varie, 26 febbraio 2002
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Garcia Andy
• L’Avana (Cuba) 12 aprile 1956. Attore • «Giocatore di basket, ottimo musicista oltre che regista-produttore-attore, da Il Padrino III a Ocean’s Twelve» (Giovanna Grassi, ”Corriere della Sera” 18/9/2004) • «[...] il cubano-americano più famoso e amato di Hollywood [...] nato a Cuba ed emigrato a cinque anni a Miami. [...] Attore, regista, produttore e musicista [...] La carriera di Garcia spicca il volo nel 1986 con Otto milioni di modi per morire, seguito a ruota da Gli Intoccabili di Brian de Palma (1987). Da allora ha interpretato personaggi di tutti i generi. Può passare per americano, italo-americano, latino-americano, spazia tra il soave, l’isterico, il buono e il malavitoso. Un vasto ventaglio di talenti. Fu perfino il figlio illegittimo di Sonny Corleone nel Padrino III di Francis Ford Coppola, ruolo che gli guadagnò una candidatura all’Oscar come attore non protagonista. In Ocean’s 11 e seguito invece è il temibile proprietario dei casinò di Las Vegas che, derubato dalla banda di George Clooney, giura vendetta. Fama da ”ragazzo per bene” e di granitica integrità nella Babilonia di Hollywood, Garcia è sposato dal 1982 con Maria Victoria Lorido: si sono conosciuti ai tempi dell’Università Internazionale della Florida a metà anni ”70 e non si sono più lasciati. [...] Serio nella vita privata, e senza manie di grandezza sul lavoro: la sua compagnia di produzione, Cineson, si trova ancora nella stessa modesta villetta della San Fernando Valley comprata da Garcia dopo il successo de Gli Intoccabili. E la famiglia continua a vivere nello stesso quartiere medio-borghese a nord del centro di Los Angeles, frequentando gli stessi amici di un tempo e la chiesa cattolica. Si scatena solo per il baseball: da ragazzino sognava di diventare una star di questo sport, oggi lo si vede spesso sul parterre dello Staples Center a fare il tifo per i cestisti di Lakers. [...]» (Silvia Bizio, ”L’Espresso” 5/5/2005) • «[...] emigrato negli Usa nel 1961 [...] ”[...] avevo cinque anni e mezzo, e con la mia famiglia fui costretto a lasciare Cuba. Da allora non faccio che pensare alla storia del mio paese, alla sua cultura, alla sua musica. [...] in America pochi sanno veramente quello che è stata la rivoluzione cubana. Pensano sia stata una rivoluzione comunista [...] stata un movimento di intellettuali illuminati e che aveva per obiettivo la restaurazione della Costituzione del 1940 che Batista aveva nei fatti annullato, per fare i suoi affari, con gli amici mafiosi [...] Non tutti si resero conto delle assurdità di Fidel [...] Mio padre era un avvocato e aveva anche una coltivazione di avocado. [...] Mia madre era un’insegnante di inglese. Quando Castro cominciò a nazionalizzare tutte le proprietà private, compresa quella di mio padre [...] la famiglia decise che era arrivato il momento di andare via. Era il 1961. La gente (così raccontavano i miei) veniva fucilata a destra e manca, era chiaro il tentativo di imporre il regime incutendo terrore tra la popolazione. Fuggimmo a New York nullatenenti. Eravamo profughi derubati di tutto, meno che dello spirito. Prima di lasciarci partire i doganieri tolsero a mia sorella perfino il braccialetto della prima comunione. [...]”» (Silvia Bizio, ”L’espresso” 29/9/2005).