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 2002  marzo 01 Venerdì calendario

Gol Ehud

• Gerusalemme (Israele) 1946. Politico. Ex ambasciatore d’Israele in Italia (2001-2006). Già portavoce del premier conservatore Yitzhak Shamir, prima di insediarsi a Roma (ottobre 2001) era a Gerusalemme il direttore generale del ministero degli Esteri per le questioni europee (“Panorama” 24/7/2003) • «[...] Il nonno sionista arrivò in Palestina dall’Afghanistan nel 1891 e lui è un classico “sabra”[...] In divisa militare durante la guerra del 1967 sul fronte della sua città e subito dopo in diplomazia. La svolta nella carriera avvenne quando fu portavoce del premier Yitzhak Shamir di cui conserva una foto nell’ufficio ai Parioli (accanto altre immagini che lo ritraggono con Ariel Sharon e Ciampi). Il giorno in cui nel suo orizzonte comparve l’Italia lo ricorda così. Lo chiamò il ministro degli Esteri di allora, Shlomo Ben Ami, e gli chiese: “Ehud, dove vuoi andare?”. Gli bastò una parola: “Roma”. Sbarcò a Fiumicino l’11 ottobre 2001. Nemmeno il tempo di capire dove si trovasse e già stava a Porta a Porta, un intervento in inglese con inserti di italiano che ora parla fluentemente. Era nata una stella. Con uno stile poco protocollare e inedito di interpretare la professione: “Il mio Paese mi ha mandato qui, quindi si fida di me, dunque non devo consultare qualcuno ogni volta che decido di parlare in pubblico”. Da Vespa e da Ferrara, allora. Anche a Unomattina e via occupando il palinsesto. Più i giornali, con quel suo ribadire, puntualizzare, spiegare ogni volta che c’è di mezzo Israele. Lo aveva già fatto in Spagna, 40 articoli in quattro anni. Da noi si appresta a battere il record. L’uso dei media fa parte di una strategia: “Quattro sono i compiti che mi ero prefisso. Uno: convincere il governo italiano che avere buoni rapporti con noi era nel suo interesse. Due: non abbandonare l’opposizione. Tre: visitare ogni angolo del Paese, andare sul territorio, avvicinare la gente. Quattro: i media. Non si può far bene il diplomatico senza avere un buon rapporto con la stampa”. [...] La sovraesposizione gli ha fruttato l’inserimento nel circuito mondano della capitale. Lui protesta: “Ma se io non vado mai alle feste!”. Ed elenca: “I miei colleghi fanno parte di qualche circolo. Quelli dei Paesi arabi, quelli dei Paesi ex comunisti, gli europei. Io rappresento un Paese unico. E l’unico mio circolo sono... gli Stati Uniti”. Eppure i suoi ricevimenti sono stati proverbiali.[...] Un direttore di giornale ha suggerito che Israele, per curare i propri interessi, dovrebbe tenerlo qui 20 anni. Sarà mica Paolo Mieli? “Esatto”. Invece partirà. Con una consolazione: “Nel mio paese, a dieci chilometri da Gerusalemme, un amico mi ha promesso di aprire un ristorante italiano. Così non mi mancherà la vostra cucina” [...]» (Gigi Riva, “L’espresso” 18/5/2006).