La macchina del tempo n. 02/03 febbraio/marzo 2002 pag 122-125, 1 marzo 2002
Ma il rito del caffè ha una storia molto più antica delle macchine che vediamo tutti i giorni nei bar
Ma il rito del caffè ha una storia molto più antica delle macchine che vediamo tutti i giorni nei bar. I primi a berlo, nell’Alto Medioevo (probabilmente verso il Milleduecento), furono gli etiopi. Le piante del caffè, infatti, crescevano spontaneamente e in abbondanza sugli altopiani dell’Abissinia, oltre i mille metri. Alcuni pastori della regione di Caffa (da qui il nome) si accorsero che le capre, dopo aver mangiato quei frutti rossi e tondeggianti, diventavano irrequiete e faticavano a prendere sonno. Dopo aver ridotto in polvere i chicchi, li versarono in acqua bollente (il cosiddetto metodo della ”decozione”) e ne ricavarono un infuso dalle proprietà energetiche. Quando partirono alla conquista dello Yemen portarono con sé molte tradizioni, compresa l’arte di preparare il caffè. Da lì l’usanza si diffuse in tutta l’Arabia, arrivò in Siria, in Iraq, in Iran e da ultimo in Turchia. Il cahuè, ovvero ”l’eccitante” – questo il nome con cui lo chiamavano i turchi – divenne ben presto un prodotto di largo consumo. A Istanbul la prima bottega per degustarlo fu aperta nel 1555. Dopo il Cinquecento in ogni angolo del Medio Oriente era possibile vedere qualcuno che bolliva acqua in un bricco, ci metteva dentro due o tre cucchiaini di polvere e versava il tutto in tazzine di porcellana riccamente decorate. All’inizio del Seicento la moda del caffè si diffuse anche in Europa, a Marsiglia e soprattutto a Venezia. Il merito fu di Prospero Alpino, noto botanico e medico padovano che di ritorno dal Medio Oriente fece scalo proprio in Veneto. Ben presto fu tutto un sorgere di caffetterie e di botteghe del caffè, dove la gente si incontrava apposta per sorseggiare la bevanda, ribattezzata ”vino nero”. Nel Seicento, a Parigi, nacquero le prime caffetterie ambulanti. Celebre quella di un gobbo (detto ”il Candiota”) che girava per la città portando appeso al braccio un paniere colmo di tazzine. Con una mano reggeva un fornello con una caffettiera sopra, con l’altra un recipiente pieno d’acqua fornito di rubinetto. A Vienna, nel 1683, l’ufficiale polacco Kolschitzky, dopo aver salvato la città dall’assedio dei turchi guidati da Kara Mustafà, si impadronì di trecento sacchi di caffè abbandonati dagli assedianti con i quali aprì la caffetteria ”Zur blauen Flasche” (’Alla bottiglia azzurra”) al civico 6 della Domgasse. Nel 1763, a Venezia, qualcuno ebbe l’idea di contare il numero di caffetterie: erano 218. Un record raggiunto e in certi casi addirittura superato da altre città europee, come Parigi, Londra, Francoforte e Stoccolma. Ma con una differenza: mentre in Medio Oriente il caffè continuava a essere degustato con il metodo della ”decozione”, in Europa si diffuse un altro sistema, quello dell’infusione: il bricco, in ottone o in rame, con dentro la polvere di caffè, veniva riempito di acqua bollente, lasciato riposare per qualche minuto e il suo contenuto in seguito colato dentro le tazzine.