Varie, 1 marzo 2002
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Harris Thomas
• Jackson (Stati Uniti) 11 aprile 1940. Scrittore. Celebre per la saga di Hannibal the Cannibal. «Quando Il silenzio degli innocenti capitò nelle mani dei primi lettori italiani, pochi sospettarono di avere un piccolo capolavoro, talmente denso di trovate e così felice nel disegno dei personaggi, in particolare dei due protagonisti, da farlo apparire come uno dei più bei thriller degli ultimi cinquant’anni. E pensare che Thomas Harris prima di allora si era già prodotto con un notevolissimo romanzo Il delitto della terza luna (uscito successivamente con il titolo Drago rosso), nel quale le vicende di Hannibal Lecter erano per così dire abbozzate. Ma il libro passò di fatto inosservato, come pure non lasciò tracce Black Sunday, una storia di megaterrorismo urbano con cui Harris aveva esordito nella narrativa. Toccò a Il silenzio degli innocenti squarciare il velo di indifferenza nei riguardi di questo scrittore che nella vita aveva fatto il giornalista di cronaca nera con altrettanta pignola meticolosità con cui scriveva i suoi libri. Il film che fu tratto dal romanzo - splendido nella regia come nella scelta delle facce (ma occorre aggiungere che altrettanto bello era Manhunter che Michael Mann ricavò da Il delitto della terza luna) - contribuì alla diffusione e al successo. La storia, raccontata con stile asciutto, ha uno svolgimento in qualche modo classico. Ma con alcune varianti che la rendono a suo modo unica: un serial killer terrorizza l’America scuoiando le giovani ragazze che sequestra. Da tempo l’Fbi è sulle tracce di questo mostro, ma con risultati deludenti. Incarica perciò una brillante allieva di avvicinare e provare a convincere lo psichiatra Hannibal Lecter - rinchiuso in un carcere speciale - a fornire un aiuto per le indagini. Hannibal accetta di collaborare a una condizione: che la giovane gli racconti la sua infanzia, apra il labirinto della sua mente alle acute introspezioni delle sue analisi. Dunque una storia in cui nessuno, neppure gli interpreti e i difensori della legalità, possono sentirsi al riparo dalle patologie. E dove, allo stesso tempo, i trasgressori non necessariamente risultano completamente illegittimi. Perché Harris ha avvertito il bisogno di creare una coppia dai caratteri insoliti? È noto che lo schema tradizionale di un romanzo poliziesco o thriller, è di rispettare la regola del due: non si scioglie un enigma, non si scopre un delitto, non si inchioda un assassino da soli, ma in coppia. Con l’eccezione fornita dall’hard boiled, dove l´investigatore è una figura eminentemente solitaria, ci sono quasi sempre una mente e un braccio che lavorano insieme alla soluzione di un caso. Harris scrive come se avesse davanti le imprese di Holmes e Watson, di Nero Wolf e Archi Goodwyn. Chi apre le pagine del Silenzio degli innocenti si imbatterà in una struttura letterariamente conosciuta. Ma personalizzata da Harris. Chi sono i due protagonisti? Clarice Starling è una giovane allieva dell’Fbi destinata a risolvere il caso di un serial killer fantasiosamente ribattezzato dalla stampa Buffalo Bill. Hannibal Lecter è un pluriomicida con inclinazioni cannibaliche costretto a scontare la pena massima in un penitenziario-manicomio, sotto strettissima sorveglianza. Sarà lui a fornire gli indizi affinché Buffalo Bill venga scoperto. Harris, insomma, delinea una coppia a un tempo tradizionale e stravagante. Tradizionale nella divisione dei ruoli, uno pensa l’altra agisce, stravagante perché essa si forma superando le barriere tradizionali del bene e del male. È un caso di trasversalismo morale quello che lo scrittore ci propone. Ma come superare l’orrore che Hannibal può provocare nel lettore? Come accettare la spietata crudeltà di un uomo che divora un suo simile? Come predisporsi al male nella sua interezza? Semplicemente usandolo a fin di bene. La confusione è intrigante. Il mix seduttivo. Non a caso Harris ci delinea un Hannibal sorprendentemente sfaccettato: la cella in cui questo dandy del crimine versa, potrebbe essere quella di un monaco che ha scelto la solitudine e la preghiera alle glorie mondane. In fondo quello spazio è il suo pensatoio. Le mura, le sbarre, il limite in una parola, esaltano le sue doti mentali, le sue capacità analitiche. Cosa vuole di più la giovane Clarence che qui svolge il ruolo di un´allieva che si è cercata un cattivo maestro? Harris ci lascia intuire conflitti edipici irrisolti, pulsioni sessuali che circolano negli sguardi, nei sottintesi del loro rapporto. In fondo un maestro