varie, 1 marzo 2002
GUIDOLIN
GUIDOLIN Francesco Castelfranco Veneto (Treviso) 3 ottobre 1955. Ex calciatore. Allenatore. Dal 2010/2011 all’Udinese. Più volte sulla panchina del Palermo (dalla 14ª alla 29ª del campionato 2007/2008 e già nel 2003/2004, 2004/2005, 2006/2007). La sua carriera da allenatore iniziò in C2 nel Giorgione 1988/89. Poi Treviso, Fano, Empoli e Ravenna. Prima volta in serie A nel 1993/94 alla guida dell’Atalanta (esonerato dopo 10 giornate). Quindi Vicenza, dove ottenne la promozione in serie A, vinse una coppa Italia (1997) e approdò a una storica semifinale di coppa Coppe (col Chelsea di Vialli, nel ”98). Allenò poi l’Udinese (1998/99, qualificazione Uefa) e per quasi 4 anni il Bologna (dall’autunno ”99 al al giugno 2003). Nel corso del 2003/2004 venne chiamato a Palermo per sostituire Silvio Baldini: promozione in serie A e qualificazione alla coppa Uefa. Nel 2005/2006 allenò il Monaco. Nel 2008/2009 e 2009/2010 sulla panchina del Parma (subentrato a Gigi Cagni in B, lo condusse subito alla promozione in A) • «[...] è uno dei migliori allenatori del calcio europeo [...] Il Guidolin calciatore ebbe come maestro Osvaldo Bagnoli. Al Verona, negli anni Ottanta. [...] Guidolin, come Bagnoli, non è uomo che sappia fare relazioni pubbliche. Non gigioneggia, non allena i tifosi né i giornalisti e si porta appresso una ingiustificata fama di ”pretino”. Fa il suo mestiere con estrema bravura, i risultati parlano per lui. Non c’è formazione di Guidolin che non abbia giocato un calcio logico, intenso, funzionale agli uomini a disposizione. La chiave in una vecchia intervista: ”Tutti i tecnici che ebbi da giocatore – disse un giorno Guidolin – ci insegnavano a subire, a ballare, a retrocedere. Tutti, tranne Bagnoli: con lui si giocava per vincere”. Bagnoli in principio, Sacchi in seguito: ecco i punti riferimento del Guidolin in panchina. [...]» (Sebastiano Vernazza, ”La Gazzetta dello Sport” 23/6/2005) • «Se per altri il calcio era un gioco, l’inno alla gioia pedatoria, per lui era sacrificio impastato di privazione; un po’ come Disney World visto dalla parte delle cassiere all’ingresso, o degli operai addetti alla manutenzione dell’ottovolante. Non tutti i contemporanei compresero quella filosofia di vita; che lui, del resto, riuscì a applicare al massimo grado soltanto sulla panchina di una piccola squadra chiamata Vicenza. Furono giorni leggendari, quelli: culminati in una semifinale di Coppa delle Coppe persa contro il Chelsea. Fu dura da far digerire, questa logica, alla gente di Bologna. Inguaribili epicurei che vivevano ancora nel mito della ”squadra che tremare il mondo fa”, nonché capaci d’alimentare nostalgie per Gigione Maifredi, il profeta di un calcio tantrico che portava a perdere rovinosamente partite insensate, ma almeno ci si divertiva. A un popolo così smisuratamente godereccio, Guidolin provò per quattro stagioni a spiegare il culto della temperanza e la via calcistica allo stoicismo. Poteva funzionare? Certo che no. Vai a far capire ai bolognesi la bellezza di un pareggio strappato al 92’ all’Olimpico, con un gol di un terzino chiamato Zaccardo; o la pura hybris che deriva dall’imporre uno 0-0 in casa propria alla Juventus. Per non dire di quegli esaltanti inizi di campionato, che dolcemente digradavano in malinconici gironi di ritorno e ”tranquille salvezze”; o di quell’anno in cui il suo Bologna arrivò all’ultima giornata in corsa per un posto in Champions League. Finendo col perdere a Brescia, e ritrovarsi direttamente in Intertoto dopo aver visto svanire pure un piazzamento Uefa. Che non giunse nemmeno l’estate successiva, perché il Bologna vide svanire l’Intertoto per mano nientepopodimeno che del Fulham (mica cazzabubbole!). Era proprio valsa la pena patire una stagione intera di calcio triste. Nessuno lo rimpianse a Bologna. In compenso, a Firenze ci fu chi si dichiarò disposto a fargli la guerra prima ancora ch’egli arrivasse. Motivo, la sua appartenenza a una consorteria di galantuomini chiamata Gea; che olezzando lontano un miglio di moggismo e strisce bianconere, alle fiorenze genti provocava l’orticaria. Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei, pensavano quelli. Che per non avere a che fare con un allenatore targato-Gea avrebbero fatto le barricate pure per Oronzo Canà, figurarsi per Cavasin» (’Il Messaggero” 30/11/2003) • «Ero il classico ragazzo di buona famiglia, agiata. I miei avevano un’attività nel ramo alimentare, un grande negozio - laboratorio di gastronomia, ci lavoravano in 15. Ma non mi vedevo a fare il commerciante. Ho fatto lo scientifico e mi sono iscritto a Medicina. Ma intanto mi aveva ingaggiato il Verona di Valcareggi. Abitavo a Castelfranco, studiavo a Padova, mi allenavo a Verona. Sono rimasto iscritto 4 anni, dando anche qualche esame, poi ho smesso […] Ero un 10 senza carattere, fine e molle. Non ero trainante. Potevo dare di più […] So di aver preso molto da Sacchi. Ho cercato di insegnare un calcio che non conoscevo, tutto l’opposto di quello che giocavo io. L’aggressività, la mentalità, l’intensità. Con Sacchi c’è stata una vera rivoluzione culturale, non basata sulla furbizia ma sul maggior lavoro. Ci sono stati arricchimenti, discussioni [….] Nel ”97 ho avuto contatti con Moratti e Cragnotti. Se avessi mai potuto spiegare a Berlusconi il mio gioco, penso che mi avrebbe chiamato al Milan» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 15/2/2002).