Varie, 1 marzo 2002
GIORGI Eleonora
GIORGI Eleonora Roma 21 ottobre 1953. Attrice • «Debuttante a 17 anni e per questo studentessa mancata dell’Istituto per il Restauro, è un’interprete dal percorso atipico, segnato da corse folli e pause prolungate, periodi di sovraesposizione e altri di oblio totale, sparizioni e rinascite: “Nei primi anni ’70 ho lavorato tantissimo, come se stessi su una macchina lanciata al massimo della velocità. Una fortuna, certo, ma anche qualcosa che contrastava con la mia natura di ragazza cerebrale, rafforzando, al contrario, un’immagine che non mi corrispondeva e che forse mi ha precluso delle possibilità. Sono sempre stata una pallida bionda, e invece allora andavo in giro troppo truccata, vestita in modo troppo appariscente”. Eppure molti registi sono stati capaci di guardare oltre: “Ho alle spalle diversi film importanti, da Nudo di donna di Nino Manfredi a Oltre la porta di Liliana Cavani, da Cuore di cane di Alberto Lattuada a Dimenticare Venezia di Franco Brusati”. I titoli sono davvero tanti e diversi i motivi per cui alcuni, come Borotalco di Carlo Verdone, Sapore di mare 2 di Bruno Cortini e, per la tv, Lo scialo di Franco Rossi tratto dal romanzo di Pratolini, hanno segnato tappe fondamentali in quella curiosa carriera a singhiozzo. Dopo il naufragio clamoroso dell’unione con Angelo Rizzoli, da cui è nato Andrea, l’attrice ha vissuto una nuova storia d’amore, con l’attore Massimo Ciavarro, e ha deciso con lui di abbandonare le scene per andare a vivere in campagna: “Anche durante quel periodo, quando avevo buttato gli specchi alle ortiche, andavo in giro senza un filo di trucco e, se qualcuno m’incontrava, non poteva fare a meno di pensare e di dire che ero tanto invecchiata, l’abitudine di scrivere non mi ha mai lasciata”. Poi la storia con Ciavarro è finita ed è tornata a vivere nella capitale, ha iniziato un’altra delle sue tante vite» (Fulvia Caprara, “La Stampa” 21/6/2002) • «Trent’anni fa, si diventava attrici solo perchè si era belle. Poi, volendo, si diventava anche brave. Io ho fatto la mia gavetta sul campo […] Rispetto allo stereotipo della “diva”, noi non abbiamo vissuto solo per il lavoro. Abbiamo amato, sofferto, fatto figli, creduto nella famiglia […] Lavoravamo in un mondo maschilista e, nel privato, eravamo sole. Quando girai Cuore di cane andai a vivere per conto mio. E prima di raggiungere il set, la mattina, lasciavo tutte le luci accese per poi illudermi di essere attesa. Il successo mi staccò dai miei coetanei: erano gli anni delle lotte politiche e alcuni amici mi consideravano una sporca borghese perché guadagnavo […] Ho impiegato decenni per liberarmi dall’obbligo di sedurre. […] Noi donne non cambieremo mai: metteremo sempre al centro della nostra vita un uomo, mentre per gli uomini noi non siamo al primo posto. Ho devastato la mia carriera e la mia vita per i sentimenti. E ancora oggi, tra un Oscar e un grande amore sceglierei un grande amore […] Io ho avuto accanto uomini che mi chiedevano di non essere me stessa, perfino di non fare l’attrice...» (Gloria Satta, “Il messaggero” 23/3/2003) • «Poteva restare per sempre l’adolescente inquieta di Appassionata, il film del 1974 in cui esordì nei panni della giovanissima amante del padre di una compagna di scuola, interpretata da Ornella Muti. Poteva continuare a fare l’attrice sfruttando le forme morbide, la bellezza elegante, i colori da ragazza del Nord. Fino ai limiti d’età consentiti dal cinema (“Noi donne abbiamo un problema, non possiamo invecchiare”), Eleonora Giorgi poteva accontentarsi d’essere stata la protagonista di film d’autore e di cassetta. Poi mettersi da parte, come tante altre, all’ombra di un marito sicuro, votata all’inevitabile oblio, ogni tanto un lifting per tirarsi su, un’apparizione in un salotto tv. E invece no, romana, classe 1953, diretta, vitale, energica, Eleonora Giorgi ha scelto di vivere tante vite diverse. Il superlavoro negli Anni 70, la rinascita in chiave brillante nel successivo decennio, con i due cult, Borotalco e Sapore di mare 2, il ruolo di moglie del produttore straricco durante il matrimonio con Angelo Rizzoli, quello di personaggio pubblico in fuga dalla pazza folla negli anni d’amore con Massimo Ciavarro. E ogni volta dichiarazioni accorate, studiati silenzi, pagine e pagine di rotocalchi: “Sono al servizio di un pubblico che non mi ha mai abbandonato e ancora adesso mi segue e mi apprezza”. [...] “Il mio è un successo nazional-popolare, sono legata a un’immagine di cui la gente, forse, ha ancora bisogno. Il dj Nicola Savino dice che io e la Muti siamo come l’urlo di Tardelli, qualcosa che appartiene un po’ a tutti, un pezzo di un grande cuore collettivo”. Anche un segno di tempi più disinvolti. Tempi in cui, per esempio, il divorzio miliardario da Angelo Rizzoli provocò non solo invidia, ma anche tanta curiosità. Quella volta l’attrice scelse la strada del no-comment: “Non voglio tornare su quest’argomento - aveva ripetuto più volte - si è favoleggiato su cifre false. Sono ricca, come lo sono la Carrà o la Muti, perché ho lavorato per 20 anni, ho girato 46 film, e mi sono saputa amministrare”. Alla fine strombazzata del matrimonio con Rizzoli, Giorgi fece seguire una pausa di riflessione. Aveva già un figlio, Andrea, e decise di farne un altro, Paolo, con il nuovo amore, Massimo Ciavarro, divo da fotoromanzo, conosciuto sul set di Sapore di mare 2: “Era l’estate dell’83, all’epoca ero una diva inseguita dai giornali, me lo presentarono, dovevamo girare la prima scena insieme, appena rimasti soli, lui mi guarda e mi fa ’io non te garantisco niente’, voleva mettere le mani avanti sulla sua prova d’attore”. Seguirono dodici anni di vita insieme, in campagna, alla ricerca di una quiete mai assaporata prima: “Io e Massimo siamo fratelli, tra noi è rimasta viva una grandissima complicità”. [...] Anche con lo scrittore Andrea De Carlo l’attrice ha mantenuto un legame dopo la rottura. Fa parte del suo modo di essere: “Credo che, alla fine, quello che funziona, sia l’avere un atteggiamento di apertura fiduciosa verso gli altri, saper cogliere la grazia di una vita speciale, sia nel dolore che nelle cose positive, straordinarie”. [...]» (Fulvia Caprara, “La Stampa” 7/12/2005).