varie, 1 marzo 2002
GUAZZALOCA
GUAZZALOCA Giorgio Bazzano (Bologna) 6 febbraio 1944. Sindaco di Bologna dal 1999 al 2003. Una vita passata nel mondo dell’imprenditoria e del commercio, ha cominciato a lavorare come garzone di macelleria a 15 anni. Più volte presidente dell’associazione dei commercianti di Bologna, è stato anche presidente della Camera di commercio del capoluogo emiliano • «Si consoli Silvia Bartolini, la diessina marchiata a fuoco (ingiustamente) per la sconfitta subita nel ”99 nella storica sfida di Bologna: non è stata l’unica a essere stata fatta a fettine dal macellaio più famoso d’Italia. Prima di lei, altri venticinque erano finiti al tappeto. Caduti come birilli, uno dietro l’altro, mentre tentavano di sbarrare la strada del "Guazza" verso qualche poltrona, fosse quella dell’Associazione macellai di Bologna o della Camera di commercio o della Federcarni. In bilico tra l’autoironia e il rischio della spacconeria, è stato lo stesso sindaco delle Due Torri, in un’intervista al "Giornale", a dipingersi come una sorta di "Incredibile Hulk" dei duelli elettorali: "Nella mia vita mi sono candidato ventotto volte e solo in due occasioni ho perso". Ventisei vittorie e due sconfitte: score da scudetto. Il Cinese è avvertito. Anche se, naturalmente, un conto è lo scalpo della rossa Bartolini, che equivale a un posto fisso in qualche pagina della storia politica italiana, altra cosa è conquistare una presidenza di categoria, seppur importante. Specialità, comunque, nella quale Guazzaloca eccelle, se si considera che negli ultimi 25 anni ha scalato più vette di Messner: presidente dell’Associazione macellai di Bologna (’75), presidente dell’Associazione commercianti sempre di Bologna (’85), presidente della Confcommercio emiliano-romagnola (’86), presidente nazionale della Federcarni (’89) e presidente della Camera di commercio di Bologna (’91). Qualche volta però, e veniamo alla parte in rosso dello score, lo scalatore "Guazza" cade. E sono tonfi rumorosi. L’ultimo in ordine di tempo risale al gennaio del ”98: l’ex macellaio finisce il primo mandato al vertice della Camera di commercio di Bologna, è deciso a fare il bis, ma trova sulla sua strada un contendente agguerrito, Giancarlo Sangalli. Battaglia aspra, poteri più o meno forti che scendono in campo, si va avanti per tre votazioni, alla fine Guazzaloca è costretto a chinare il capo. Non è abituato, ma la prende con dignità. Sangalli la ricorda bene la faccia del "Guazza" sconfitto: "Si arrabbiò, eccome. uno che, quando si butta in un’impresa, vuole arrivare fino in fondo. Però è anche un ottimo incassatore, non drammatizza mai e riparte subito". E infatti, un anno dopo, ripartì: destinazione la poltrona di sindaco. Il prodiano Gianni Pecci, ex direttore di Nomisma, lo rinfacciò una volta ai diessini: "Se non avessero sfilato a Guazzaloca la Camera di commercio, i Ds sarebbero ancora padroni a Palazzo d’Accursio.." E la storia di Bologna sarebbe cambiata. Sangalli non condivide: "Ho la sensazione che, comunque, Guazzaloca si sarebbe candidato. In ogni caso, non fu la Quercia a ostacolarlo: la verità è che gli mancò il sostegno di Confindustria". Gli mancò qualcosa o qualcuno anche nel giugno del ”95 quando tentò il gran salto al vertice della potente Confcommercio. Congresso storico, che pose fine al decennale collateralismo democristiano. In pista, il macellaio Guazzaloca contro il pasticciere messinese Sergio Billè. Vinse quest’ultimo per un’inezia: 155 voti di differenza sugli oltre 11 mila espressi dalla categoria. Il bolognese era affranto, ma non lo fece vedere: "Peccato, ma nella vita si vince e si perde...". Quattro anni dopo, nella sfida con la Bartolini, l’inezia andò a suo favore: prevalse per tremila voti. Tra qualche mese, lo score guazzalochiano andrà aggiornato» (Francesco Alberti, "Corriere della Sera" 16/6/2003). «Quando il dott. prof. Flamigni, presidente