Varie, 1 marzo 2002
GUZZANTI
GUZZANTI Paolo Roma 1 agosto 1940. Politico. Nel 2001 e nel 2006 eletto al Senato con Forza Italia (presidente della commissione Mitrokhin nella XIV legislatura, 2001-2006), nel 2008 alla Camera col PdL, nel settembre dello stesso anno ha lasciato il partito guidato da Silvio Berlusconi per aderire al Partito Liberale Italiano. Giornalista. stato inviato speciale ed editorialista de ”La Stampa”, cronista politico di ”Repubblica”, vicedirettore del Giornale. Ha condotto numerosi programmi televisivi, Chi l’ha visto?, Bar condicio, Rosso di sera. Noto per le sue imitazioni di personaggi politici, prima di tutti Sandro Pertini. Padre dei comici Corrado e Sabina • «Giornalista straordinario, lasciava a bocca aperta i giovani cronisti che l’adoravano infilzando con corrosiva irriverenza e due tocchi penna leggera ogni Vostraeccellenza che gli capitava a tiro. Da Craxi a Evangelisti (’A Fra’, che tte serve?”), da De Mita a Cossiga, del quale diventò amico e confidente negli anni di Quirinale ma senza far mancare ai lettori chicche strepitose come il cesso tecnologico del Picconatore: ”la sala da bagno era stata attrezzata con un piccolo studio, e di lì, chiuso a chiave, Cossiga aveva più volte dribblato consiglieri e portavoce, mettendosi direttamente in contatto con il giornale radio di Livio Zanetti, aprendo i rubinetti della vasca e della doccia per coprire la propria voce”. Ma ve la ricordate l’intervista a Vincenza Bono Parrino, la ministra dei Beni Culturali ribattezzata ”La Signora Apocalisse” e la sua ira per le osservazioni maligne sulle sue ”borse dozzinali e deformi, da massaia sovietica”?» (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 20/12/2003). «Vero genio di una famiglia molto in voga, ha dovuto cedere il loggione ai figli, attori minori ma molto attenti alla politica e all’aria che tira a corte. Le poltronissime, comunque, tifano sempre per lui. Il suo Pertini ha fatto sembrare simpatico perfino quello vero e quando Wojtyla ha telefonato in diretta tv a un Bruno Vespa in deliquio, in molti hanno pensato a lui con un brivido. Prima di fare la verifica in Vaticano, la segretaria di Vespa ha chiamato lui per assicurarsi che non fosse uno scherzo. Ha fatto il giornalista, sempre con arte, spesso con sprezzo della realtà modesta offerta dalla cronaca. A Santiago del Cile fu il primo e l’unico ad assistere al rapimento di una oppositrice di Pinochet, prelevata per strada da energumeni a bordo di una macchina lanciata a tutta velocità in una via del centro. Pinochet era un galantuomo e la strada in questione era bloccata da una parte e dall’altra dai getti d’acqua di una fontana e la signora infatti, era stata presa in camicia da notte a casa sua, ma così fu più avvincente e lui lo raccontò benissimo. Negli anni d’oro alla ”Repubblica” faceva le imitazioni per il grande capo Eugenio Scalfari, non ancora noto come Cazzabubù, lui si divertiva e lo picchiava affettuosamente sulla testa. Poi la vena artistica gli prese la mano e cominciò a imitare il gran capo, che pareva più cattivo di quello vero. Seguirono fondi riscritti, crisi isteriche e tentati suicidi dei colleghi, poi la rivolta, e il reprobo riparò alla ”Stampa” dove cominciò subito a imitare l’Avvocato telefonando al fratello Umberto che non c’era abituato a queste esplosioni d’affetto e infatti si emozionò. In trasferta negli Usa passava le serate in conversazioni romantiche al telefono con fanciulle indigene. Si faceva chiamare Bill e diceva che abitava alla Casa Bianca. Poi qualcosa è andato storto ma lui era già al sicuro, in Patria. Imitatore dada, quando fa politica gli capita di intercettare