è un potenziale padre, ma anche un amante pronto a ghermire la preda. Nel caso della nostra coppia tutto si gioca su un piano di analisi del profondo. E si sa che ogni introspezione lavora su una follia virtuale. Quella di Hannibal è esibita con efferata eleganza; l’altra, di Clarence, rinvia a un´oscura e morbosa storia in cui sembra pesare la figura del vero padre. Si dirà che dopo Freud tutto questo appare scontato. Ma un best-seller non è un trattato sulle anime perse e sulle ragioni per cui si perdono. È semmai un incastro di modelli culturali dominanti e di efficiente prevedibilità narrativa. Quello che il lettore trova in essi è quanto loro stessi vi sanno mettere con divertita e leggera irresponsabilità» (Antonio Gnoli, “la Repubblica” 4/10/2004). «Rich, un paesino del Mississippi, con un solo stop e nemmeno un semaforo, dove sopravvivono, più che vivere, 500 anime candide. È lì che si rifugiò mamma Harris durante la guerra, mentre il papà era al fronte, dopo aver dato alla luce il suo unico e voluminoso marmocchio. Rich è a un’ora di macchina da Memphis e a dieci minuti dal Mississippi. Fu lì sul ponte Yazoo Pass che Thomas superò a fatica l’iniziazione locale, che consisteva nello sparare ai serpenti e alle tartarughe con una calibro 22. Rimase il suo unico exploit fisico, perchè anche nel gioco popolare di infilare coltelli nella corteccia degli alberi era una mezza frana. Non parliamo poi di basket, baseball e football. Risultato, niente amici e lunghi pomeriggi a casa a leggere. Forse per rivincita, si innamorò delle spacconate di Ernest Hemingway, che solo più tardi sostituì col più raffinato Tom Wolfe. Gli Harris non se la passavano molto bene: casa modesta e pochi ideali. La madre Polly, professoressa di chimica e biologia al liceo, il padre Thomas senior ex elettricista, trasformato dal dopoguerra in contadino, e orso come lui. Madre invece sin troppo presente, che oltretutto lo vestiva coi pantaloni alla zuava, come un inglesino. Una volta che il suo frugoletto aveva trovato finalmente il coraggio di presentarsi a un provino scolastico per la squadra di football, entrò come una furia in campo zompettando sui tacchi e gli intimò di togliersi subito “quell’uniforme da scimmia”. Mentre il mesto Thomas se ne tornava negli spogliatoi, sentì allenatori e mancati compagni ridere e dire che nella loro squadra non c’era posto per “mammoni”. Episodio puntualmente riportato nel suo primo romanzo, Black Sunday, dove il frustrato protagonista, cresciuto in un paesino del Sud, si mette ad architettare una strage di massa. Dopo essersi laureato in letteratura inglese in Texas, alla Baylor University, Harris ha cominciato la sua carriera creativa nel quotidiano di un paese, Waco, che sarebbe diventato anni dopo famoso per l’apparizione di una setta di fanatici e la conseguente strage. Faceva il reporter di notte, andava al lavoro in moto, calcava un cappellaccio grigio per darsi un tono e la sua laurea sul campo la ottenne indagando su una lurida storia di prostituzione minorile. I suoi colleghi di allora ricordano che aveva un debole per “i particolari macabri”. Harris rovesciò la sua vita nel 1968, arrivando a New York, come redattore capo dell’agenzia Associated Press. Qui invece i suoi colleghi ricordano la sua lentezza e la sua pignoleria. Era sempre l’ultimo a consegnare i pezzi suoi o degli altri, pieni zeppi di cancellature. Nelle pause del lavoro, insieme a due colleghi, Sam Maull e Dick Riley, buttò giù la complicata trama di un romanzo, Black Sunday. Mentre gli altri due si occuparono soprattutto delle ricerche, fu Harris che trovò il coraggio di dimettersi per scriverlo a nome suo (ma gli incassi furono divisi per tre). Da allora non si è più fermato. Aumentando la sua pignoleria. Fin da quando è ragazzino ritaglia notizie sui serial killer. Ora appena può partecipa a convention di poliziotti e a seminari a Quantico, il quartier generale dell’Fbi. Ogni volta che deve scrivere un romanzo si affitta uno studio isolato fuori di casa. Convive con Pace Barnes, che una volta lavorava nell’editoria, ma non si è più risposato dopo il divorzio da una sua compagna di università [...] Se pubblica poco è solo perchè non ha la scrittura facile: può passare giorni e giorni alla scrivania senza battere una singola parola: “Preferirei scavare un pozzo di 20 metri piuttosto che passare un giorno a scrivere” ha confessato una volta a un amico. Un giorno disse che il suo obiettivo era guadagnare un milione di dollari e non dover più parlare a nessuno. Missione decisamente compiuta» (Marco Giovannini, “Panorama” 2/9/1999).