1 marzo 2002
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Hanssen Robert
• . Nato a Chicago (Stati Uniti) il 18 aprile 1944. «La piú grossa talpa sovietica che mai abbia frugato per due decenni dentro l’intelligence americana,[...] Ha scansato la pena di morte soltanto perché ha confessato [...] Nessuno ha ancora capito perché l’uomo che aveva fatto un’impeccabile carriera fino al vertice del controspionaggio abbia tradito e come, per 20 dei suoi 25 anni vissuti con il distintivo dei ”G-men” abbia potuto sfuggire ai controlli, al lie detectors, alle investigazioni interne dello Fbi. Settantacinque sessioni di interrogatori, 300 ore di confessioni registrate, studi di psichiatri ed esperti di spionaggio, non hanno ancora detto perché questo ”americano perfetto”, questa icona dell´America bianca, abbia potuto vendere il proprio Paese per una somma totale di tre miliardi in due decenni, dunque 50 milioni di nostre lire all’anno, meno del salario statale che percepiva. E infatti di una cosa si sono convinti gli investigatori, che non lo abbia fatto né per ideologia né per soldi, neppure per quei diamanti che i sovietici e i russi gli passavano. La chiave per capire perché Hanssen abbia potuto usare ”l’addestramento offerto dal suo governo per tradire il suo governo” come ha detto il ministro, è forse nel gioco, nella versione provinciale e piccolo borghese del ”grande gioco” spionistico. Il Giuda nascosto nella noia banale e quieta del sobborgo washingtoniano, tutto barbecue e chiesa, station wagon e taglia erba, tre figlie da portare a scuola e rate da pagare, voleva mostrarsi più furbo del sistema, voleva dimostrare di poter diventare il topo che inseguiva il gatto. Poiché conosceva bene le tecniche di sorveglianza degli agenti prima sovietici e poi russi, aveva buon gioco rivoltare la burocrazia dei servizi contro sé stessa. E non lo avrebbero ancora scoperto se un traditore non avesse tradito il traditore, se un ufficiale del Kgb divenuto Sbs sotto Eltsin, non fosse saltato dalla parte americana portando con sé il nome del talpone, di Hanssen. A quel punto fu facile, per i colleghi, pescarlo mentre scambiava informazioni con una bustina di diamanti, in un buco scavato nel recinto di legno di un parco pubblico. Eppure, qualche segnale che qualcosa non era proprio esemplare, nella sua vita, lo Fbi avrebbe dovuto captarlo, magari quando nascose una mini telecamera nella sua camera matrimoniale per mostrare via internet agli amici le sue prodezze amorose con la moglie ignara, non proprio un comportamento esemplare per la sentinella della moralitá occidentale. Qualche dubbio sarebbe dovuto venire ai superiori che lo promuovevano quando gli agenti della Cia mandati in Urss e poi in Russia, o i finti diplomatici russi al servizio di Washington, venivano arrestati senza ragione apparente e giustiziati. Invece, nulla. Ha fatto la sua ininterrotta carriera, per 25 anni, continuando a giocare, con le vite di chi era affidato a lui, con i programmi di computer che lui passava a Mosca, con i piani segreti di risposta a un attacco nucleare sovietico, che lui aveva venduto al Cremlino, addirittura con informazioni riservatissime sui metodi di sorveglianza anti terrorismo che più tardi i Russi vendettero ad Al Qaeda, secondo le rivelazioni di una contro talpa a Mosca. Dunque, giocando giocando facilitò il lavoro ai terroristi. C’era anche un poco di lui in quel volo dell’11 settembre e ora è un po´ tardi per vergognarsi. Semmai, potrebbe vergognarsi la burocrazia americana, che lo ha lasciato scavare per vent’anni. ”Quando ero in Urss - diceva commentando la sentenza l’ex colonnello del Kgb Stanislav Lunev, oggi passato all’America - pensavo che la burocrazia sovietica fosse la più stolta del mondo, poi ho conosciuto quella americana e mi sono ricreduto”» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 12/5/2002).