Varie, 26 febbraio 2002
GASPARRI
GASPARRI Maurizio Roma 18 luglio 1956. Politico. Maturità classica, giornalista professionista, è stato condirettore del ”Secolo d’Italia”, presidente nazionale del Fronte della Gioventù e del Fuan. Deputato (prima Msi, poi An, quindi Pdl) dal 1992. Sottosegretario agli Interni nel Berlusconi I, ministro delle Telecomunicazioni nel Berlusconi II • «Il crac del ”Carrierino dei piccoli”, al secolo Maurizio Gasparri, è stato inaspettato ma cruento quasi quanto quello Parmalat. successo tutto in una notte. E così tragicamente improvvisa è apparsa questa dipartita politica da provocare significativi vuoti emotivi all’uomo scelto per la successione, il mite Mario Landolfi. ”Carrierino” è il nomignolo che Giusva Fioravanti e Francesca Mambro ricordano avesse Gasparri da piccolo. Per quel suo moto perpetuo, movimento e avanzamento, e la fede incrollabile nelle proprie forze e l’assoluta capacità di reggere ai più alti ritmi di lavoro pur di raggiungere il traguardo per primo. [...] non c’è stato giorno senza il buongiorno di Gasparri. In video, sui giornali, alla radio. Era sempre ed ovunque: a colazione e a mezzanotte era lì che ti parlava. Ministro delle Comunicazioni. E quindi comunicava. Ha sempre parlato molto e sempre di tutto, e ancora e di più. Ha commentato e sostenuto gli esili dalla Rai di Enzo Biagi e Michele Santoro, poi ha preso di mira il timido Fabio Fazio. Quando ormai il campo dei nemici si è fatto deserto, ha puntato gli occhi sugli show di Claudio Amendola. Tolto di mezzo Amendola (’non va, al sabato sera non va”), tocca al Grande fratello ottenere la censura. ”Alla scorsa campagna elettorale c´era Taricone sul palco del centrodestra. Taricone, capisci?”. Gasparri parla forse troppo. Lui lo sa: «’Sono logorroico, per questo benedico gli sms che impongono periodi tronchi”. A volte, anziché la parola ha scelto le mani per illustrare il proprio pensiero. Diretto e pesante quel ceffone che indirizzò sul volto di Stefano Massari, dirigente dei giovani di destra, reo di aver permesso a un gruppo di contestatori di sedere in platea a un convegno presso l´università di Tor Vergata. ”Sei un capo del c...!”, urlò il ministro prima di timbrargli il volto, salire in auto e ripartire. Ma Gasparri, uomo democratico, schiaffi ne ha anche ricevuti. Irripetibile la scena che gli amalfitani - a distanza di anni - ancora ricordano. Era estate e il ministro accettò di riunire al tavolo di un bar, nella piazza principale della perla della Costiera due fazioni litigiose del partito salernitano. Lui arbitro al centro, i contendenti seduti ai lati, granite di limone e caffè freddo sul tavolo. La discussione cessò quando un militante dall´aspetto robusto, l’attuale deputato Edmondo Cirielli, non convinto dell’imparzialità, mollò uno schiaffo all’arbitro. Il ministro - dal fisico assai più fragile - scelse di non replicare e decise di ritornare in spiaggia. Operoso oltre il verosimile, Gasparri macina polvere e chilometri pur di ampliare i suoi possedimenti in Alleanza Nazionale. Già a capo di Destra protagonista, cordata berlusconiana, tiene sotto monitor quotidiano l’evoluzione dei sentimenti delle genti meridionali. la Calabria la sua terra d’elezione, e non c’è ora che egli non tenga esattamente il conto delle adesioni al proprio progetto, e la distanza che separa i suoi numeri da quelli di Gianni Alemanno, capo della cordata nemica. Corre da una città all’altra, e mentre lo fa, polemizza e dichiara. L’umore dei cronisti, quando c’è Gasparri in piazza, volge subito al nero. Le agenzie di stampa hanno perso il conto dei flash, dei comunicati e delle veline che in [...] quattro anni sono partiti da largo Brazzà, sede del suo quartier generale. Se c’è Gasparri di mezzo, nessuno la può passare liscia. Persino la mercedes di Sgarbi testimonia il ricordo di una lite violentissima con il ministro. ”Gasparri - denunciò Sgarbi - ha rigato con le chiavi la mia automobile!”. Da non credere. Meno teso il confronto con Massimo Moratti, patron dell’Inter. Si parlava di Rai e diritti del calcio. Il ministro annunciò: ”La festa è finita. La Rai non ha denari per pagare le vacanze a Ronaldo... Ricordo che qualcuno coniò l’espressione ricchi-scemi. Moratti non si sforzi di renderla attuale”. Moratti si sforzò di ripondergli: ” un ministro, anche se la cosa può meravigliare” [...]» (Antonella Caporale, ”la Repubblica” 24/4/2005). «Che fosse fin da piccolo ”cattivello, capriccioso e prepotentuccio” l’aveva già detto con amorosa indulgenza la mamma Jole, in una intervista al ”Corriere” in cui narrava che il moccioso amava ”giocare in solitudine, così poteva decidere tutto da solo”. [...] ”Aigor”, come lo chiama chi l’associa per gli occhi a palla al mitico Marty Feldman che in Frankestein junior faceva il gobbo [...] Lui si era sempre definito l’anima più moderata del partito, vantandosi di aver fatto il saluto romano solo una volta e di non aver mai messo la camicia nera. Lui si considerava (ma soprattutto era considerato) il più berlusconiano di tutti i post missini, così berlusconiano da essere il meno acceso nel pretendere ”ora e subito”, dopo la batosta alle Regionali, un nuovo governo o le elezioni anticipate. Come poteva immaginare che lo