Varie, 1 marzo 2002
GITAI
GITAI Amos Haifa (Israele) 11 ottobre 1950. Regista • «Nel 1973, poco prima dello scoppio della guerra del Kippur, la madre gli regalò una cinepresa super 8: le prime immagini girate da Amos Gitai furono quelle del conflitto. Da allora, il regista più liberal di Gerusalemme, racconta, documenta e denuncia con ”il mezzo più forte ed efficace: il cinema”. [...] ”Il Monte Carmelo [...] la mia infanzia. I miei genitori si trasferirono a Haifa, alle pendici della montagna, nel 1950, l’anno della mia nascita. [...] Il problema del cinema è che a volte può essere troppo illustrativo e limitare la possibilità di dare forme diverse alle situazioni, di riplasmarle. una forma di espressione troppo compiuta [...] La mia famiglia, come il mio popolo, è fatta di nomadi, gente senza terra che nel tempo è stata costretta a spostarsi e a migrare: l’unica nostra forma di identità è la lingua, il testo, la parola”» (’La Stampa” 9/7/2004). «Il cinema può essere testimone e può avere un rapporto con il reale. Se si guarda oggi un quadro di Velázquez si parla di una composizione perfetta di colore e di dettagli. Quando Velázquez dipingeva i suoi quadri pensava ai suoi rapporti con il potere e alla decadenza della monarchia ed era ispirato dai suoi rapporti con la stessa. Quando io faccio un film sulla religione, come Kadosh, o sulla guerra come Kippur, io mi riferisco alla condizione presente del mio Paese. In un’altra prospettiva, tra qualche anno, guarderemo soltanto il linguaggio del film, la sua qualità, la sua forma [...] Ero in un elicottero di salvataggio nella guerra del Kippur, portavamo la gente negli ospedali. Il quinto giorno di guerra l’elicottero su cui stavo fu colpito da un missile siriano, il copilota fu decapitato dal missile, io ebbi soltanto una lieve ferita, a un centimetro dalla colonna vertebrale. Quando sono sceso, nella lingua secca dei militari, gli ufficiali medici mi dissero che ero un’eccezione. In genere, quando un elicottero è toccato, nessuno sopravvive. [...] Le mie idee sulla guerra traspaiono nella maggior parte dei miei film e non voglio in alcun modo che le cose siano raccontate come nei tg. Non bisogna demonizzare gli altri» (Alain Elkann, ”La Stampa” 12/9/2004).