Varie, 26 febbraio 2002
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Funari Gianfranco
• Roma 21 marzo 1932, Milano 12 luglio 2008. Conduttore tv. Debuttò nel 1970 con La domenica è un’altra cosa insieme a Raffaele Pisu. Lavorò su tutte le reti: a Telemontecarlo, alla Rai e a Mediaset. Il suo ultimo programma fu Vietato Funari • «[...] l’ultimo romantico della tv, uno che era ancora convinto di poter cambiare il mondo apparendo. Nonostante le disillusioni, persino l’emarginazione. Gianfranco Funari ha sempre amato una tv esagerata, gridata, gentesca, al di sopra delle sue possibilità. Questo però era l’aspetto più affascinante, la sfida avventurosa ed eroica, l’azzardo impresso al suo modo di fare tv. Per anni Funari è stato un parafulmine: quando si parlava di tv spazzatura, dell’incanaglirsi del video il riferimento era d’obbligo. [...] Con le sue tribune, Funari ha compiuto un gesto che nessun giornalista tv aveva mai osato: costringere i politici a esprimersi in modi comprensibili. Con piccole interruzioni del tipo ”scusi, non capisco”, ”vuol ripetere per favore”, ”parli come mangia”, Funari ha sbugiardato il politichese, una lingua settoriale che permette al politico di dire tutto e il contrario di tutto senza mai rischiare di andare incontro a responsabilità concrete. Funari, per primo, ha saputo rompere la connivenza fra conduttore e uomo di potere. La ”conversione estetica” di Funari, però, è consistita in un cambiamento di ruolo e in una radicale rottura dello spazio. Funari ha capito che non poteva continuare a organizzare riunioni di condominio, tipo Aboccaperta. Trasformando il disamore della critica in maschera, si è presentato davanti ai potenti: eccolo qua il vostro giullare, io sono un volgare buffone e perciò posso dire ciò che voglio. Come un nuovo Bertoldo, ben prima di Beppe Grillo. Il rapporto che Funari ha intrattenuto con le telecamere è forse il gesto più radicale compiuto in uno studio tv: via le postazioni fisse, via il retaggio teatrale, la telecamera è diventata tutt’uno con il conduttore, con una rotazione dello sguardo a 360°. [...] Funari si è vissuto come il fondatore di una nuova religione catodica: ”Un bravo conduttore di talk show dev’essere una spugna. Io assorbo tutto e sono in grado di ributtare fuori il tutto nel momento ideale. Il concetto base del talk show è il seguente. Chiamare gente qualunque, dargli un tema e farglielo svolgere indipendentemente dal linguaggio che questa gente usa”. Era ”corporale” come nessun altro. La sua sintassi non passava attraverso l’eloquio, ma attraverso la mimica corporea: soppesava gli argomenti, li accarezzava, li schiacciava, li modellava, li acciaccava. Per questo amava le pause (rese ancor più geniali dall’imitazione di Corrado Guzzanti) che diventavano abile preparazione all’effetto dirompente delle sue dichiarazioni e adorava smodatamente le televendite: attraverso il prodotto lo schermo diventava palpabile, fisico, commestibile (ancora Guzzanti). Interloquiva con l’ospite e si riempiva la bocca di mortadella per lo sponsor. Della tv generalista aveva capito la cosa fondamentale: che per essere eccezionali bisogna mascherarsi da persone normali, scendere al gradino più basso. Ha dato spazio e voce all’inespressività del quotidiano, ha permesso, almeno all’inizio della sua avventura, che l’uomo comune provasse il brivido della ribalta. Ma il merito suo più originale è quello di aver creato disordine, tanto disordine: per questo prima i politici lo hanno molto amato e poi abbandonato. Come un eterno bambino, mascherato da una barba bianca, era imprevedibile, capriccioso, ribelle e geniale. In video poteva apparire ruvido, genuino, popolaresco; in privato invece era buono come il pane [...]» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 13/7/2008).