26 febbraio 2002
GAMBA Sandro
GAMBA Sandro. Nato a Milano il 3 giugno 1932. Giocatore di basket. Della Borletti e del Simmenthal, ha conquistato 10 scudetti; come assistente di Rubini, sempre al Simmenthal, ne ha vinti 3, oltre alla prima Coppa dei Campioni italiana (’66) e a due Coppe Coppe (’71 e ’72). Ha costruito però il suo mito di allenatore di club, un duro della panchina, alla Ignis Varese (dal ’73 al ’77): 2 scudetti e 2 Coppe dei Campioni. Ha anche allenato a Torino e la Virtus Bologna. Con la nazionale ha vinto l’europeo 1983 e la medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1980. Terzo italiano ad essere eletto nella «Hall of Fame» del basket. «Da una pallottola vagante che gli ferì la mano nella Milano ormai liberata nell’aprile del 1945 all’elezione nella Hall of Fame di Springfield, massimo onore mondiale per un cestista: la carriera di Sandro Gamba, iniziata per caso, per rieducare la mano di un ragazzino ammalato di ciclismo, ha trovato [...] l’epilogo più glorioso. Gamba è stato eletto come allenatore, anche se la sua carriera in campo, culminata con l’Olimpiade di Roma, non è stata trascurabile: solo Dino Meneghin ha vinto più scudetti di lui, Pieri e Riminucci. Ma erano altri tempi. Tra i grandi nomi del basket, è entrato come allenatore: è il coach che ha vinto di più alla guida della Nazionale italiana (4 medaglie), il primo ad aver portato gli azzurri al titolo continentale e a conquistare una medaglia all’Olimpiade. Ma agli americani interessa ancora poco quanto grande uno sia stato nel basket internazionale. La differenza, in questo caso, è che Sandro Gamba sia un tecnico conosciuto e stimato anche negli Stati Uniti. amico di Bobby Knight, di Lou Carnesecca, di grandi santoni con i quali, dagli anni Sessanta, ha tessuto una serie di contatti che sono risultati decisivi per l’affermazione e la modernizzazione tecnica del basket italiano. Esperto di jazz, cultore del mito di Fausto Coppi, ha vissuto il periodo più alto della carriera negli anni Ottanta, assieme a un assistente di prestigio come Riccardo Sales, non solo per l’argento di Mosca e l’oro di Nantes ma, anche, per le intuizioni (l’utilizzo di Sacchetti in azzurro, ad esempio) e il fatto che la sua Italia fosse una squadra che faceva tendenza. Molti nostri giochi erano nei ”playbook” di tanti allenatori. Cresciuto nella zona di via Washington, a Milano, dove c’era la Borletti e il campo all’aperto del Dopolavoro, 4 volte campione d’Italia prima della guerra, Gamba ha giocato sempre nell’Olimpia (salvo un’ultima stagione con i neonati cugini dell’All’Onestà) con Cesare Rubini, suo mentore, che lo volle con sé in panchina dal 1965. Col Principe, di cui divenne ben più di un assistente, chiuse la grande epopea del Simmenthal. Poi, nel 1973, una decisione clamorosa: il ragazzo di casa diventato campione e poi predestinato a sedersi sulla panchina di Milano con cui aveva diviso 25 anni di vita, accetta l’offerta dei grandi rivali di Varese, debuttando come capo allenatore. Con lui, la grande Ignis di Ossola, Meneghin, Bisson, Morse vince ancora. Altro shock: il vicampione d’Europa Gamba, lascia Varese nel 1977 accettando di allenare la Chinamartini Torino, in A-2. Promosso, diventa nel 1979 c.t. azzurro. Un’avventura che termina nel 1992, quando Gamba si ritira, a 60 anni, un autogol per tutto il basket italiano. Da allora, allena soltanto la squadra del Resto del Mondo under 19, dove sono passati tutti i grandi giocatori non americani della Nba di oggi, dedicandosi all’insegnamento della psicologia dello sport. [...]» (Luca Chiabotti, ”La Gazzetta dello Sport” 4/4/2006). «Sono nato a Milano, in via Washington, a venti metri dal campo della Borletti. Mio padre mi portava a vedere le partite, ma i miei miti erano Jesse Owens e Coppi. Sì, Coppi: sognavo di imitarlo. Papà me lo indicò e mi disse: ” stato in prigionia, ma è tornato più forte; prendilo a modello”. Il ciclismo mi avrebbe anche permesso, nel 1960, di recuperare da un infortunio a un ginocchio e di giocare all’Olimpiade di Roma. Contro Oscar Robertson e gli Usa...[...] Il 25 aprile 1945: la Liberazione. Mi beccai una raffica di mitra alla mano destra. I medici dissero: ”Va amputata”. I miei genitori replicarono: ”Non se ne parla”. L’1 agosto la Borletti iniziava una leva: mi presentai. Il basket mi permise di recuperare. Non solo: imparai ad essere ambidestro [...] Smisi di giocare a trentatré anni, ci risiamo con Gesù Cristo...: mi ero infortunato e non mi divertivo più. Non volevo sfiorire in B: meglio una pagina nuova [...] Si giocava in condizioni infami: ricordo che il mio debutto in serie A avvenne a Ravenna su un campo in terra, dove c’era il mercato dei cavalli. Ma tra polvere e buche, si imparava a trattare la palla divinamente[...] Quando gli americani se ne andarono e portarono via i cesti da via Washington, noi tracciammo due circonferenze per terra, alle estremità del campo. Per segnare, occorreva tirare in alto e fare sì che la palla cadesse nel cerchio... [...] L’argento olimpico a Mosca. Eliminammo l’Urss in semifinale e l’impresa fu poi ricordata dallo speaker del Madison Square Garden: ”Ecco Gamba, l’uomo che ha battuto i sovietici a casa loro”. E il segretario del Pci, Berlinguer, mi mandò un telegramma di complimenti: buffo, no? [...] L’Europeo del 1981. Travolti dalla pressione. Ma dagli errori, s’impara: due anni dopo vincemmo noi [...] Il colpo di genio? La marcatura di Yelverton su Brabender nella finale della Coppa dei Campioni del 1975: Charlie nascose la palla al fuoriclasse del Real, la Ignis vinse [...] Una volta Meneghin uscì dal campo applaudendo e dicendo: ”Toglimi, sì toglimi, bravo pirla”. In spogliatoio gli spiegai, a muso duro, che si faceva come dicevo io. Conquistai la stima di Dino perché avevo parlato davanti a tutti [...] Se metto sul tavolo il curriculum, faccio scopa. Basta questo. Quanto alla cocciutaggine, meglio parlare di pragmatismo: quando concordavo una cosa, era quella» (Flavio Vanetti, ”Corriere della Sera” 6/3/2002).