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 2002  febbraio 26 Martedì calendario

Galbraith John

• Kenneth Iona Station (Canada) 15 ottobre 1908, Boston (Stati Uniti) 29 aprile 2006. Economista • «[...] l’incarnazione del pensiero economico americano più nobile, più austero e oggi meno ascoltato [...] Il profeta del pensiero ”liberal”, dunque, se è ancora lecito dirlo, ”di sinistra” [...] Galbraith con Franklyn Delano Roosevelt [...] ”Il più grande di tutti, l’unico grande presidente di questo secolo” [...] con il suo idolo e maestro John Maynard Keynes [...] tra le rovine di Berlino per studiare la ricostruzione della Germania. [...] alla conferenza di Potsdam con Stalin, Truman e Attlee [...] andò senza essere invitato, presentandosi alla porta con i suoi studi sull’industria tedesca. [...] con i fratelli Kennedy (’Nessuno avrà mai più il carisma e l’intelligenza di JFK [...]”) [...] ambasciatore in India con Nehru [...] accanto a Lyndon Johnson (’Eravamo amici fino al Vietnam, poi non l’ho più voluto incontrare)” [...] non c’è mai un Galbraith con un repubblicano, con Reagan, con Nixon o Bush. ”No, grazie: conosco abbastanza idioti nel mondo dell’alta finanza e dell’università per doverli andare a cercare anche alla Casa Bianca. [...] Roosevelt mi diede uno dei posti più importanti nel New Deal, l’ufficio del controllo prezzi, e io fui tanto incosciente da accettare... [...] Blair mi sembra un ragazzo intelligente [...]”. Il fatto prodigioso è che un uomo di studi e insieme di governo che cominciò a lavorare nell’America degli anni Venti non abbia mai cambiato idea. Niente revisionismi, pentimenti, per Galbraith. [...] nessun economista e nessun politico lo ha mai persuaso ad abbandonare la sua fede keynesiana nel correttivo pubblico agli eccessi privati: ”Dopo ogni boom arriva un crac, questo è sicuro come il ciclo del sole e della notte. Il compito di uno Stato [...] è assicurare che i poveri abbiano abbastanza da mangiare e da lavorare per non disturbare i ricchi. Solo un conservatore cretino è davvero conservatore. [...] Reagan si era autoconvinto che i barboni dormissero sui marciapiedi perché amano l’aria tiepida che esce dalle grate del metrò”. [...] ”Ken” è rimasto il giovane economista al quale i dogmi accademici degli anni Venti avevano insegnato che il mercato lasciato a se stesso ritrova sempre il suo equilibrio e riassorbe la disoccupazione. Ma che vide le teorie e il mondo crollargli addosso nei giorni del grande crac del ’29. Come un trauma infantile o come una rivelazione divina accelerata dall’incontro a Londra con il suo dio Keynes, quello shock ha condizionato Galbraith per tutta la sua lunga esistenza. ”Chi ha vissuto una volta la Grande Depressione non si fiderà mai più del potere di autoregolazione del mercato [...] noi liberal, con lo straordinario successo delle nostre politiche, abbiamo creato troppi ricchi e adesso non ce lo perdonano di essere diventati benestanti grazie alla mano dello Stato. Tutti vogliono credere di essersi fatti da soli”. [...] fu anche comunista, negli anni Trenta? [...] ”No, ma c’erano tanti comunisti fra i miei amici economisti nell’amministrazione Roosevelt. Il sentimento che per il capitalismo la catastrofe fosse inevitabile era molto diffuso [...] scozzese di sangue nato in Canada nel 1908 da antenati centenari e trapiantato negli Usa per sfuggire alla fatica dei campi nell’Ontario, di quello che pensano di lui gli importa poco o nulla. Trovò durante una sua visita nella Cina ancora rossa del ’72, uno dei suoi libri che lui ha disconosciuto, scritto negli anni Trenta, studiato nella biblioteca dell’Università di Pechino. ”Era l’unico libro reazionario che avessi mai scritto, e l’unico mio che i cinesi permettessero [...] Ero molto amico di JFK, amico intimo. Eppure in tante ore di conversazione, non seppi mai nulla della sua vita privata. Nulla. [...] Quando muoio spero di andare in Paradiso. Ma se non ce la facessi, mi accontenterei di passare l’eternità a Venezia”» (Vittorio Zucconi, ”Il Venerdì” 13/11/1998).