Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 26 Martedì calendario

«"Dentro di noi siamo tutti dei Daffy Duck, dei Woody Allen, dei Chaplin e dei Wile Coyote. Siamo tutti disgraziatamente e disperatamente pieni di speranza

«"Dentro di noi siamo tutti dei Daffy Duck, dei Woody Allen, dei Chaplin e dei Wile Coyote. Siamo tutti disgraziatamente e disperatamente pieni di speranza. Tutti in qualche modo avidi, meschini, infedeli, gelosi, invidiosi. Perché amiamo i comici? Non per quello che sono, ma per quello che fanno: sono lo specchio di ciò che facciamo noi o di quello che vorremmo essere capaci di fare...". Chuck Jones, morto ieri mattina a 89 anni, raccontava così la poetica dei suoi cartoons, "recitati" da paperi e conigli perché "umanizzare gli animali è più facile che umanizzare gli uomini", ma in fondo "disgraziatamente e disperatamente" rivelatori di tutto ciò che gli uomini cercano di nascondere: i loro eccessi, le loro debolezze, i loro mascherati egoismi. "Il primo modello dei miei personaggi - confessava - sono io. Non ho mai conosciuto una persona peggiore di me". Nato nello stato di Washington nel 1912, Jones ha vissuto di cinema e di cartoons praticamente da sempre: quand´era bambino, i suoi genitori traslocarono a Los Angeles, a poche centinaia di metri dalla villa di Charlie Chaplin. Andava alle elementari, e già lavorava come comparsa nella Hollywood dei film muti. Non aveva ancora finito le medie, e già raccoglieva qualche dollaro vendendo caricature per le strade della città. Attivo fino all´ultimo, anziano abbastanza da aver conosciuto i fasti dei "seven minutes cartoons" proiettati nei cinema e il loro declino dopo l´avvento della televisione - ma "giovane" dentro al punto da sperimentare l´animazione su Internet - Chuck Jones era l´ultimo degli anti-Disney viventi, quello che più di ogni altro diede carattere e forza ai personaggi della Warner Bros, contrapponendo alla fantasia "buonista" del padre di Topolino le storie dure e "cattive" dei Looney Tunes. Se Disney voleva creare l´"illusione della vita", Jones preferiva lavorare sulla personalità degli "attori". Nei suoi trecento cartoni animati - premiati con tre Oscar, uno dei quali alla carriera - l´obiettivo non è mai il realismo: non lo era per i personaggi che esistevano già prima del suo arrivo alla Warner, nel maggio del `33; tantomeno poteva esserlo per quelli nati dalla sua matita negli anni a venire: Pepé la puzzola, Marvin il Marziano, Wile Coyote e il "Road Runner", conosciuto in Italia come Beep-Beep, l´uccello imprendibile. Di Bugs Bunny, Chuck Jones era una specie di padre adottivo. Autore di una buona metà dei film con il coniglio come protagonista, ne aveva ingentilito le forme rispetto al leprotto selvaggio ideato da Tex Avery. Soprattutto era intervenuto sul carattere del personaggio, trasformandolo in una sorta di Groucho Marx disegnato, protagonista di arguzie verbali capaci di lasciare di sasso l´interlocutore di turno: il cacciatore Taddeo, l´eremita Yosemite Sam, il povero Daffy Duck. Anche su quest´ultimo Jones aveva lavorato a lungo, usandolo tra l´altro come protagonista di alcune gustosissime parodie, nei panni di Robin Hood o di Sherlock Holmes. Daffy, l´egoista sincero che non fa nulla per nascondere il proprio esclusivo interesse per se stesso, è il personaggio cui Jones si dichiarò più affezionato. Quello che gli assomiglia davvero, però, è il Coyote: "Come qualsiasi altro uomo - scrisse nella sua autobiografia - preferirei riuscire in qualcosa che non sono in grado di fare piuttosto che continuare a fare quello di cui sono perfettamente capace". Il Coyote che si affida a mille marchingegni pur di avere la meglio sul Beep Beep è stato letto ora come metafora positiva dell´"american way of life", dove tutto è tollerato tranne la resa, ora come satira di una società spietata che impone la ricerca del successo a ogni costo. Forse era soltanto la trasposizione sullo schermo della tenacia del suo creatore: così testardo da combattere per anni contro i legali della Warner pur di ottenere il diritto di realizzare e vendere dipinti con Bugs e il Coyote; così sfrontato da irridere la presunzione di Disney: "Se lavorassimo insieme, quale ruolo ti piacerebbe avere nel mio gruppo?", gli chiese un giorno Walt. La risposta arrivò con un sorriso: "Il tuo"» (Guido Tiberga).