. Qui venne in contatto con le idee di Leo Strauss. Strauss, che morì nel 1973, ha avuto una profonda influenza sul pensiero politico americano moderno. Ha scritto quasi esclusivamente in relazione ai testi classici di filosofia politica ma, nel farlo, ha gettato le fondamenta intellettuali del movimento neoconservatore (neocon) statunitense. Strauss temeva che l’Occidente potesse essere indebolito dal relativismo morale, privato della capacità di resistere a credi assoluti come il fascismo, il comunismo, e, avendo vissuto abbastanza da vederne la nascita, l’islamismo. Egli credeva nella democrazia liberale, ma vide anche che la mancanza di impegno morale poteva renderla potenzialmente autodistruttiva. Auspicava un ritorno ai valori politici degli antichi filosofi, ma riconosceva che un simile ritorno sarebbe stato difficile senza un elemento religioso. Il lavoro dei filosofi è pericoloso perché può indebolire le convinzioni popolari che, sebbene illusorie, tengono insieme la società. Il vero filosofo, perciò, non afferma necessariamente il vero. Per il bene del popolo, ne sostiene le false ma benefiche convinzioni, in nome della difesa della democrazia liberale. Questa nozione di inganno sistematico è tornato a perseguitare i neoconservatori. [...] Dopo aver ottenuto il dottorato in Scienze Politiche ad Harvard, Fukuyama decise di procurarsi un lavoro. Evitando i circoli accademici, si è trasformato in un pensatore pratico, piuttosto che teorico. Per quanto poco chiare possano apparire le sue più recenti idee, l’analisi e l´argomentazione sono impeccabili. Durante gli anni Ottanta Fukuyama ha lavorato con il gruppo della Rand Corporation e con il Dipartimento di Stato, scrivendo saggi molto pratici e perspicaci sulla politica estera sovietica e sul Medio Oriente. ”Credo che avere un collegamento operativo con la politica contribuisca a mantenersi ancorati al mondo reale”, dice. ”Ecco perché molti professori universitari perdono il contatto con ciò che sta realmente accadendo”. Nel 1986 ha sposato Laura Holmgren, che studiava la politica estera sovietica in California. Poi, nel 1989, è andato a Chicago per tenere una conferenza sul tema del declino dell´Occidente. La conferenza era La Fine della Storia. Tre anni più tardi era diventato un libro e Fukuyama ha smesso di essere un oscuro studioso. L’idea centrale del libro è che la storia non consista in una serie casuale di eventi. Esiste un sottostante filo conduttore di cui la democrazia liberale costituisce la conclusione. in parte proprio questo che rende le sue idee così lusinghiere per l’America in particolare e per l’Occidente in generale. Voi, sembra dire, siete al vertice dell’intera storia umana. Non c’è niente di meglio nel futuro e tutto, nel passato, è stato peggiore. Questo fu il punto di vista dei razionalisti liberali illuministi del XVIII secolo, che videro il progresso delle vicende umane attraverso la ragione. Fukuyama vede se stesso come un erede moderato di quest’ultima tradizione. La parola ”moderato” è importante, perché i comunisti credevano in qualcosa di pericolosamente simile. ”Sono un liberale illuminista che crede nell´esistenza della storia progressiva, sebbene non in senso meccanicistico, marxista. Ma esiste un processo coerente di modernizzazione: non stiamo semplicemente girando in cerchio. Penso che ciò che guida questo processo sia la conoscenza cumulativa della scienza e della tecnologia che produce un mondo economico con determinati rapporti sociali e politici. presente anche un elemento morale. Ciò che io definisco fine della storia è la razionale accettazione della lotta per il riconoscimento, per la dignità. un processo economico di distribuzione dei beni, ma è veramente un riconoscimento morale del valore degli individui. in armonia con alcuni desideri fondamentali della gente. Il modo più semplice di provare tutto questo in modo empirico è guardare al flusso a senso unico di coloro che cercano di vivere nelle società moderne, contrapposte alle alternative esistenti. Milioni di persone, ogni anno, tentano di fuggire dalle società pre-moderne. Vogliono che i loro figli sopravvivano all’infanzia, che abbiano un buon livello di istruzione. Vogliono essere in grado di partecipare, di vedere riconosciuta la loro dignità di esseri umani”. Sì, certo. Ma milioni di persone si sono accalcate per entrare nei territori romani, egiziani o greci, quando quelle civiltà erano all’apice del loro potere. E immagino che per ciascuno di esse ci sarà stato un Francis Fukuyama che assicurava che quello era l’apice della storia umana. Inevitabilmente, ogni volta che si è verificato un importante evento storico, in modo particolare l’11 settembre, qualcuno da qualche parte lo ha utilizzato per provare che Fukuyama aveva torto. ”Visto?”, strillano, ”la storia è ancora in divenire”. Ogni volta lui spiega che, ovunque nel mondo, la democrazia liberale non è inevitabile. Riconosce che potremmo ancora dover lottare o inquinarci fino all’estinzione, che la genetica potrebbe