Varie, 1 marzo 2002
GUZZANTI
GUZZANTI Sabina Roma 25 luglio 1963. Attrice. Comica. Figlia di Paolo, sorella di Corrado e Caterina. La prima notorietà fu con La tv delle ragazze nel 1988, Serena Dandini conduttrice, il lancio definitivo fu con Avanzi, dove si trasformò mirabilmente in varie donne, da Moana Pozzi a Rita Levi Montalcini, e nel ’93 con Tunnel, seguito ideale di Avanzi. Sabina Guzzanti, che si definisce ”comica per necessità” («Ho dovuto farlo, perché dopo l’ Accademia d’Arte drammatica nessuno mi chiamava come attrice»), fin dagli inizi ha alternato il teatro alla tv, con recital di cui ha sempre scritto i testi. Senza dimenticare il cinema, con i quattordici personaggi interpretati con la regia di Giuseppe Bertolucci in Troppo sole (1994) e poi il debutto nella regia, Bimba del 2002. Le grandiose imitazioni di D’Alema e Berlusconi in un’esilarante love story sono apparse in Pippo Chennedy nel ’97 e l’anno seguente ha presentato e animato la posta del cuore. Sporadiche le apparizioni in L’ottavo nano nel 2001 (’la Repubblica” 26/6/2003) • «Irrompeva nei panni scollati e sgrammaticati di Valeria Marini: ”Grazie a tutti quelli che si sono collegati con noi via fax, via internento, via calvo, via catetere... un sogno: mi sembra di stare su un tapiro urlante!”. E la grammatica rivista nelle imitazioni di Berlusconi? ”Soggetto”. ”Io”. ”Complemento”. ”Mio fratello”. ”Complemento oggetto”. ”Mia moglie”. Per non dire dell’interpretazione di D’Alema: ”Io ho fatto un’autocritica ferocissima. Ho detto: abbiamo sbagliato. L’errore più grave è stato vendere il palazzetto delle Botteghe Oscure due mesi prima che il mercato salisse alle stelle, diciamo. Io mi scuso, diciamo. Mi scuso con gli azionisti”» (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 20/12/2003) • «Non è che guardo la tv e ogni tanto rimango folgorata. Nello scegliere un personaggio, innanzi tutto cerco una chiave, un motivo per cui sfotterlo, un archetipo, una malattia, un filone di decomposizione della nostra società. Se trovo questa chiave procedo, altrimenti no. La Marini per esempio mi ha permesso di parlare del concetto di immagine e di quello di ”salto di qualità”. Idee che trovo particolarmente volgari, fonte di equivoci, che originano da ipocrisia e disonestà intellettuale. Concetti assorbiti e diffusi da personaggi ben più illustri della Marini, ma che hanno meno potenzialità comiche. Prendo lei a bersaglio perché l’imitazione di un qualsiasi direttore di quotidiano o Tg, o di funzionario tv o dei DS o intellettuali o conduttore televisivo non sarebbe altrettanto divertente o efficace. Ma non mi riferisco solo a lei quando la imito. Per tornare a come ”mi entrano nel cervello” dicevo, una volta trovata la chiave di lettura, memorizzo gesti, linguaggio, timbro, ritmo della voce. Ricostruendo tutte queste cose insieme ho la sensazione di percepire il mondo in un modo che non è mio, e anche questa percezione si memorizza ed è una sensazione piuttosto forte, interessante [...] Non faccio la fatica di entrare nei percorsi mentali di un altro se questo racconta solo di se stesso. Non ne vale proprio la pena. C’è sempre alla partenza, qualcosa che voglio dire, una drammaturgia nel senso di un conflitto fra me e quello che i miei personaggi rappresentano, che siano reali o di fantasia. E l’immedesimazione, l’empatia, è in un certo senso la soluzione di questo conflitto, è una possibilità di dialogo, il lieto fine» (Alessandra Rota, ”la Repubblica” 19/6/2002).