Varie, 1 marzo 2002
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Goldin Nan
• Washington (Stati Uniti) 12 settembre 1953. Fotografa • «Figlia di una coppia piccolo-borghese (vedremo i suoi genitori nelle immagini di fine anni 90, lei un’anziana signora che si esercita con il Tai-chi, lui mentre si rade), ha iniziato a fotografare da ragazzina per colmare il vuoto di memoria lasciatole dalla morte di una sorella di cui non aveva che immagini ”ufficiali”. La sua ”ossessione” la porta a scattare fotogrammi dopo fotogrammi, a Boston fa la scuola di Belle Arti e dopo tre anni le prime personali, protagonisti gli emarginati della metropoli newyorkese, come i transex della serie Drag Queens. La fama internazionale arriverà nei primi anni 80 con The Ballad of the Sexual Dependancy, dove gli intrecci d’amore e di sesso dei suoi amici diventano una sorta di ballata, in un ciclo di diapositive accompagnate da una colonna sonora dell’epoca scelta dalla stessa Goldin. [...] Non mancano, pur nel suo stile ”sporco”, gli ammiccamenti alla pittura classica, che si tratti di un’amica davanti allo specchio, come una bagnante di Renoir, o una natura morta fatta di bricchi di caffè e brioches e arance in un albergo di Firenze. E della luce di alcune sue fotografie (raccontano senza veli l’amore tra due gay) lei dice che è ”caravaggesca”. Ci sono serie dedicate alla maternità, con donne incinte e bambine che fanno la danza del ventre e serie dedicate a varie coppie di amici o parenti. Struggente quella su Cookie Mueller, attrice dei film di John Waters e sua cara amica, uccisa, come il marito Vittorio Scarpati, dall’Aids alla fine degli anni 80. La segue nei momenti di felicità e in quelli di tristezza, la fotografa in una toilette o nel giorno del matrimonio, ne propone il volto composto nella bara, il giorno del funerale. [...] Se la comédie humaine funziona e a tratti commuove, lasciano perplessi gli ultimi lavori della serie Elements: vulcani, notti di neve, acque di mare o paesaggi sembrano farle perdere la ”riconoscibilità” e la forza delle immagini precedenti» (Rocco Moliterni, ”La Stampa” 22/10/2002). «Barbara [...] è la sorella maggiore di Nan Goldin, presenza mai svanita nella vita dell’artista americana, nonostante a diciannove anni si sia lasciata uccidere da un treno in corsa, il corpo steso sui binari come fosse un sacchetto di immondizia. il punto di non ritorno, la vita s’infrange per sempre. Quella di una famiglia di estrazione borghese e di religione ebraica ma soprattutto quella di Nan [...] ”Mia sorella mi insegnò a guardare il tramonto del sole, mi lavava i capelli e suonava per me a mezzanotte. Mi coccolava e le piaceva farmi da madre”. [...] Barbara entra in conflitto con la madre e l’aggredisce più volte. ”La violenza regnava nella mia casa”, confessa Nan. E su consiglio di alcuni psichiatri, la sorella viene spedita in un centro di riabilitazione, a 500 chilometri dalla città. Ma Barbara scappa e poi scappa ancora, sempre più fragile, sempre meno autonoma, autodistruttiva fino al giorno in cui dà fuoco alle tende della sua camera. Viene rinchiusa di nuovo e i dottori che l’accolgono scrivono sulla sua cartella clinica che la ragazza si era presentata in stato confusionale, ripetendo ossessivamente ”Je n’ai rien ni personne” (non ho niente né nessuno). Quando uscirà di lì (la sua camera è inquadrata tristemente vuota, anonima e fredda ormai) sarà solo per gettarsi sotto a un treno, trovando la morte. L’atrocità di quel gesto e di tutte le violenze subìte dalla sorella - prezzo altissimo da pagare a una precoce ribellione alle regole - viene consegnata in eredità a Nan Goldin che in quel momento ha solo undici anni. [...] la droga, le morti per aids, i legami che si spezzano. I ritratti dei suoi amici, Boston, New York e poi i letti sfatti, senza più nessuno a riscaldare le lenzuola; le flebo e i pacchetti di sigarette sul comodino, le pillole, gli amori omosessuali e i funerali di Gilles, dell’amatissima Cookie. La luce della vita si allontana malinconicamente, c’è spazio soltanto per interni con presenze intangibili, interni dove aleggia l’anima di chi non c’è più. Anche Nan Goldin è sofferente, in stanze d’ospedale, in cura per una devastante depressione che la porta a autoinfliggersi ferite, a bruciarsi le braccia con i mozziconi delle sigarette. Nan accusa la sua famiglia di responsabilità terribili, la coppia di genitori si fa metafora di un agghiacciante principio di repressione, la ”malattia” ha il suo germe in un matrimonio lontano. [...]» (Arianna Di Genova, ”il manifesto” 26/10/2004).