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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

GELLI Licio Pistoia 21 aprile 1919. L’ex «maestro venerabile» della P2, si iscrive alla massoneria nel 1962

GELLI Licio Pistoia 21 aprile 1919. L’ex «maestro venerabile» della P2, si iscrive alla massoneria nel 1962. In un decennio da segretario organizzativo ne diventa capo e "burattinaio", e sotto la sua guida la Loggia si espande. Il 22 maggio 1981, viene emesso il primo mandato di cattura nei suoi confronti, ma Gelli è già all´estero: negli elenchi della sua Loggia compaiono politici, imprenditori, giornalisti. Il 13 settembre del 1982 è arrestato a Ginevra e rinchiuso nel carcere di Champ Dollon, dal quale evade il 10 agosto. La latitanza dura fino al 21 settembre 1987, giorno in cui si costituisce a Ginevra. Il 17 febbraio 1988, dopo la concessione dell´estradizione, torna in Italia ed è detenuto a Parma fino all´11 aprile, quando ottiene la libertà provvisoria per motivi di salute. E´ di nuovo latitante dal 6 maggio del ”98, quando dovrebbe tornare in cella per scontare la sentenza divenuta definitiva del crack Ambrosiano. Arrestato di nuovo a settembre a Cannes, torna in Italia il 16 ottobre per scontare 5 anni. L´ex venerabile è stato imputato anche in due inchieste a Roma, per l´omicidio di Roberto Calvi e per il fallimento del gruppo Nepi. «’Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d´autore. La giustizia, la tv, l´ordine pubblico. Ho scritto tutto trent´anni fa”. Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza. Tutto in quelle carte sequestrate a villa Wanda [...]: 962 affiliati alla Loggia. C´erano militari, magistrati, politici, imprenditori, giornalisti. C´era l´attuale presidente del Consiglio, il suo nuovo braccio destro al partito Cicchitto: allora erano socialisti. Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese. ”Se le radici sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto che non ha più niente a che vedere con me”. Niente, certo. Difatti quando parla di Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di Cossiga lo fa con la benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una stagione propizia. Sempre con una frase, però, con una parola che li fissa senza errore ad un´origine precisa della storia. Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria. Lo si capisce dopo la prima mezz´ora di conversazione, atterrisce dopo due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di ricordare l´indirizzo completo di numero civico della prima casa romana di Giorgio Almirante, l´abito che indossava la sua prima moglie quel giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece quel certo bonifico un giorno di sessant´anni fa, la targa della camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina guidava, se a Roma c´era il sole quella mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose. Questo di ogni giorno [...] di vita, attualmente archiviata in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta invisibile a scomparsa. ”Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì”. Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della villa che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i mostri, la villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento, le stanze con le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno scuro, elefanti di porcellana che reggono i telefoni rossi, divani di cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa, a elle e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d´argento, pupi, porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al sole di settembre, scale, studi, studioli, sale d´attesa coi vassoi d´argento pieni di caramelle al limone. [...] Riceve in tre uffici: a Pistoia, a Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad Arezzo si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della settimana. A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì, e scende ancora all´Excelsior. Le liste d´attesa per incontrarlo sono di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato. Al telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio": ”La regola numero uno è non fare mai nomi – insiste l´ultimo di una serie di intermediari – Lei non dica niente, né chi la manda né perché. La richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona squisita. Solo: non gli parli di politica”. Di poesia, vorrebbe si parlasse: perché Licio Gelli da quando ha ufficialmente smesso di lavorare alla trasformazione dell´Italia in un Paese ”ordinato secondo i criteri del merito e della gerarchia”, come lui dice, ”per l´esclusivo bene del popolo” ha preso a scrivere libri di poesia, ovviamente premiati di norma con coppe e medaglie, gli "amici" nel ”96 lo hanno anche candidato al Nobel. ”Vorrei scivolare dolcemente nell´oblio. Vedo che il mio nome compare anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come Venerabile maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi a Stammati che tentò di uccidersi. E´ stata una gogna in confronto alla quale le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani pulite è stata solo una faccenda di corna. Lei crede che la corruzione sia scomparsa? Non vede che è ovunque, peggio di prima? Prima si prendeva facciamo il 3 per cento, ora il 10. Io non ho mai fatto niente di illegale né di illecito. Sono stato assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono nette di oro e di sangue”. Assolto da tutto non è vero, dev´essere per questo che lo ripete tre volte e s´indurisce. [...] Il burattinaio è un soggetto affascinante. ”Andò così: venne Costanzo a intervistarmi per il ”Corriere della sera’. Dopo due ore di conversazione mi chiese: lei cosa voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio fare il burattinaio che il burattino, non le pare?. [...] Il burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi. [...] Io non devo niente a nessuno ma tutti quelli che ho incontrato devono qualcosa a me. Ci sono dei ribelli a cui ho salvato la vita, ancora oggi quando mi incontrano mi abbracciano. [...] Sì, i ribelli che stavano sulle montagne, in tempo di guerra. Io ero ufficiale di collegamento fra il comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati tanti. [...] Li chiami come crede. Eravamo su fronti opposti, ma quando sei di fronte ad un amico non c´è divisa che conti. L´amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa. [...] Da Moro andai a portare le credenziali quando ero console per un paese sudamericano. Mi disse: lei viene in nome di una dittatura, l´Italia è una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di fagioli: per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli risposi ”stia attento che i suoi fagioli non restino senz´acqua, ministro´”» (Concita De Gregorio, ”la Repubblica” 28/9/2003).