Vittorio Sgarbi su il Giornale del 29/08/01 a pagina 1., 29 agosto 2001
«E’
giunto dunque il momento di spiegare, a chi sarà stupito che io abbia parlato delle mie scarpe usate (intendendo in verità parlare delle scarpe di chiunque), qual è la mia idea del restauro. Certe volte uno non crede ai propri occhi davanti all’enormità di alcuni progetti e perfino di alcune opere compiute. Eppure il metodo dovrebbe essere semplice e intuitivo. Quando non sia occorsa una più o meno periodica manutenzione, l’intervento radicale, soprattutto su un edificio, deve riprodurre non le condizioni originali ma l’ultimo momento di vita di uso, di funzione di una chiesa, di un palazzo. Così come in un sito archeologico non si pensa di ricostruire, ma di accennare i volumi di una casa abbattuta o sepolta. Anche nel restauro dell’architettura medievale e moderna occorre mantenere il distacco del tempo, non piegando la storia alle necessità del nostro tempo. Salvare le strutture è essenziale, ma non meno essenziale è preservare l’aura che sempre più si disperde nei presbiteri delle chiese adttati alle nuove liturgie. Insomma, il miglior restauro è quello che ci fa dire, a impresa compiuta: ”Quando iniziano i lavori di restauro?"» (Vittorio Sgarbi).