Ds del Consiglio comunale e luminare della ginecologia, ironizzò sulla licenza media di Guazzaloca, commise due errori in uno. Attribuì all’avversario – oltre a una valanga di voti di operai e artigiani comunisti – un titolo di studio mai conseguito. Giorgio Guazzaloca ha la licenza elementare. Bocciato in seconda avviamento. ”Mia madre Adelaide ci restò malissimo. Mio padre Guido disse solo: da domani vieni con me in bottega”. Gli studi proseguirono sulle riviste sgualcite che la madre portava dalle case dove andava a servizio e sui libri presi con i risparmi affidati all’amico letterato Mario: ”Facevamo una colletta, 200 lire per uno, e lui ci comprava Hemingway e Steinbeck”. Quando, alla vigilia del ballottaggio del ”99, avvertirono da Roma che i manifesti di Berlusconi erano pronti, Guazzaloca raccomandò che non li mandassero alla sede bolognese di Forza Italia, ma al suo comitato. Poi li nascose di persona nello sgabuzzino. ”Chiusi a doppia mandata. Portai via la chiave”. La bottega del padre era una macelleria. I macellai sono la categoria preferita dalle nomenklature che si tramandano di padre in figlio scranni e status, quando vogliono ironizzare sugli intrusi. Accade spesso ai macellai di fare intrusione, almeno da queste parti: figli di beccai erano i Carracci, beccai furono i Bentivoglio prima di farsi notai e signori della città, come si apprende da una pubblicazione stampata nel 1980 dal presidente dei macellai bolognesi, Giorgio Guazzaloca. A pagina 2 del libro c’è il saluto del presidente della federazione nazionale. A pagina 3 quello del presidente della Camera di Commercio. A pagina 4 tocca al sindaco Zangheri. Tutti scranni che attendevano Guazzaloca. Pur non avendo mai venduto la bottega di via Marconi, non è più ovviamente un macellaio. un politico di tipo nuovo. Il campione di una razza in via di comparsa. ”Qualcuno ha detto che nel 2006 il duello sarà tra Illy e me. Auguro ogni bene a Illy, mi è simpatico, ma io non ho alcuna ambizione al di fuori di Palazzo D’Accursio”. Mai uscito da Bologna per più di una settimana, nemmeno ad agosto. Non è solo una persona in gioco però; è un modello. Se la prossima primavera Guazzaloca rivince, dopo aver posto fine a 54 anni di dominio comunista, non è un secondo miracolo, non è banalmente un rafforzamento del suo amico Casini, è una via nuova che si apre per il centrodestra. Il metodo più moderno e più tradizionale per portare al governo l’Italia profonda, dove non è mai esistita la Padania ma dove da secoli si costruiscono palazzi comunali e campanili, dove i moderati sono larga maggioranza (tanto da eleggere uno di loro pure nella roccaforte rossa) ma stentano a riconoscere la propria parte nella rissa tra fazioni. A Roma ci si divide tra berlusconiani e antiberlusconiani in un duello per la vita e per la morte? A Bologna il sindaco nomina tra i saggi l’ex assistente di Prodi (ed ex ministro di Dini) Alberto Clò e Gianni Pecci organizzatore del pullman del ”96. A Roma si costruisce la politica con annunci, scenografie imperiali, controllo della tv? A Bologna Guazzaloca sceglie la strategia del silenzio. ”Non farò campagna elettorale. Quando l’ho comunicato ai miei erano allarmatissimi. Ma io non parlo. Cosa dovrei dire? Sono sindaco da quattro anni. Non vado ai convegni, non frequento i talk show, declino gli inviti in tv. La Ventura annuncia che andrò alla sua trasmissione? Ma quando mai. Non tengo conferenze stampa da tre anni. L’altro giorno sono stato in una bocciofila, c’erano 150 soci, tutti di sinistra. Mi hanno dato il microfono. Ho detto: sono pronte le lasagne? Non so se ho fatto brutta figura. So che il prossimo che verrà alla bocciofila parlerà. E i soci faranno il confronto”. Verrà Sergio Cofferati. E sarà una grande battaglia. Con l’uomo entrato nella storia della Cgil accanto a Di Vittorio, Lama, Trentin, con il leader che resta il