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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

«Quel margine di differenza dell’1,6% nei genomi non deve creare false speranze» avverte Paolo Menozzi, Professore di ecologia all’Università di Parma «perché non vi troveremo mai la spiegazione di cosa ci fa uomini»

«Quel margine di differenza dell’1,6% nei genomi non deve creare false speranze» avverte Paolo Menozzi, Professore di ecologia all’Università di Parma «perché non vi troveremo mai la spiegazione di cosa ci fa uomini». Il numero dei geni umani, fino a pochi anni fa stimato intorno a 100.000, potrebbe infatti non superare i 30.000. Sarebbe quindi ridotta di molto l’importanza delle caratteristiche genetiche e invece aumentata quella dell’ambiente in cui cresciamo. «Esperimenti come quello di Snyder sono molto interessanti» continua Menozzi, «e di grande valore per capire il funzionamento e la crescita delle cellule staminali nervose, che è indubbiamente molto simile nelle due specie. Il nostro antenato comune risale però a qualcosa come 5-10 milioni di anni fa e le differenze tra il nostro cervello e quello di un primate sono ormai profondissime». La diversità tra uomo e scimmia sembra in realtà un delicato cocktail di codici genetici e stimoli ambientali. La genetica sembrerebbe favorire l’uomo rispetto alla scimmia. Sono infatti i nostri geni a fornirci un cervello più grande con regioni del linguaggio più sviluppate. Queste, situate nei lobi frontali, sono invece praticamente assenti nelle scimmie. Ma anche l’ambiente conta: se un bambino non vive in una famiglia e non viene esposto quotidianamente all’uso delle parole nei primi anni di vita, quasi certamente non imparerà più a parlare. Niente paura però: per quanto geneticamente talmente simili da poter ingannare le nostre stesse cellule e farle crescere nel cervello di una scimmia, le differenze tra le specie rimangono fondamentali. I piccoli di scimpanzé che sono stati allevati da famiglie umane si sono dimostrati ben più svegli e rapidi di un bebè nell’assimilare nuove parole per tutti i primi tre anni di vita. Ma in seguito non hanno più manifestato curiosità di fronte alle parole. La più spiccata caratteristica della nostra specie sembra allora questa: una vera e propria passione per il linguaggio che ci accompagna da migliaia di anni.