Varie, 1 marzo 2002
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GREENSPAN
GREENSPAN Alan New York (Stati Uniti) 6 marzo 1926. Economista. Ex governatore della Federal Reserve Bank (1987-2006) • «L’uomo più ascoltato da almeno sei presidenti americani, più invidiato da transeunti ministri del Tesoro, più temuto dagli operatori di Borsa e più contestato dagli economisti accademici. Eroe del denaro e della fortuna, assurto da umili origini al sacrario finanziario americano […] Chi è, anzi chi era, il gracile ragazzo Alan prima di diventare il padrone assoluto dei tassi d’interesse e di sconto dell’impero americano? Era un oriundo tedesco di religione e stirpe ebraiche, mezzo orfano della vita e della società, cresciuto da una madre divorziata nel ghetto Washington Heights di New York. Un recinto giudaico pieno di colori e dolori, non tanto dissimile da Harlem, in cui le patriarcali comunità israelite si stipavano fino a dieci persone in abitazioni con due sole stanze […] Si dice che, soffrendo di un male cronico alla schiena, egli abbia alcune volte partecipato alle sedute economiche della Casa Bianca completamente disteso in posizione supina sul pavimento. Egli stesso ammette di riuscire (non si sa come) a leggere e a scrivere soltanto quando è immerso, alle sei del mattino, nell’acqua bollente della vasca da bagno […] L’altra faccia più romantica del personaggio è quella che occhieggia, ormai dimenticata, dal suo lontano passato di artista girovago. Quella sua remota passione per la musica jazz, quella sua vita da scapolo bohémien fatta in gioventù con fortunose compagnie di orchestrali, appartengono al breve ma intenso capitolo letterario di un’esistenza ebraicamente irrequieta e molteplice. Girovagava alla ricerca di se stesso, per piccoli festival e teatrini di provincia, suonando con piglio professionale il clarinetto e il sassofono […] Più tardi, il consulente finanziario di Nixon e di Ford, in attesa di diventare nel 1987 il ”chairman” onnipotente della Fed, confesserà con candore: ”Capii che come musicista sarei stato un mediocre. La mia vera vocazione erano gli affari e i numeri”. Non solo. C’era di mezzo altresì una spiccata sensibilità per la politica. Prima ancora di approdare alla collaborazione con una mezza dozzina di presidenti americani, democratici e repubblicani, s’era fatto politicamente le ossa diventando intimissimo consigliere e sodale di una venusta valchiria intellettuale, la romanziera e filosofa Ayn Rand. Creatrice di una filosofia spartana detta ”oggettivismo”, basata su una sorta di egoismo illuminato, la Rand era in realtà un’ideologa del capitalismo duro e puro. Il successivo empirismo antikeynesiano di Greenspan, il suo fiuto per i saliscendi dei tassi, la sua visione monetarista del mondo, il suo odio per la stagflazione derivata dagli eccessi della spesa pubblica, insomma il suo patrimonio teorico messo poi al servizio pratico sia di Reagan che di Clinton, venivano in parte dal cenacolo degli ”oggettivisti” riuniti attorno all’energico scettro matriarcale di Ayn Rand: la terza ninfa egeria che, accanto alle due mogli giornaliste, è stata non meno determinante nell’indirizzarlo ai labirinti della grande economia combinata alla grande politica» (Enzo Bettiza, ”La Stampa” 13/5/2001). Nel 2002 «per la prima volta, il grande timoniere della finanza mondiale è accusato di avere sbagliato rotta. La colpa del crollo delle borse sarebbe anche sua. Lo affermano critici eminenti come l’economista Paul Krugman. Secondo loro infatti, contribuì alla ”bolla” di Wall Street nella seconda metà degli Anni novanta. la fine di un mito, ed è una chiara indicazione che, da 15 anni al timone della Fed, non verrà confermato dal presidente Bush alla scadenza del mandato, nel 2003. […] In quindici anni, non era mai capitato che dovesse difendersi dagli ”opinion makers”. A volte si era scontrato con le amministrazioni, a partire da quella di Bush padre. Ma il pubblico e il Congresso lo avevano sempre appoggiato, giudicandolo indispensabile: ”Non è difficile sostituire l’inquilino della Casa bianca” disse il senatore John McCain. ”Lo è sostituire quello della Federal Reserve”. Adesso l’umore è cambiato: da mostro sacro, rischia di passare - ingiustamente - per capro espiatorio» (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 4/9/2002).