varie, 1 marzo 2002
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GINOBILI Emanuel Bahia Blanca (Argentina) 28 luglio 1977. Giocatore di basket. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene (2004, battendo in fianle gli azzurri)
GINOBILI Emanuel Bahia Blanca (Argentina) 28 luglio 1977. Giocatore di basket. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene (2004, battendo in fianle gli azzurri). Vicecampione del mondo nel 2002, dal 2002/2003 ai San Antonio Spurs (con i quali ha subito vinto il titolo Nba). «L’argentino senza sfregi, cicatrici e chiome barbariche, senza miserie alle spalle né sfaceli in vista da drammaturgia pallonara cela sotto quest’abito, poco maledetto e molto efficace, un re Mida del basket. Dove arriva, Manu Ginobili vince. Tutto e subito. lo sportivo più ammirato nel suo paese, guadagnerà in carriera più di Maradona, eppure è rimasto il modesto, affabile ragazzo della porta accanto. Càpita, talvolta, perfino ai fenomeni. Ginobili veniva da Bahia Blanca e non era nessuno, quando nel ’98 atterrò in Italia per giocare a Reggio Calabria. Nessuno, almeno nel giro grosso, quandò nel 2001 fece, con la Virtus Bologna, il Grande Slam: ossia scudetto, Coppa Campioni e Coppa Italia tutt’insieme. Nessuno, almeno nella Nba, quando a San Antonio vinse il titolo con gli Spurs: al primo anno, come non era mai successo a un giocatore non allevato nella culla americana. Era finalmente qualcuno, ora che ha trascinato l’Argentina all’oro di Atene. Non c’è nulla d’appeso a un canestro che, a 27 anni, Ginobili non abbia vinto. Gli mancherebbero i Mondiali, ma ad Indianapolis 2002, dopo che l’inedita Argentina battè gli Usa (e fu la prima, storica sconfitta di un cosiddetto Dream Team), Ginobili si straziò una caviglia, non giocò la finale coi serbi e i suoi la persero all’ultimo secondo. Ci fosse stato, Manu Mida? Fate voi. In tutto questo, Ginobili è diventato ricco [...] Dell’Italia ha ricordi dolci. Gli veniva tutto facile. Cadeva e si rialzava: di gomma, i muscoli e il sorriso. Mai un ”devi morire”. «Ho rispettato tutti, credo che abbiano apprezzato. Poi, nei derby a Bologna, strillavano contro Jaric, il ’traditore’. Per me non avevano tempo”. Dubitavano gli altri, Manu no. Messina voleva Meneghin, per il riarmo della grande Virtus: Ginobili fu un ripiego. Avrebbe avuto davanti Danilovic, idolo ingombrante: lo zar Sasha si ritirò. Fortuna e meriti s’intrecciano, a meritarli. Ad Atene, esordio in Eurolega, Manu segnò un misero puntarello: se è questo, sibilò Messina, non andiamo da nessuna parte. ”Ricordo bene. Ma io ci metto un po’, poi m’adatto. Devo capire, sono timido, mi vergogno, però poi m’adeguo al livello. In Italia sono diventato un giocatore serio, cioè uno che vince, perché a casa perdevo anche con gli juniores”. Adattarsi, piacere, sfondare. San Antonio, dopo Bologna. ”Lì però ci volle di più. Venivo da Indianapolis, quella caviglia a pezzi mi impediva di giocare come volevo, poi non avevo molto la palla in mano, perché nella Nba va così, e a me invece piaceva sentirla. Insomma, fu dura, ma alla fine giocavo 25’ a partita, abbiamo vinto il titolo e sentivo di contare. Adesso, dopo Atene, dicono che sono lo sportivo argentino più famoso e pare strano che non sia un calciatore. Successe a Vilas o a Monzon, anni fa, e poi non so se davvero conoscano meglio me o Batistuta, Crespo, Veron. Certo, questa medaglia ha reso i giocatori di basket molto popolari” [...]» (Walter Fuochi, ”la Repubblica” 9/9/2004). «Un fananbolo del parquet, un giocatore essenziale capace però di essere anche appariscente e divertire. [...] Mancino, possiede un’enorme quantità di movimenti offensivi che riescono a mettere in difficoltà qualsiasi difesa. [...] riesce a folgorare il pubblico con i suoi uno contro uno, le sue bombe e i suoi guizzi» (Carlo Santi, ”Il Messaggero” 4/2/2002).