segassero? Lui, che mentre Confalonieri spiegava agli analisti e alla stampa che con la maggior raccolta di ricavi concessa a Mediaset e Mondadori dal nuovo Sistema integrato di comunicazione l’azienda del Cavaliere avrebbe guadagnato da uno a 2 miliardi di euro, aveva messo la sua faccia per dire che la sua legge non favoriva affatto il gruppo del Biscione. Lui, che alle opposizioni indignate per quelle nuove norme che salvavano Rete4 destinata dalle sentenze a finire sul satellite e consoli davano il duopolio tivù, aveva risposto che ”il divieto di combinare telecomunicazioni stampa e tivù è una cosa d’altri tempi. Io sono un futurista, un marinettiano, amo il moderno in tutte le sue espressioni nonostante una formazione tradizionalista e penso che il Paese meriti di gareggiare su scala europea e mondiale. Che non possa restare ancorato a precetti antindustriali”. Lui che in una intervista a Luca Telese aveva liquidato gli attacchi alla sua legge paragonandoli ai ”seguaci del dottor Ludd che tiravano i sandali contro i telai pensando di fermare la rivoluzione industriale”. Lui, così appassionato a certe innovazioni da far distribuire davanti agli stadi migliaia di volantini che strillavano entusiasti ”La tv digitale terrestre è arrivata sulla terra” e spiegavano che il nuovo sistema, incoraggiato dal governo, era ideale per chi ”ama il calcio e la qualità” poiché la trasmissione digitale (per pura coincidenza promossa da Mediaset) ”è senza dubbio di qualità migliore rispetto a quella analogica”. Così fedele a Berlusconi da digerire il titolo che ”Il Giornale” del fratello del premier sparò dopo la scelta del Quirinale di rimandare alle Camere quella legge che porta il suo nome: ”Ciampi spegne la tv di Gasparri”. Così invaghito delle nuove tecnologie da finire nel mirino addirittura degli alleati, come Roberto Formigoni che, accusato d’avere agito in modo ”miope, ottuso e rozzo” facendo un ricorso al Tar a nome della Lombardia contro il decreto sull’elettromagnetismo, sibilò andando incontro a una querela: ”Gasparri non è un ”ex’ fascista. un fascista, che insulta chi non condivide le sue scelte. Per di più è un fascista che difende gli affari poco chiari in cui è coinvolto”. Ma dite voi: dopo tutto questo gran daffare poteva aspettarsi dagli amici così poca riconoscenza? Macché: segato. Come un Urbani o un Sirchia qualsiasi. Tutta colpa di un braccio di ferro col solito Storace. Non si sopportano più, loro due. Troppo diversi. Su tutto. [...] Quando ”Aigor” venne gratificato da Fini del ruolo di coordinatore, che lui inaugurò dando un’intervista all’’Unità” per spiegare come aveva ”vinto la guerra dei colonnelli”. Sortita accolta dal rivale con sarcasmo: ”Sono in deferente attesa delle decisioni dell’on. Gasparri”. Proseguirono passando dal buffetto al fioretto, dal fioretto alla sciabola, dalla sciabola alla bombarda. Fino al duello durissimo per la nomina del coordinatore romano del partito vinto (’Prima di dichiarare le guerre, l’on. Gasparri verifichi la reale consistenza della truppa”) da ”Epurator”. Alle accuse del camerata Maurizio al camerata Francesco di avere spinto un po’ di deputati della Destra sociale a votare a scrutinio segreto contro la sua legge, accuse respinte con disprezzo: ”La realtà e che i pesciolini di La Russa non hanno risposto al fischio”. Allo scontro sull’idea dell’allora presidente laziale di escludere la Lega anti romana dal governo. Ai veleni storaciani sulla sudditanza del nemico nei confronti del Cavaliere: ”Sembra quasi che An non debba mai proferire verbo ogni volta che parla Berlusconi...”. Insomma: un’amicizia andata in acido. Capita. Ciò che non capita è che pesi su un governo» (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 24/4/2005). «Non mi considero un nostalgico. Sono rigorosamente di destra, legge e ordine, ma del fascismo non me ne importa niente. Quando ero sottosegretario all’Interno un questore mi regalò un ritratto di Mussolini. Io gli dissi: ”Che ci faccio?” [...] Sono stato discriminato, picchiato, inseguito per le scale, impedito di andare a scuola, di dire la mia opinione, di partecipare alle assemblee. Ho subito processi politici di stampo maoista [...] La mia era una famiglia moderata, che votava Msi. Mio padre era ufficiale dei carabinieri. Io sono nato e cresciuto in caserma, sono andato fin da bambino alle parate militari. Mi piacevano De Gaulle, Salazar, i colonnelli greci [...] Fidanzate solo di destra. Ricordo la mia prima passione. Avevo sei anni, si chiamava Daniela Grossi, figlia di un ufficiale dei carabinieri [...] Anche le vacanze le facevamo fra noi. A me piaceva fare l’organizzatore. La mattina appendevo l’ordine di servizio: ”Domani si va a Capo Vaticano. Dopodomani bagno in spiaggia. Stasera musica” [...] Sempre in giro per l’Italia, dormendo a casa degli amici. Io non sono un dirigente, sono un parente del partito [...] Una volta il capo di una sezione venne in via Sommacampagna e chiese di parlarmi. Senza dirmi una parola mi dette uno schiaffone. Si chiamava Gianfranco Rosci. Adesso fa il sindacalista [...] Talvolta il clima era da caserma. Ma non scontri fisici. Al massimo del nonnismo. Magari nonnismo pesante [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” 10/5/2002).