più popolare a sinistra. Guazzaloca non ne parla. Risponde appena con una battuta agli amici che vengono a salutarlo al tavolo d’angolo al ”Diana”, dove va tutti i giorni, quasi sempre da solo: il proprietario del locale, il produttore della mortadella con cui apre il pranzo, il presidente della Camera, il produttore del cioccolato con cui lo chiude. Cofferati è andato al ”Madison”, come qui chiamano il Palasport, a vedere prima la Virtus, poi la Fortitudo? ”Io al Madison ci vado da quando avevo sei anni”. Cofferati gira la città per farsi conoscere? ”A volte è meglio non farsi conoscere”. Punto. Nella sua strategia, l’avversario non esiste. ”Io non sono né meglio né peggio dei politici. Sono diverso”. Non darà mai a Cofferati del comunista; semmai, del ”socialdemocratico”. Il 2 agosto condanna la ”strage fascista”. Il 25 aprile celebra la Resistenza e progetta di ampliarne il museo. Non cambierà nome a via Stalingrado: ”Il mio revisionismo è finito nel ”44, quando un fascista strappò di mano a mia madre la bottiglia dell’olio razionato e la versò a terra, per sfregio. Nell’altra mano c’ero io, appena nato”. chiaro che i comunisti sotto sotto non li ama, e la sua candidatura esprime anche l’insofferenza dei bolognesi che l’egemonia del partito l’hanno subita. Ma questo gli procura anche solidarietà inattese. C’è una chiesa, San Bartolomeo, all’ombra delle due torri, dove fino al ”99 si radunavano gli intellettuali del laboratorio di economia, del Mulino, di Nomisma, per ascoltare le omelie di monsignor Ghepardi parroco di Marzabotto. La domenica del ballottaggio, all’indomani della caduta di Prodi, si contarono e videro che metà di loro avrebbe votato Guazzaloca. Oggi il ritorno del Professore sembra aver rinserrato i ranghi. Guazzaloca però coltiva da sempre buoni rapporti anche con questo ambiente all’apparenza distante. Tra i suoi saggi c’è Nicola Matteucci, il fondatore. Con la rivista del Mulino collabora la primogenita, Giulia, ricercatrice di storia. Angelo Panebianco è l’editorialista prediletto, dopo la morte di Montanelli, che del macellaio era diventato amico e corrispondente. ”Appena eletto alla Camera di Commercio, ho invitato a pranzo Prodi e Nino Andreatta, per chiedere consigli. Ho istituito il premio per l’azienda più innovativa e la commissione che l’ha assegnato era presieduta da Prodi. La sera del ballottaggio lo incontro sotto casa sua, siamo vicini, quartiere Santo Stefano, mentre compro le ciambelle. Mi dice: ”Che fai, già festeggi?”. ”Certo, Romano, vuoi venire?”. Romano non venne, né lo votò. Pecci sì, e fece outing sul ”Corriere della Sera”. Stavolta ci sarà pure Lucio Dalla: ”Ho sempre votato a sinistra, ora sono con il sindaco perché siamo diventati amici”. Giuseppe Cremonesi, leader storico della Cisl, è critico sulla candidatura Cofferati, in pubblico dice ”vinca il migliore”, indovinate per chi voterà. Le ricerche dell’Istituto Cattaneo indicano che l’Ulivo parte da un netto vantaggio potenziale, però Guazzaloca distingue: ”Bologna non è una città di sinistra. una città che vota a sinistra. Non mi importa dei sondaggi. Giro per i bar di periferia. La mia è un’altra partita. Se gioco a canasta con il mio amico miliardario Gazzoni, perdo. Se gioco a scopone, vinco”. Nei circoli anziani in effetti gioca a scopone con i pensionati della Cgil e talvolta gli riesce anche di perdere. L’hanno invitato all’inaugurazione della Festa dell’Unità, lui ha rifiutato; poi si è fatto vedere al ristorante, è andato in cucina, ha salutato i cuochi in dialetto: ”Sono venuto a controllare le salsicce perché i macellai sono tutti ladri”. Risate. Voti. ”Il suo stile può apparire paternalista e la sua giunta non è il meglio espresso dal mondo occidentale. Però i bolognesi distinguono tra gli amministratori e il sindaco – spiega Edmondo Berselli, direttore della rivista del Mulino e autore di un pamphlet divenuto caso