le frequenze megahertz di Francesco Cossiga» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 17/10/1998). «Insolito destino, quello di Paolo Guzzanti: divenuto, come pure era altamente prevedibile dopo la pubblica designazione berlusconiana, presidente della Commissione Mitrokhin. Insolito, perché non succede spesso di vedere un vecchio e acclarato libertario trasformarsi in un nuovo, potenziale inquisitore. O almeno così egli rischia di esser vissuto non solo dai biechi comunisti residuali, ma anche da chi - e sono tanti - si è sforzato di comprenderlo, continua a stimarlo per le sue indubbie virtù di scrittore, più che di giornalista, e magari un po’ gli ha anche voluto bene. una persona cui è difficile non voler bene. Ispira simpatia a vista. Veste allegro, cura il proprio disincanto, racconta storie belle e divertenti che non si sa mai come vanno a finire. Conosce abbastanza bene se stesso, ma ha anche il dono di cogliere i tic altrui e di rielaborarli con una sonorità e una movimentazione istrionica che gli ha procurato leggendari successi. Faceva scherzi ai potenti con la loro voce, al telefono: faceva Pertini, il presidente della Repubblica, ”nevvéro!”; o Eugenio Scalfari, il suo direttore, ”Chia-ma-te-mi-Ta-tò!”. Una volta fu scambiato così bene da essere mandato in onda a Domenica In, o qualche analoga trasmissione di grande ascolto. Siccome il sangue non è acqua, converrà esaurire qui l’argomento della prodigiosa vocazione alla metamorfosi, e informare chi ancora non lo sapesse che Paolo Guzzanti è anche il padre di Sabina, Corrado e Caterina Guzzanti. E poi di Liberty che, essendo piccolina, appena dieci mesi, non può essere annoverata nella compagnia scintillante dell’antiberlusconismo creativo. Sa ridere e sa far ridere, ma non è una macchietta. anzi un uomo colto, originale, amante del bello. Anche per questo, però, con qualche sconforto lo si immagina alle prese con le cupe scritture di spie e delatori a pagamento. Giornalista curioso e sensibile, tendenzialmente eretico, si accetta con imbarazzo l’idea che dalle sue scelte possa un domani dipendere la serenità e la fama di tanta gente, lestofanti o poveracci che siano, e per via di che cosa, del Kgb. Certo: la vita, o meglio, la lotta politica è così. Ma chi l’avrebbe detto dieci anni fa? […] Socialista, generosamente pre-craxiano. L’ha raccontato lui stesso nella sua autobiografia, I giorni contati (Sperling & Kupfer, 1995). E pur con tutto l’uso di mondo e l’ostilità alla logica selvaggia degli schieramenti, beh, chi ha letto quel testo, a tratti struggente e comunque ormai distante da certe credenze di generoso e ingenuo ribellismo, comunque fatica a comprendere come lo stesso autore, qualche anno dopo, abbia potuto scrivere l’introduzione a L’Italia che ho in mente (Mondadori, 2000), che poi sarebbe la raccolta dei discorsi ”a braccio - come preziosamente specificato in copertina azzurra, sotto l’immagine del leader sorridente - di Silvio Berlusconi”. Ma così va il mondo, anche per chi ritiene che il meglio del lavoro di Guzzanti, del Guzzanti giornalista, si ritrovi nell’intervista pirata a Evangelisti (’A’ Frà, che te serve?”), nei resoconti sull’estate degli italiani, a Vermicino, nei reportages sui minatori rumeni, durante la fuga d’amore di Woody Allen e in tanti altri racconti, anche di cose noiose, che pochi altri giornalisti riuscivano, come lui, a coprire d’interesse. Indimenticabile il modo in cui, sulla ”Stampa”, giorno dopo giorno diede conto delle ”picconate” di Cossiga, passaggio chiave della transizione italiana, foriero di infiniti sviluppi» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 17/7/2002).