Varie, 26 febbraio 2002
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Garboli Cesare
• Viareggio (Lucca) 17 dicembre 1928, Roma 11 aprile 2004. «Critico della letteratura che ha scritto di Pascoli, di Leopardi, di Molière, di Chateaubriand, di Natalia Ginzburg, che dal particolare di un oggetto, di un documento, di un verso sa trarre tele di morbida eleganza e intelligenza […] Viene visto come un altissimo moralista, appassionato, spietato, che rifiuta la realtà in nome di un pessimismo radicale sulla natura dell’uomo» (Corrado Stajano, ”Corriere della Sera” 11/4/2001). «Stroncatore di Scalfari. Compensa la fallita vocazione di attore ed editore con la sfrontatezza curiosa del giocatore di poker che va a vedere le carte dell’avversario. Sogna una letteratura fatta di inediti da riesumare e si considera morto sin dall’anno del rapimento Moro, quando decise di vivere la sua vita postuma in disparte, trasferendosi a Vado di Camaiore. Sensibilità anfibia, detesta e rimpiange l’istituto familiare, ma affoga l’ansia del celibato in feconde liaisons letterarie. Amico e confidente di Elsa Morante, ha esordito nel ruolo di editor a fianco di Susanna Agnelli con Vestivamo alla marinara. Passato poi a Rosetta Loy, le è stato tanto prodigo di consigli da sottrarla a sicura oscurità facendole assegnare il Premio Viareggio per La Strada di Polvere. A dispetto del carattere umbratile, della naturale ritrosia, dell’intolleranza alla noia e del ”sentirsi italiano in quanto niente nel mondo” presenzia da anni con grazia sorniona le serate del Premio Strega. La sua sfrontatezza ha assunto contorni leggendari con la stroncatura inflitta al direttore-fondatore del giornale su cui scrive. Avendogli lo stesso Eugenio Scalfari propostogli di recensire L’Incontro con Io, così ne scrisse: ”Libro forsennato, fatto di pensieri arruffati, ancora umidi di emozione, venuti su dai fondi dimenticati degli anni di liceo, dall’odore delle sale di biliardo, dai lazzi e dagli schiamazzi di gioventù, quando le idee si svegliano trascinate dai sensi, e si presentano alla mente facendo ressa e sgomitando, prima che la maturità se le porti via”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 17/10/1998). «I suoi lavori hanno questa caratteristica, da lui stessa definita e rivendicata: scrivere ”di questo e di quello, a caso, come dio manda, un po’ facendo critica, un po’ traducendo dai classici, un po’ raccontando, ma senza ordine e senza disciplina”. questo il suo modo e il suo genio, d’intrecciare la lettura del testo e l’autore in carne e ossa, la filologia e la letteratura, il pensiero e la realtà; ma è anche un delizioso artificio per spiazzare i suoi inseguitori che vorrebbero fissarlo una volta per tutte a una coerenza, coglierne le predilezioni e l’appartenenza a una scuola, a una forma di eloquenza, a un’accademia. […] ”Mi piace smontare i testi, rivoltarli, rigirarmeli tra le mani, sentirne il polso che ancora batte, il loro fiato di organismi ancora vivi e carnali, ma solo per vedere come si articolano e come respirano”. […] I personaggi nei quali più intensamente egli si rispecchia sono, senza ombra di dubbio, Roberto Longhi e Stendhal: un critico e un romanziere. In particolare il Longhi del Braccesco e del Caravaggio e lo Stendhal di Fabrizio del Dongo alla battaglia di Waterloo. […] Qualcuno ha scritto che, oltre che maestro di stile, è soprattutto un grande attore specializzato nel recitare se stesso. Molière, Antonio Delfini, Matilde Manzoni, Giovanni Pascoli, che sono alcune delle interpretazioni filologico-romanzesche più riuscite, starebbero a dimostrarlo» (Eugenio Scalfari, ”la Repubblica” 13/6/2002). «Mi sono accorto che non sono capace di distinguere tra i libri e le persone che li hanno scritti. Però devo precisare che quando dico ”gli autori dei libri” non mi riferisco alla psicologia. Non sono mai riuscito a distinguere i libri dalle persone in carne e ossa. I libri durano quasi un’eternità e le persone muoiono. Questa convergenza di tempi diversi e contrastanti mi ha sempre incuriosito e di questo parlo in un saggio, Leben und Werke. […] Debbo confessare che Molière è stata la grande avventura, la grande passione della mia vita. Molière mi ha aiutato a vivere negli anni bui e difficili - penso agli Anni ”70 - perché mi ha fatto capire il tartufismo. Molière con grande lungimiranza ha espresso in ”Tartufo” il personaggio primario di oggi con tre secoli di anticipo […] Basta girare gli occhi e lo si vede dappertutto! Però non si accetta mai che Tartufo sia un personaggio che ci rappresenti. Preferiamo sentirci Amleti o Don Giovanni. Molière ha intuito in Tartufo delle scoperte come la psicoanalisi, il primato della politica, la funzione in politica delle associazioni occulte, ”les cabales” […] Pascoli nella mia vita è stata una punizione, un castigo per colpe che ho commesso in altre vite e forse anche in questa. Non ho avuto una rivelazione come con Molière. un lavoro che m’è stato commissionato e al quale mi sono dedicato controvoglia […] Non ho mai creduto nelle società letterarie, non le ho mai frequentate. Mi sono trovato a incontrare persone che scrivevano libri, ma era un fatto secondario. Quando incontrai Antonio Delfini, mi colpì l’originalità della sua persona. Ho frequentato Delfini per anni senza leggere i suoi libri. Il mio lavoro letterario è casuale. Nasce dalla committenza. Se non ci fosse qualcuno che mi chiede di scrivere, non scriverei un rigo. Anche per Molière fu l’editore Einaudi a chiedermi di occuparmi di un’edizione delle opere di Molière […] Sono estremamente arrendevole nella vita e durissimo in letteratura […] Se non ci fosse il riso, ci sarebbe da tirarsi una revolverata. Per quanto profonda sia la disperazione, c’è sempre un motivo per ridere e questo è quello che mi ha insegnato Molière» (Alain Elkann, ”La Stampa” 21/7/2002).