Varie, 26 febbraio 2002
GALIENA
GALIENA Anna Roma 22 dicembre 1949 (anche se lei dice 1954). Attrice • «Un metro e ottanta, una sensualità elegante e travolgente» (Claudia Provvedini). «Forse, più di ogni altra rappresenta un sogno di femminilità morbida e solare ed evoca ricordi un po’ perduti, di una sensualità che ignora la moda e il tempo, perché è capace di suscitare un’emozione da uno sguardo, un gesto, un tono di voce [...] ne ha fatto uno strumento per crescere artisticamente, via via attraverso scelte molto coraggiose in una carriera che non ha seguito nessuno dei modelli e delle regole abituali. Ha imparato a sedurre, prima con l’anima e poi con il corpo [...] ”Ero ribelle, non andavo troppo d’accordo in famiglia. Sentivo voglia d’indipendenza e volevo reggermi sulle mie gambe. L’America mi parve subito il luogo giusto. Lì i provini sono aperti: ti presenti e, se vai bene, sei scritturata [...] mi presentai per un provino importante, dovevo fare Giulietta. Ero troppo alta per quella parte, ero tanta, formosa, appariscente al punto di fermare il traffico, come si dice. Non ero adatta, non mi vedevo affatto nel ruolo dell’adolescente innamorata di Shakespeare. Ebbene, la spuntai. Mi sentii come Judy Garland in nata una stella [...] Il marito della parrucchiera. Ero fidanzata con un attore molto simpatico e con lui leggevo questa sceneggiatura, che mi avevano inviata. Leggevo e piangevo, mi disperavo, e lui, il mio amore, insieme con me. Ci guardavamo negli occhi e io mi sfogavo: ” troppo bella questa parte, non ci riuscirò mai! Non posso farla, non ne sarò capace!”. Poi, d’improvviso, una vocina dentro ha cominciato a sussurrare: ”Smettila di lamentarti! Buttati, o la va o la spacca!” [...]» (Ernestina Miscia, ”Chi” 13/6/2001). «Sono una cercatrice, smuovo continuamente le acque, cerco, mi sembra di aver trovato la verità, un’essenza e poi mi accorgo che è una tappa e vado oltre. Se qualcuno dovesse immedesimarsi nella mia parte dovrebbe interpretare una persona che cerca la stabilità attraverso l’instabilità. Invece nel cinema interpreto spesso personaggi che credono di avere una propria stabilità per tutta la vita […] Non vedo la vita come una cosa stabile, sono tappe di un viaggio. Sono partita da giovane come una persona assoluta. Viaggiando ho imparato a guardare e ad ascoltare e ad adattarmi e a capire che l’assoluto è un’aspirazione, non è una cosa che è. Ciò che è è relativo, complesso e contraddittorio […] A volte ballo da sola. In genere ballo quando voglio celebrare o reagire alla tristezza e allora metto una musica per riempirmi d’allegria. In mezzo al pianto mi obbligo a ridere e mi rendo conto che tutto cambia di prospettiva e non c’è motivo di essere tristi […] Innamorarsi è più che allegro, è come un’ubriacatura, uno stato di ebbrezza. La corsa più allegra è forse fare bene l’amore […] Credo che in un’altra epoca mi avrebbero considerata un’eretica e bruciata al rogo» (Alain Elkann, ”La Stampa” 14/11/1994). «Mi sono spogliata solo quando e con chi ho voluto. [...] Adoro i film storici: per un attore, indossare il costume significa essere già nel personaggio» (Emilia Costantini, ”Corriere della Sera” 20/8/2003). «’Ho fatto benissimo ad andare negli Stati Uniti da ragazza. Non solo perché ho avuto l’occasione di studiare e lavorare con personaggi come Ellen Burstin o Elia Kazan, ma perché io, per carattere, non so stare dove si soffre. Quando sento colleghi italiani che si lamentano di come va il teatro o il cinema, restando qui qui a marcire in stagni troppo piccoli, l’unica cosa che so dire loro è di andarsene. Io me ne sono andata dall’Italia prima ancora di capire che avrei voluto fare l’attrice: mio padre, un uomo borghese, laico e illuminato aveva per il mio avvenire progetti quieti e ordinati: sognava per me una carriera accademica, mentre io volevo solo disobbedire. Da piccola, forse per gioco, pensavo al balletto: a undici anni facevo parte del corpo di ballo dell’Opéra e quando papà mi tolse di lì perché temeva sottraessi troppo tempo allo studio, ne patii profondamente. Fino ad allora ero stata una creatura estroversa, solare. Poi iniziò un periodo d’introspezione, connotato da una grande curiosità intellettuale: scaffale per scaffale, metodicamente, ho letto tutti i libri di casa. A diciott’anni ero una ragazza assolutamente cerebrale, convinta che nel mio futuro ci sarebbe stata la scrittura. Per questo rifiutai sdegnata di fare un film del filone ”post Decamerone”: dovevo vestire - ma serabbe meglio dire svestire - i panni d’una giovane ingenua, mostrando un po’ di sedere e un po’ di seno. Gli amici mi invitavano ad accettare usando argomenti come ”usa il sistema, prendi i soldi e non svendere la tua libertà”. [...] Così, alla maniera di tanti studenti. ha girato l’Europa con l’autostop ”e uno zainetto in cui tenevo tutto”, fino a quando nella seconda metà degli anni Settanta, ecco il grande balzo in America. A Toronto le affidano la conduzione di un programma tv in lingua italiana, ma è a New York che si mette a studiare recitazione, superando le selezione dell’Actor’s Studio ”che ho frequentato con il massimo impegno, anche per dimenticare la fine del mio giovanile matrimonio americano”. Il resto è storia nota: belle affermazioni teatrali in testi classici, il ritorno in Europa, e dopo qualche anno il successo internazionale con Il marito della parrucchiera di patrice Leconte. E l’Italia? ”L’Italia mi ha offerto delle belle occasioni: ho molto amato La scuola di Luchetti, Il grande cocomero della Archibugi e Senza pelle de Alessandro D’Alatri. Ma il mio rammarico è che il cinema italiano circoli poco all’estero, che sia impigliato in un mercato ristretto, senza grandi sbocchi” [...]» (Patrizia Carrano, ”Sette” n.17/1997).