varie, 1 marzo 2002
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Guardiola Josep
• Santpedor (Spagna) 18 gennaio 1971. Allenatore. Del Barcellona, che ha condotto tra l’altro a due successi in Champions League (2009, 2011). Ex calciatore. Con la maglia del Barcellona vinse sei campionati spagnoli (’91-’92-’93-’94-’97 e ’98) due coppe di Spagna (’97 e ’98), 4 Supercoppe spagnole (’91-’92-’94 e ’96), una Coppa dei Campioni (’92), una Coppa delle Coppe (’97), due Supercoppe Europee (’93 e ’98). Con la maglia della nazionale spagnola collezionò 47 presenze realizzando cinque reti., medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1992. Giocò in Italia con Brescia e Roma • «Tutto avvenne con grande naturalezza. Come se quel tutto fosse logico, scontato. Normale, quasi. Johan Cruyff gli si avvicinò un paio di ore prima dell’inizio della partita: allora, Pep, stavolta tocca a te, gli disse l’olandese con voce tranquilla. Avrai la maglia numero dieci, aggiunse. Pep non fece una piega: soltanto un cenno con il capo, come per dire va bene, non ci sono problemi. Così, Cruyff, che era l’allenatore suo e del Barcellona, evitò di pronunciare altre parole: aveva capito, da quel cenno con il capo, che non aveva sbagliato scelta. E che non c’era bisogno di raccomandazioni supplementari. Guardiola non aveva ancora compiuto venti anni ma già da sei stagioni era tesserato per il Barcellona, dopo aver cominciato a giocare al calcio nel Gimnastic Manresa. E esattamente da sei anni, cioé da quando Oriol Tort lo fece firmare per il club azulgrana, non aspettava altro che quell’occasione: giocare da titolare nella Liga con la maglia della sua squadra; la squadra che amava da sempre. Era preparato, Pep. Fu anche per questo che contro il Cadice, quel 16 dicembre del ’90, fece un figurone. Due a zero facile per gli uomini di Cruyff. Il giorno dopo, i quotidiani spagnoli - non a caso - spesero parecchie righe per raccontare l’esordio di quel ragazzino. Lineare, geometrico e con personalità: ecco i giudizi della critica. Pochi mesi dopo, Guardiola è già un punto fermo del Barça di Cruyff: una squadra terrificante, per quattro stagioni consecutive campione di Spagna e strepitosa anche in campo internazionale. Pep nel modulo del tecnico olandese si trova a meraviglia: il calcio offensivo dell’ex profeta del gol lo esalta e esalta le sue qualità. Il Barcellona diventa con il passare dei mesi una macchina praticamente perfetta: Guardiola è il metronomo della squadra, la tiene costantemente corta e come un play-maker detta le regole e i tempi di gioco. In più, il suo spirito catalano si trasforma in un’ulteriore arma per un complesso avaro di difetti. Pep dà spettacolo in campo e fuori, nonostante le stelle che illuminano il Barça, è il punto di riferimento della gente. Non sbaglia un colpo, sa trovare sempre le parole giuste per qualsiasi argomento. È il vero padrone della situazione. A quasi due anni dall’esordio nella Liga, arriva anche quello con la maglia della Nazionale spagnola (14 ottobre del ’92), a Belfast contro l’Irlanda del Nord: un brutto pareggio, ma sul piano personale una discreta prestazione. In agosto, intanto, Pep s’era tolto la soddisfazione di vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi nel suo Camp Nou, e pure con la gioia di un gol. Due mesi dopo Belfast, ecco la sua prima rete in Nazionale, a Siviglia contro la Lettonia (5-0). Partito Cruyff, nel ’97 al Barça arriva un altro tecnico olandese, Van Gaal: la musica per Guardiola non cambia; anzi, il nuovo tecnico gli fa un grande regalo, la fascia di capitano. E con Van Gaal, Pep vince altri due campionati. Ora, è uno dei migliori calciatori al mondo. La sua maglia azulgrana, la numero 4, è tra le più vendute in tutta Europa, non soltanto a Barcellona. Lo corteggiano i più prestigiosi club continentali, ma lui non si fa tentare: Barça a vita, il suo pensiero. Per un serio infortunio è costretto a saltare i mondiali francesi del ’98 e spiega l’intera storia in un libro Mi gente, mi fùtbol, edito sia in spagnolo che in catalano, che va letteralmente a ruba. Pep, testardo e orgoglioso, riparte alla grande, continua a giocare in Nazionale ma dopo gli Europei del 2000 qualcosa nel suo rapporto con il Barcellona - ormai in crisi di risultati - comincia a scricchiolare. L’11 aprile del 2001, “un dia que pasarà a la historia del barcelonismo”, Pep dà l’annuncio: a fine stagione me ne vado. Un colpo al cuore per i suoi tifosi; o meglio per tutta la gente catalana. “Se ne va un pezzo della bandiera del Barça”, il commento generale. La sua ultima apparizione al Camp Nou coincide con una gara di Coppa di Spagna, contro il Celta Vigo. Fine della storia con 17 trofei alle spalle. Qualche mese dopo, il 26 settembre, a sorpresa firma per il Brescia dopo esser stato sedotto e abbandonato dalla Juventus. A Brescia conosce e si innamora di Mazzone e di Robi Baggio ma a novembre viene pizzicato positivo ad un test antidoping: la sua disperazione e l’accorata professione di innocenza non gli bastano per evitare una squalifica di quattro mesi. Torna in campo in marzo ma non riesce a terminare il campionato per un grave infortunio ad un ginocchio, rimediato dopo un contrasto con lo juventino Davids. Il guaio gli fa saltare i mondiali nippo-coreani ma non il contratto con la Roma» (Mimmo Ferretti, “Il Messaggero” 8/7/2002).