Varie, 1 marzo 2002
GREGOTTI
GREGOTTI Vittorio Novara 10 agosto 1927. Architetto. Designer. In Italia fra i più conosciuti della sua generazione. Ha esordito con opere ispirate a inizio secolo: Case d’affitto (1957) ed Edificio per uffici (1960). Nel 1966 ha pubblicato il libro Il territorio dell’architettura nel quale vengono esposte le sue teorie sull’architettura fisica come modificazione dell’ambiente fisico a grande scala. Sue opere maggiori: il quartiere Zen di Palermo (1969/1973), gli edifici nella Luetzow strasse a Berlino (1989-1982), il Centro ricerche Montedison a Portici (1977-82), il Centro olimpico di Barcellona (1983-85), la Pirelli-Bicocca (1986-88), lo stadio ”Giuseppe Ferraris” di Genova (1986/88), il centro culturale Belém a Lisbona (1988-1992) • «Nell’estate del 1952 stavo per laurearmi in architettura a Milano: lavoravo già in studio con Ernesto Rogers che mi aveva chiesto di organizzare la partecipazione italiana a un seminario del C.I.A.M. (Comité International de l’Architecture Moderne) nei dintorni di Londra. Soddisfatto per il mio primo lavoro, l’architetto Rogers decise di mandare anche me in Inghilterra [...] Ricordo che partii in treno con l’architetto Franco Albini con cui poi divisi la stanza. Io avevo ventiquattro anni, Albini una cinquantina, era un bellissimo uomo, elegante, gli piacevano le donne e le corteggiava quasi tutte. Durante il lungo e disagevole viaggio in treno ricordo che lo interrogavo sulle donne e lui mi disse che una delle cose fondamentali per piacer loro era di essere sinceramente interessati [...] Quell’agosto del 1952 in Inghilterra è stato molto importante per il mio futuro. A quel seminario partecipavano tra gli altri Walter Gropius e Le Corbusier. Nel refettorio, c’erano dei tavoli dove si mangiava in sette o otto e chi sedeva a capotavola serviva gli altri. Fu una strana impressione per un ragazzo di ventiquattro anni farsi servire a tavola da Gropius, un mito vivente, l’ex marito di Alma Mahler. Le Corbusier, che poi rividi in altre circostanze quando cominciai a lavorare per la rivista ”Casabella”, non era un uomo simpatico. Era molto svizzero, meticoloso, e quando parlava non parlava all’interlocutore che aveva davanti ma al mondo. Era un piccolo borghese, un geniale orologiaio. Gropius era diverso, un tedesco elegante, un po’ come Thomas Mann. Fumava il sigaro, era un grande borghese. A quel seminario partecipò anche Alexander Calder, l’ho conosciuto molto bene, diventammo amici, e io andai a trovarlo negli Stati Uniti [...] Ero una vera spugna, non avevo ancora strategie. Guardavo Le Corbusier rovesciare tutto un concetto con un breve schizzo. Io avevo il mito dell’avanguardia tra le due guerre e Gropius mi faceva sognare. Ero arrivato all’architettura passando prima attraverso la musica. La nostra è una famiglia di industriali tessili, io ho trascorso i primi anni della mia vita a Novara. importante il fatto che sia cresciuto in una fabbrica, ero abituato al lavoro di gruppo. Presto mi accorsi di voler realizzare un’attività creativa, di gruppo. Avrei potuto diventare anche un regista. Ero un bravo studente liceale ma la facoltà d’architettura fu invece per me una grande delusione, al di sotto delle mie aspettative. I professori mi sembravano di scarsa qualità. Ero compagno di scuola di Gae Aulenti, solo più tardi abbiamo lavorato insieme. Aldo Rossi invece è stato un mio studemte e anche se non abbiamo sempre le stesse idee ho molto affetto e stima per lui [...] Ero già stato a Parigi per otto mesi nel primo dopoguerra. Ero un provinciale che usciva dalla guerra e naturalmente vedere Jean-Paul Sartre al Café Flore, o le donne portare i pantaloni, o una certa libertà di costumi, mi affascinò moltissimo. [...] A Londra andavo nei pub, bevevo molta birra. Mi costò una certa fatica ma finii per abituarmi ed amare la birra scura, tiepida. In Italia non si vedevano per strada borghesi con la cravatta ubriachi [...] Il cibo inglese mi piacque subito moltissimo. Mi piacciono la carne, le patate [...] Se ho un vizio è quello di essere un po’ troppo intellettuale» (Alain Elkann, ”La Stampa” 29/8/1992). «Tutto cominciò [...] nel 1953, a Novara, negli anni in cui si avviava a conclusione la ricostruzione e si avvicinava il boom. Fu allora che Vittorio Gregotti, fresco di laurea, fondò con Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino lo studio Architetti Associati. Oggi la Gregotti Associati - di cui fanno parte, con lo stesso Gregotti, Augusto Cagnardi e Michele Reginaldi più una sessantina tra architetti e collaboratori - è il primo studio italiano che appare nella lista di ”World Architecture” che statuisce i duecento maggiori studi del mondo e che da soli, complessivamente, impiegano oltre ventimila architetti. Ovviamente ha lasciato Novara, opera da Milano come racconta attraverso progetti e immagini Gregotti Associati 1953-2003 (Skira-Rizzoli, pagg. 355, euro 39), il libro scritto da Guido Morpurgo, che dello studio è collaboratore e che presenta 150 lavori degli oltre mille realizzati. [...] Racconta Gregotti: ”Quando ho cominciato l’architettura non aveva una grande popolarità. Non ce l’ha nemmeno adesso ma oggi gli architetti si sono trasformati in qualcosa che somiglia al modo di essere dei calciatori o dei cantanti. Cercano di conquistare il pubblico, la massa. L’architettura è diventata più popolare ma nei suoi aspetti più estetici e più esteriori [...] Un tempo l’architetto portava pochi progetti nella società che venivano guardati e discussi con attenzione. Ora gli architetti sono migliaia. Questo è il guaio. In Italia ci sono sessantamila studenti di architettura, in Francia tredicimila” [...] i suoi interventi sono stati contestati: lo stadio di Genova, detto per non vendenti, e il quartiere Zen di Palermo. ”Il progetto del quartiere Zen lo rifarei uguale. Non è mai stato finito. Non è mai stato completato. Non ci sono servizi, energia elettrica. rimasta un’idea, che ancor oggi è valida. Come tessuto urbano è infinitamente migliore dei quartieri speculativi di Palermo. Si è creata una leggenda metropolitana intorno allo Zen. come il Corviale di Roma dove non sono mai stati portati i servizi. Io lo difendo. Quanto a Genova... Abbiamo lavorato in condizioni pessime, il presidente della Sampdoria voleva ricattare l’amministrazione. uno slogan inventato dai media. Non è vero che c’è una zona dove non si vede. rimasta l’etichetta [...] Ho conosciuto molto bene e sono stato molto amico di Walter Gropius. Incarnava anche fisicamente la cultura europea degli anni Venti, era una persona straordinaria capace di avere grandi contatti personali, un genio assoluto, capace di farti capire che quello della modernità non è più un problema tecnico ma che quello che conta è il significato e la finalità”» (Paolo Vagheggi, ”la Repubblica”21/6/2004). Vedi anche: Elisabetta Rasy, ”Sette” n. 47/2000;