alterare la natura umana in modo che la democrazia liberale non possa più funzionare, o che molte altre cose possono ancora andare storte. Il suo punto di vista è semplicemente che la ricerca di una risposta politica alle vicende umane è terminata. Solo la democrazia liberale ha un senso. Tutti i suoi libri successivi dovevano essere, essenzialmente, note a piè di pagina a questo concetto. ”Credo che ci sia una logica nel processo di modernizzazione, ma è possibile distaccarsene, ad esempio, se la tecnologia va fuori controllo. Oggi la tecnologia ha la capacità di arrivare molto vicino alla fonte dei valori umani. Nessuno di questi è predeterminato, ma io credo che l’esperienza generale della modernizzazione ci indichi certi tipi di società”. Ancora una volta mi trovo a chiedermi se queste argomentazioni abbiano un qualche contenuto. Se ritiene che la storia segua una direzione generale, allora perché ciò comporta una fine, ora o in qualunque tempo? Fukuyama ha detto che il Congregazionalismo di suo padre era una fede in cui il contenuto era quasi del tutto assente. Forse il figlio ha seguito le orme paterne. Fukuyama oggi è professore di economia politica internazionale alla Johns Hopkins University, a Washington. Ma, sebbene sia diventato un personaggio dell’establishment, il realismo che ha appreso alla Rand Corporation e al Dipartimento di Stato ha portato a una profonda divisione tra il pensatore più famoso d’America e i suoi amici neoconservatori dell´Amministrazione Bush. Fukuyama non condivide l’attuale politica estera statunitense. sconcertato dalla decisione - presa da un governo, a quanto pare, neoconservatore - di andare in Iraq. ”Per 25 anni The Pubblic Interest - un giornale neoconservatore - ha parlato della inutilità degli ambiziosi progetti di ingegneria sociale. semplicemente incredibile vedere quelle stesse persone venirsene fuori a dire che possiamo democratizzare l’Iraq: è una cosa totalmente priva di senso. certamente vero che il neoconservatorismo ha questa convinzione: che il potere possa essere utile per uno scopo morale. una cosa che emerge dall’intera esperienza del ventesimo secolo - la seconda guerra mondiale, il rapporto con l’Olocausto e così via?. Senza l’affermazione del potere dei regimi democratici, non vi sarebbero le precondizioni per un ordine mondiale”. Fukuyama ritiene che vi siano state due ragioni principali per attaccare l’Iraq. La prima è il modo in cui è finita la guerra fredda. Personaggi centrali come Condoleeza Rice e Paul Wolfowitz hanno visto il successo della politica reaganiana nei confronti dell´Unione Sovietica. Più tardi, nei Balcani, hanno assistito al fallimento di una decisa azione da parte degli europei. Questo li ha persuasi che l’America poteva esercitare il proprio potere in modo morale e unilaterale e che non si poteva aver fiducia nell’Europa. Il secondo fattore è stato Israele. I neoconservatori ammiravano la dottrina strategica israeliana della linea dura, che, anziché aspettare di essere attaccati, pone l’accento sulla prevenzione. Dopo l’11 settembre, questa linea è diventata anche più interessante. Israele è anche ostile all’Europa e a qualunque organizzazione internazionale, come l’ONU, e normalmente agisce in modo unilaterale. ”Se fossimo israeliani, questo avrebbe senso. Se fossimo circondato da nemici implacabili, potremmo permetterci di far arrabbiare tutti gli alleati, salvo gli Stati Uniti. Questo atteggiamento mentale è stato trasportato nella situazione americana e ha avuto come risultato la dottrina preventiva. La fine della guerra fredda e l’impatto generale del modo israeliano di guardare al mondo ha avuto un effetto maggiore sulla politica estera neoconservatrice di qualunque idea filosofica astratta. Tutto questo ha portato ad un grave errore di calcolo circa quello che sarebbe accaduto nella fase successiva alla guerra in Iraq”. [...] State Building, sembra confermare il tema dell’incertezza. In effetti, è un’ammissione di ignoranza. Non abbiamo una vera idea di come si costruisca uno Stato. Non si tratta semplicemente di esportare alcune istituzioni dagli Stati in cui esse hanno avuto successo. Il problema è capire come tali istituzioni nascano localmente e come mantenerle. [...] Il successo di Fukuyama ha a che vedere con l’aspirazione umana alla grande intuizione che possa trovare una spiegazione a tutto. La grande idea sulla fine della storia ne ha un rassicurante, quasi religioso, riflesso. Siamo gli eroi di una storia a lieto fine. Il caos e i massacri del passato non si devono ripetere. Risplende luminoso un raggio di modernità. Ogni libro che ha scritto dopo La Fine della Storia ha leggermente modificato e indebolito il fascino di quell’idea. Ad ogni nuovo libro, il luminoso futuro è sembrato farsi un po’ più lontano mentre qualcosa che assomiglia in modo sospetto alla storia sembra non dover finire. Si direbbe che Fukuyama ha portato i suoi lettori su una strada che non porta in nessun luogo» (Richard Cannon, ”la Repubblica” 8/8/2004).