editoriale, Postitaliani – . Tutti danno per scontata la vittoria di Cofferati. Ma Guazzaloca è un personaggio particolare, che sfugge a previsioni e catalogazioni”. ”Non è certo uomo di destra – sostiene Fabio Roversi Monaco, a lungo rettore della più antica università del mondo e ora presidente della Fondazione Carisbo – . un progressista e non è legato a interessi precostituiti”. ”Guazzaloca ha rotto il patto decennale tra il partito comunista e le grandi famiglie, ha aperto spazi, ma non ha rivoluzionato il sistema – dice Paolo Beghelli, direttore dell’Api che riunisce 1600 piccoli industriali ”. Non ha mai parlato di città da cambiare; piuttosto, da migliorare. Ha aggregato gas, acqua, rifiuti, energia in un’azienda, la Hera, e l’ha portata in Borsa. E poi piccole cose: il cordolo di via Emilia Levante è pericoloso? Lo si toglie. I portici sono malsicuri? Li si illumina”. Le grandi restano da fare, il metrò e la tramvia sono progetti, plastici nascosti sotto le Gocce, le due sfere di vetro in piazza Maggiore che non sono piaciute a Prodi. Ma il sindaco non sarà giudicato su questo. ” un avversario duro – riconosce, pur dandone un giudizio critico Arturo Parisi, il primo a riportare l’Ulivo alla vittoria, nelle suppletive del – 99 – perché evoca la bolognesità, la bonomia, la tolleranza”. C’è anche la destra postfascista, con lui. Il suo amico Gazzoni non l’aveva voluta, da lamalfiano aveva sfidato la sinistra da solo e aveva perso al primo turno. Anche Guazzaloca era lamalfiano, ”i miei amici entravano nella Federazione giovanile comunista, ma con una madre democristiana io non potevo. Allora votavo Pri”. Ora si dice ”d’accordo, molto d’accordo” sul voto agli immigrati (contro il parere della sua maggioranza che l’altroieri lo ha criticato in Consiglio comunale) e manda l’ex leader del Fronte della Gioventù Raisi, assessore all’economia, nel consiglio d’amministrazione della Scuola di Pace di Marzabotto, con una scelta che alla sinistra è apparsa una provocazione ma che qualche bolognese ha considerato un’espiazione. Giunta multiforme. Il vicesindaco, Giovanni Salizzoni, è un democristiano di sinistra, nipote di Angelo sottosegretario di Moro. Il capo di gabinetto Enrico Biscaglia è uomo di Cl. Guazzaloca dice di essere ”lontano dalle élites, l’altra volta mi sono candidato da solo, senza l’appoggio dei soliti noti”, senza l’investitura degli industriali e della curia, ma l’Api simpatizza e Biffi pur di combattere la sinistra appoggerebbe il principe delle tenebre, figurarsi un ”peccatore perbene” come lui. ”La scorta l’ho rifiutata. A Roma non ci vado mai. Non ci crede? Magari ci vado, ma non lo dico. Bologna è una città conservatrice, nel dopoguerra ha avuto 5 sindaci come la Chiesa ha avuto 5 papi. Cofferati dice che è avvilita? Il 61 per cento dei bolognesi non la lascerebbe per nessun motivo. E comunque non cadrò nelle polemiche, non dirò una parola neppure sul caso Biagi. Ne parlerò tra sei mesi. Il mio maestro, il professor Mora, veterinario e direttore del macello di Bologna, diceva molte cose senza parlare mai. Quando ho avuto un grande dolore, trovavo sotto l’ospedale ad aspettarmi quaranta macellai. Non parlavano. Cosa dovevano dire? Erano lì”. La leggenda di Guazzaloca sarebbe incompiuta senza un miracolo, oltre a quello elettorale. Una grave malattia l’ha costretto otto mesi in ospedale, con la meningite, la salmonellosi, tre fratture spontanee. ”Ero in coma. Ero morto. Sono guarito. Ma il male non mi ha né rafforzato né indebolito. Mi ha confermato cose che sapevo già. Ho perso mia moglie quando aveva 33 anni, sono rimasto solo con due bambine, la più piccola, Grazia, aveva appena 8 mesi. questa la mia vera forza”. Perché, adesso, il potere, Cofferati, Berlusconi, la Ventura, il dott. prof. Flamigni, la politica: ”Via, non scherziamo...”» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 15/10/2003).